Naomi Campbell ha chiuso la sfilata di Kenneth Ize indossando un cappotto multicolor con frange; poco dopo Maria Grazia Chiuri da Dior, quelle fasce di tessuto le ha declinate sulle estremità di minigonne in maxi-check da universitaria bon chic bon genre pronta alla rivoluzione, così come su maxi cardigan chiusi in vita da una cintura e vestiti creati con listini di perline. L'eterno – o quanto meno molto ricorrente – ritorno del trend, era però già stato preconizzato dalla settimana della moda milanese. Da Bottega Veneta le frange hanno debuttato insieme sullo stesso look in più materiali a contrasto, da Boss ha sfilato la nuova business woman, versione degli Anni dieci della Melanie Griffith in completi power dalle spalle paffute degli Anni 80: nel suo look formale ma tinto di pastello, le borse total black ma dalle tracolle con frange costituivano il contro canto simil-lezioso a tanta assertività. Ma quando, questo prolungamento tessile dal fascino antico, vagamente esoterico, ha fatto il suo primo vero debutto sulle passerelle mondiali? Andando a studiarne le prime apparizioni, bisogna risalire al 3000 a.c. e geolocalizzarsi nell'antica Mesopotamia, ovvero l'attuale Iran: a testimoniarne l'utilizzo, sculture e statue dove le donne erano rappresentate proprio con gonne, o scialli, a frange. Prive di valenze sociali – anche se, a onor del vero, le donne benestanti le traducevano sulla seta mentre quelle di estrazione popolare le usavano con texture come il cotone o il lino – avevano però un valore anche altamente simbolico, e quasi legalmente vincolante. Alcuni ritrovamenti hanno infatti dimostrato che i contratti, scritti su tavole in argilla, si firmavano non con i nomi o con un sigillo in cera, ma apponendovi sopra delle frange, che poi, al raffreddamento della tavola, rimanevano lì per sempre.

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Molto dopo, e dall'altra parte del mondo, a usare in maniera caratteristica le frange sono di certo stati i nativi americani, che però non vi vedevano solo un ornamento estetico. Con le frange era più facile far scivolare l'acqua sui vestiti, ed evitare di farla arrivare sul corpo. La decorazione, costruita in maniera separata rispetto al resto del guardaroba, era però anche frutto di un attitudine, molto poco capitalista, al risparmio e al riutilizzo. E in effetti i nativi americani vedevano nel taglio delle cuciture uno spreco imperdonabile, quindi riutilizzavano quel tessuto in eccesso – che molto spesso era in pelle o suède – cucendolo insieme, per creare le frange, poi ulteriormente arricchite di perline o colorate con tinture vegetali.

Il boom è arrivato però negli Anni 20 del secolo scorso, quando designer come Madeleine Vionnet e Charles Worth le hanno portate alla ribalta con quei vestiti che, abbinati al caschetto alla maschietta, e a diffusi bagliori, costruiscono ancora oggi la perfetta immagine della decade ruggente, fatta di party a casa del Grande Gatsby ed eccessi sotto il ritmo di un tip tap. Se Worth le declinò su sgargianti vestiti dall'attitudine jazz nel 1927, quegli abiti erano davvero perfetti per ballare il Charleston, tanto che poi così vennero chiamati. Madeleine Vionnet le inserì per la prima volta in una sua collezione del 1924, traducendolo su un abito dalla stampa floreale accesa, per poi declinarlo in un'infinita serie di varianti, più ispirate al movimento Liberty, trasformando le frange in micro-onde che regalavano movimento a gonne e top creati per ballare.

Dior : Runway - Paris Fashion Week Womenswear Fall/Winter 2020/2021pinterest
Peter White//Getty Images
I vestiti total-fringe di Dior per l’autunno inverno 2020-2021

E in quello stesso spirito rivivono oggi le declinazioni che ne hanno fatto Silvia Venturini da Fendi, così come Alberta Ferretti, che nello spirito dei Twenties ha realizzato abiti silver con frange sovrapposte, abbinate a orecchini memori degli eccessi dell'Art Déco. Scomparse, come molti altri vezzi accessori, durante gli anni della guerra, dove si guardavano con nostalgia le foto in bianco e nero di Joan Crawford e Claudette Colbert, gioiose nei loro cocktail dress riposti da tempo nell'armadio, in attesa di tempi migliori, sono però ritornate alla ribalta nei Fifties. Il responsabile fu il re del rock, Elvis, che indossava spesso giacche in suède a frange, sul filone dei nativi americani (e oggi la chiameremmo, condannandola, appropriazione culturale, la stessa di tutti i sedicenti blogger e influencer che popolano Coachella con copricapi di piume rubati agli indiani d'America e borse con frange dove pare si possa stipare la selvaggina, e invece ci sono solo altri cellulari e altri cambi d'abito, per indossare altre identità, sempre diverse, sempre costantemente a favore di smartphone).

Alberta Ferretti - Runway - Milan Fashion Week Fall/Winter 2020-2021pinterest
Victor VIRGILE//Getty Images
Gli abiti a frange di Alberta Ferretti per il prossimo autunno

E dopo Elvis, furono in molti a seguirne l'esempio, complice la decade della rivoluzione culturale che era dietro l'angolo: così Jean Shrimpton, Twiggy e Penelope Tree – modelle sinonimo della Swinging London che stava vivendo un passaggio di consegne, per nulla pacifico, tra vecchia e nuova guardia, le indossavano indistintamente per andare a ballare con David Bailey o sulle copertine dei giornali. L'attitudine bohemien, il potere esoterico e liberatorio di quelle frange apposte sulle maniche delle giacche, fu incapsulato però da Jimi Hendrix, che le trovava nei mercatini vintage di Londra e le portava sui palchi del mondo, usandole come perfetto abito di scena mentre incendiava le chitarre e gli animi dei giovani rivoluzionari.

A carpirne la potenza fu, negli Anni 60, Yves Saint Laurent, che le inserì nella sua collezione del 1967, un omaggio all'Africa, continente dal quale si fece ispirare più e più volte. Le frange si declinarono su cappe in raffia, in filo d'oro o decorate con perline in legno, o anche in vestiti ispirati alle sculture Bambara prodotte dalla comunità omonima in Mali. Nato in Algeria, il suo non era un semplice esercizio di copia e incolla volto a capitalizzare il momento favorevole, ma una trasposizione contemporanea, attraverso l'occhio di un ammiratore sincero di usi e costumi africani. E anche se, per quella sfilata usò modelle caucasiche, per accentuare il contrasto, fu comunque uno dei primi couturier ad assoldare nelle sue fila mannequin di colore, una su tutte Fidelia, che lavorava con lui sin dal 1962. Negli Anni 70 le frange presero in parola il motto di "Staying Alive", traducendosi su vestiti adatti ai party più sfrenati, o alle performer sinonimo della disco culture, una su tutte Cher nel suo iconico micro- vestito a frange dorate, come anche Tina Turner negli Anni 80, con un abito a frange che sembrava un'armatura notturna, ed era stata creata da Azzedine Alaïa. Un'attitudine che, il prossimo autunno ci assicura, utilizzeremo parecchio. Nell'attesa di tornare sui palchi e sulle piste da ballo, scuotendo le frange (e gli animi ).