Siccome ogni rovescio ha una medaglia (e anche il contrario), la tempestosa vicenda del Covid-19 sembra avere conseguenze finalmente felici. Almeno nella visione dei designer nel primo giorno delle sfilate della Fashion Week milanese. Affiora alla mente la massima del naturalista Buffon che sosteneva come "lo stile non è che l’ordine e il movimento che si mette nei propri pensieri", perché il periodo di sofferenza che attraversiamo sta producendo uno gioioso strabismo. Da un lato c’è un maggior ancoraggio alla realtà e la consapevolezza che, se la stravaganza non è il nostro forte, siamo i migliori in termini di saper fare e di saper intuire ciò che la gente vorrà veramente indossare. Dall’altro, l’esperienza del lockdown impone una reazione che induce alla fuga arcadica, all’escapismo onirico. Sogni molto concreti, comunque: ed è esemplare che siano due donne, Angela Missoni e Silvia Venturini Fendi, a tenere insieme queste esigenze contrapposte. La prima sostituisce al défilé un’intervista ad Angelo Flaccavento cui spiega il suo progetto di una nuova modalità di presentazione. L’idea è di mantenere le stagioni di vendita ai retailer così come sono e di mostrare privatamente, nello stesso momento, le collezioni ai media periodici. Poi, quando si è più vicini alle stagioni effettive, ci saranno progetti speciali - una sfilata, un video, una performance - in modo che ciò che viene comunicato sia ciò che i clienti possano effettivamente trovare in boutique. L’inizio di questo processo sono le foto e il video della campagna per l’autunno-inverno 2020 scattate dal fotografo Oliver Hadlee Pearch attorno a scenari familiari per Missoni: Varese, il Sacro Monte, luoghi che stanno a cuore ad Angela perché di fatto questo è la terra da cui proviene e dove vive. «L'Italia come modo emotivo di fare le cose che ora più che mai può parlare e ispirare il pubblico globale».
C’è una narrazione di una femminilità forte, potente, quasi invincibile nella severa e impeccabile eleganza - la silhouette ricorda gli anni Dieci e i Quaranta - nell’entusiasmante collezione uomo e donna di Fendi dove Silvia Venturini Fendi lascia al nuovo direttore artistico Kim Jones, nominato pochi giorni fa, una preziosa testimonianza: di artigianato, di autentico senso dello chic e di slancio verso un romanticismo depurato dalle svenevolezze (non preoccupatevi: rimane direttrice artistica della linea uomo e accessori). Il bianco - colore della rinascita, del reset, della speranza ma anche della meditazione - è il leitmotiv di abiti semplici ma non semplicistici: dalle robe-manteau abbottonatissime con le spalle segnate, un po’ Grace Kelly un po’ Joan Crawford, fino alle lievi giacche sovrapposte come pagine di un libro o ai tailleur pantaloni movimentati da acquerellate stampe bucoliche, tutto è di oltraggiosa precisione sartoriale. In passerella, una carrellata di donne di tutte le età (c’è persino Penelope Tree, supermodella americana 61enne, poi una maestosa Eva Herzigova, la radiosa 40enne Karen Elson e la giovane Vittoria Ceretti) e di tutte le taglie, plus size comprese, tutte abbigliante come divinità possenti ma anche eteree. C’è spazio per la poesia degli orli a giorno, del fazzoletto di mussola posato come per caso nel manico della borsa di vimini intrecciata a mano, ma anche per un sottotesto politico. Di fronte a femmine così impeccabili e gigantesche nel loro empowerment vestimentario, i maschietti sembrano un po’ bambini: invece dei pantaloni hanno solo boxer di seta o shorts, camicine ricamate da prima Comunione, calzettoni a metà polpaccio. Quasi come fossero i figli, più che i sudditi, di un matriarcato che, del resto, Silvia Venturini Fendi conosce bene. La maison è nata e si è sviluppata lungo una discendenza matrilineare: dalla nonna Adele, fondatrice del marchio, alle cinque sorelle, alle loro figlie e nipoti.
Del resto: «”Disciplina non è una parolaccia e la nostra donna è sobria, ma in una maniera un po’ dominatrix, da istitutrice», hanno dichiarato in mattinata i gemelli Dean e Dan Caten, prima della sfilata co-ed, per loro stranamente misurata, di DSquared2. E incede sicura, giovane d'animo a qualsiasi età, dotata di un grande senso di praticità e di prontezza all'azione, la signora di Alberta Ferretti.
Però, siccome qui si crede nella parità dei generi, inevitabile citare il candore delle prime uscite di N°21 disegnata da Alessandro Dell’Acqua mai così conciso e sentimentale, tra giacche d’atelier, piume e sottovesti perlacee per lei e mai così ingenuo, tenero e dolce per lui; il nitore delle collezioni “spirituali” di Brunello Cucinelli, sempre devoto a un vestire che abbraccia la Natura; la sobrietà quasi sacrale (ma con richiami primo Novecento) di Daniele Calcaterra, il più convincente tra i marchi ingiustamente ancora poco noti.
È una festa di contestazione e rigenerazione ma anche un invito a non sprecare nulla, a far tesoro di tutto (soprattutto del passato) il patchwork siciliano di Dolce & Gabbana: abiti-mosaici di tessuti che strutturano modelli pudici nell’architettura ma chiassosissimi nelle stampe accostate in libertà (con una strizzata d’occhio a Emanuel Ungaro degli anni 80). Il loro show faraonico è stato adorato dalle fan: settemila in visibilio solo per la diretta su Instagram. Comunque, presentazioni e défilé hanno avuto un merito: non disinnescare il pensiero. Anche se onestamente, ogni tanto, d’istinto, si cercherebbe il tasto fast forward del telecomando. Ma sulla tastiera del computer non c’è.