"Una bralette per domarli, un'inclusive lingerie per trovarli, un nude bra per ghermirli e nel buio incatenarli": è iniziata l'era del predominio della biancheria intima inclusiva. Questo, almeno è quello che dicono i dati: se Zion Market Research afferma che il mercato dell'underwear nel 2024 varrà 59 milioni di dollari, l'azienda di tecnologia del retail Edited, va nello specifico delle tendenze, sottolineando che ormai i push-up e i modelli che "pompano" il decolletè femminile saranno ancora per poco al primo posto nella wishlist femminile. Nonostante infatti, almeno in America, il 24% della quota di mercato della lingeria sia predominio di Victoria's Secret e dei suoi bombastici reggiseni effetto lifting, le donne vogliono sempre di più bralette e reggiseni sportivi. E in effetti dopo gli scandali che l'hanno travolta, il tentativo di redimersi lanciando una linea curvy, e delle vendite natalizie che sono andate molto meno bene delle previsioni, il marchio farà cadere le serrande di oltre cinquanta negozi negli Stati Uniti, dopo aver detto addio anche alla sua annuale sfilata. Quello a cui le donne ambiscono, secondo un recente articolo di Cnn, è il confort, oltre a un intimo che si infili a pennello su qualunque meravigliosa variante di corpo umano: in sunto, di un underwear che sia inclusivo. Se il caso di Savage x Fenty, la linea di lingerie lanciata da Rihanna e subito esplosa, funge ormai da retta via sulla quale tutti i competitor si stanno orientando, le direttive di base sono quelle che richiedono maggiori varianti di biancheria in nuance nude e una più variegata offerta di taglie.

Un esempio è la startup americana Third Love – che però secondo Forbes oggi vale 750 milioni di dollari, e non si può di certo considerare un ingenuo emergente – capace di fornire, attraverso l'elaborazione di metriche specifiche che mettono in conto anche le diverse forme del seno, le mezze taglie, arrivando a 78 size differenti.

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E se Savage x Fenty ha puntato tutto sulla body positivity, fornendo nel suo inventario misure che vanno fino alla 3XL e alla 44DD – misurazione americana che identifica chi ha un giro seno intorno ai 120 cm – il buon esempio è stato seguito da molti altri marchi al di là della Manica e dell'Oceano, come nel caso dell'inglese Fig Leaves o dell'americano Lively. L'altra priorità, invece, quella dell'intimo nude – con varianti di nuance naturali che si adattino agli incarnati di ogni colore, e non siano solo diretti ai portatori sani di una texture epiteliale caucasica – ha visto in Nubian Skin, marchio fondato nel 2014, il suo ariete di sfondamento. Il primo a produrre varianti del modello nude che potessero essere indossate anche dalle donne di colore, le bralette e i top sono una dovuta celebrazione di quella pelle dalla texture calda, che non ha più voglia di "adeguarsi" a canoni ancora figli di un colonialismo che non sembra mai finire.

Se da una parte i brand hanno sapientemente trovato un'area di mercato ancora inesplorata e nuove consumatrici che vorrebbero soddisfare, gli attuali metodi di produzione industriali non sono ancora all'altezza delle infinite varietà nelle quali si articola il corpo umano con le sue forme. Così sostiene Cora Harrington, esperta ed autrice del libro In intimate detail: how to choose, wear, and love lingerie. Intervistata da CNN, Harrington ha spiegato che, in un reggiseno, ci sono all'incirca 20 singoli componenti, che nel caso di un prodotto del comparto luxury salgono a 40-50: una customizzazione dell'intimo così precisa, non è ad oggi disponibile, anche perché il risultato costerebbe troppo, o almeno molto di più rispetto a quanto una donna si aspetta di spendere, comprando della biancheria. Una forma mentis sbagliata, che abbiamo inoculato dopo anni di fast fashion, e ci ha rese incapaci di comprendere le necessità di tempo e costi che si celano dietro la produzione di pezzi originali, non ricopiati dalle maggiori passerelle.

Se però le clienti finali sono donne lontane dagli ideali di perfezione perpetrati proprio dalle passerelle – quelle di Victoria's Secret su tutte – è lecito aspettarsi che, come conseguenza, anche l'immagine pubblicitaria dei marchi in questione vada di pari passo, scegliendo modelle e testimonial dai corpi a cui non serve entrare in una taglia XS per sentirsi sexy. Rihanna ha, in effetti, portato in passerella e nell'immagine di SavagexFenty, donne curvy, in gravidanza, o anche diversamente abili – come Mama Cax, attivista che, per via di un cancro alle ossa aveva perso una gamba, e che purtroppo è morta a soli 30 anni lo scorso dicembre – e gli altri hanno preso nota: è il caso di Lonely lingerie, marchio che, sul suo profilo Instagram, rende protagoniste, senza l'utilizzo di Photoshop, donne curvy, dai capelli bianchi o dalla pelle nera. Nelle foto, gioiosi inni alla vita e alla sensualità, gli altri grandi assenti sono due figure che invece fino all'altro ieri, sembravano essenziali su qualunque set: il parrucchiere e il truccatore.

Un altro mercato in ascesa, è quello dell'intimo per le persone transgender, ambito del quale si occupa da sempre Origami Customs, marchio di Montreal nato per soddisfare le esigenze di chi vuole appiattire/nascondere/valorizzare. Se il brand fondato da Rae Hill, ha, secondo la stessa Hill, raddoppiato le vendite negli ultimi 4 anni, molto si deve ai bender, fasce per appiattire il seno, ma soprattutto ai gaff, pantaloncini essenziali per il tucking – e per chi non sa di cosa si sta parlando, tornano utili le puntate di Pose, nelle quali i personaggi trans, protagonisti della ball scene di New York degli anni 80, parlavano della pratica di nascondersi ad arte i genitali esterni maschili tra le gambe, per evitare che si notino troppo. Un processo che, in questo caso necessita di una strada "sartoriale", che si adatti alle specifiche e personalissime esigenze di ognuno: per questo motivo, Hill incontra i suoi clienti diverse volte prima per discutere dei loro desideri e prender misure, come un vero e proprio sarto, prima di procedere alla realizzazione del pezzo. E in Italia? A parte Oysho – brand parte di Inditex, conglomerato iberico che possiede anche Zara e Bershka – che ha lanciato una collezione inclusiva lo scorso anno, Oysho Portraits, non sono molti i marchi che si sono mossi in questa direzione. E dovrebbero affrettarsi, perché questo mercato è, a oggi, una miniera d'oro, e di positività.