Istruttivo, libero, democratico, capace di creare un senso di comunità in chi lo ascolta, una voce amica che ci accompagna senza essere invadente mentre siamo in tram diretti in ufficio, o quando spegniamo il computer e stappiamo, in silenzio, una bottiglia di vino, per concederci una tregua dallo smart working: la formula del podcast nata negli ultimi anni, si sta rivelando vincente. Non un semplice sotto-prodotto radiofonico, ma mezzo di informazione alternativo e con una sua indiscutibile dignità, non (ancora) permeato da meccanismi pubblicitari che ne scalfiscano la purezza di "servizio d'informazione". La ricerca The state of the podcast universe, realizzata da Voxnest, ha analizzato i risultati del 2019, per scoprire che, nel mondo, c'è stato un aumento massivo degli ascolti ( e dei download) di podcast: da 27 milioni di inizio anno ai 55 di dicembre. Qualità dell'informazione, altoparlanti intelligenti e tecnologie che rendono l'esperienza immersiva, e gestibile attraverso i comandi vocali, sono le chiavi di volta di un successo che è arrivato anche in Italia. E l'associazione Italiana Editori lo conferma grazie ad una ricerca di Pepe Research, che sostiene che se nel 2014 la ripartizione della fruizione audio dava il 79% alla radio, l’8% ai podcast e il 13% agli audiolibri, nel 2019 le ultime due voci crescono: i podcast vanno al 17% e gli audiolibri al 22%. Non sono quindi i dati travolgenti che si possono riscontrare in America, ma la scalata è costante, tanto più che, se il 35% li ascolta in auto, il 53% lo fa invece da casa. Nel mondo, insomma, ci sono

800.000 podcast per 62 milioni di ascoltatori la settimana

: cifre che di certo hanno ingolosito le maison e i media, sempre alla ricerca di nuove metodologie con le quali arrivare al proprio pubblico (e possibilmente, raggiungere chi prima non faceva parte della propria community). Parlando di moda, in effetti, ne sono nati di recente alcuni che sono già un'istituzione, considerato chi li conduce: un esempio è Creative conversations with Suzy Menkes, nel quale la famosa penna del giornalismo americano e la sua ancora più famosa acconciatura, conversano, appunto, con i grandi protagonisti della moda contemporanea. Dopo il debutto con Maria Grazia Chiuri, direttore creativo di Dior, Menkes, ora da Vogue International, ha parlato di inclusività e di transizione verso il digital con il direttore creativo di Balmain Olivier Rousteing, del futuro della moda con uno dei nomi più promettenti del panorama francese, quello di Marine Serre, di artigianalità con Stephen Jones, autore di alcuni tra i copricapi più scenografici e indimenticabili della storia, da Dior a Comme des Garçons.

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Chi invece ha un approccio più da storiografo della moda, può rivolgersi a Dressed: the history of fashion, che invece si concentra, appunto, sulla storia della moda, spiegando in divertenti pillole anche il perché dei nomi di certi capi d'abbigliamento o accessori, come nel caso degli occhiali con montatura da gatto (cat-eye) che in realtà si chiamavano Harlequin, e furono inventati dall'eccentrica socialite americana Altina Schinasi, tra una chiamata a Martin Luther King e un'operazione segreta per nascondere al governo americano guidato dalle leggi maccartiste, il comunista John Barry. Oltre alle nozioni, però, ci si avventura anche nell'esplorazione del costante legame tra moda e grandi produzioni cinematografiche, come nel caso dell'abbondanza di simboli nascosti tra le uniformi e i vestiti di Game of Thrones.

E per chi invece sente di avere già le basi della materia, ma vuole invece tastare il polso della situazione contemporanea, la scelta è quella di Fashion: no filter, podcast delle due giovani trentenni e giornaliste di moda Camille Charriere e Monica Ainley che intervistano insider e anche celebrities sulle questioni di stringente attualità. Un esempio? La chiacchierata con Alexandre de Betak, leggendario produttore di sfilate per Rodarte, Chalayan e Dior tra gli altri, rispetto alla necessità di rivedere il classico calendario delle sfilate alla luce della pandemia da Covid-19. Ci sono però anche momenti meno impegnati, come una chiacchierata con Susan Sarandon sul primo red carpet dell'attrice, e di conseguenza la capacità della moda di trasmettere messaggi chiari, anche attraverso una scelta da sfoggiare sul tappeto rosso, o quella con Clara Cornet, direttore del marketing di un'istituzione parigina, come le Galeries Lafayette, e il ritorno dell'esperienza in negozio anche in tempi di shopping online.

Un fenomeno, quello dei podcast, che ha ovviamente attratto anche i brand, dando loro una piattaforma per raccontarsi a modo loro, con i loro tempi, i loro spazi, e dando voce ai protagonisti più vicini all'universo di riferimenti nel quale creano. Se 3.55 Chanel è una costellazione matelassé nella quale incontrare Pharrell Williams per parlare dei collegamenti tra moda e arte contemporanea, o Sofia Coppola per discutere del valore dell'artigianalità, Dior Talks è invece una lezione sulle iterazioni dell'arte femminista. Al podcast si invitano infatti sempre artiste o creative che hanno collaborato con la maison, come Judy Chicago – che ha collaborato con la direttrice creativa nello sviluppo del concept della Couture s/s 20 –o Janette Beckman, fotografa autrice delle immagini della campagna f/w 19. E il femminismo è un argomento caro anche a Gucci, che nel suo Gucci Podcast ha invitato, tra le altre, l'attrice e modella transgender Hari Nef, o anche l'attivista e scrittrice Scarlett Curtis, che ha raccontato all'attrice Gugu Mbhata Raw del processo della scoperta di sé e dell'importanza per gli attori di essere attivisti, anche attraverso le loro scelte lavorative. Certo, nell'universo poliedrico di Gucci non è solo la mente ad essere sfamata, ma anche l'appetito: tra le altre donne che raccontano la propria esperienza e le proprie passioni c'è anche Karime Lòpez, chef de cuisine di Gucci Osteria da Massimo Bottura. Infine, per gli appassionati di streetwear, la mecca audio da raggiungere è quella di Business of Hype, podcast di Hypebeast, piattaforma digitale che è il riferimento incontrastato in materia. In più di sessanta minuti per puntata i creativi del contemporaneo – nomi che non dicono molto ai più, ma che rappresentano dei numi tutelari per gli amanti del genere – si raccontano, partendo dal processo creativo per arrivare alle difficoltà e alle sfide del mondo digitale. Tra gli invitati ci sono, ad esempio Masaya Kuroki e Gildas Loaëc, co-fondatori del brand di abbigliamento parigino Maison Kitsuné nato in origine come etichetta musicale, e poi in seguito trasformato in brand di ready-to-wear che reinterpreta il lessico dell'abbigliamento francese con un twist eclettico, considerato che Masaya e Gildas nascono come dj, e non come stilisti. Uno degli ultimi episodi ha visto protagonista Eric Koston, considerato il Michael Jordan della tavola da skate, o Jessica Washick (senior color designer da Nike). Svelando gli arcani e i misteri agli sneakerhead più incalliti, comodamente seduti a casa propria, dalla colazione all'aperitivo.