Nata per necessità militari, e poi sfuggita al rigore, divenuta il simbolo stesso della ribellione giovanile: la biker jacket ha avuto almeno un paio di vite, dalla sua nascita, all'inizio del secolo scorso, e ha trovato molti più interpreti, che sapessero trarne il meglio, trasformandola in compagna di avventure tra i cieli, o sfrecciando sulle highway americane. I dati di Lyst, piattaforma mondiale di ricerche moda con 9 milioni di utenti al mese, sostiene che negli ultimi 90 giorni, quelli della preparazione alla stagione autunnale, le ricerche a livello globale hanno privilegiato un marchio su tutti: Saint Laurent. Se la narrazione recente del marchio, da Slimane a Anthony Vaccarello, ha in effetti dato alla giacca in pelle un ruolo di rilievo, immaginandolo come compendio di surfisti californiani e skater parigini, non è men vero che lo stesso fondatore aveva manifestato sin dagli inizi un interesse per il capo: a 24 anni, nel suo breve regno da Dior, dopo la morte del couturier Christian, ne produsse una adatta alle ricche bon vivant del jet set parigino, in alligatore e con profili in pelliccia. Nella top five però c'è anche quella di Acne Studios: il brand svedese, nato negli Anni 90 del minimalismo e presto divenuto oggetto di culto per una certa intellighentia modaiola, ne ha realizzata una versione molto più sobria di quella iniziale di Yves, con gli interni in montone, per resistere ai freddi venti che impazzano sulle coste del Golfo di Botnia. A chi si deve però, la vera e propria invenzione della giacca da biker? I padri putativi della giacca sono due, che ne hanno realizzate due varianti diverse nelle texture, ma pressoché simili nel grado di fama che sono riusciti a raggiungere.
La giacca di pelle o biker è però predominio degli Schott, intesi come Irving e Jack, fratelli e figli di un immigrato russo, che, nella loro fabbrica nel Lower East side newyorchese, realizzavano inizialmente impermeabili. Attratti dal mito della motocicletta, che iniziava a divenire sinonimo di una certa libertà dalle restrizioni delle quattro ruote, pensarono ad una giacca da indossare sui bolidi. Nacque così il Perfecto – nome che era un omaggio al sigaro preferito di Irving. Tra le peculiarità, la cinta in vita, e la chiusura con la zip – fino a quel momento si erano usati i bottoni – addirittura asimmetrica, rendendo più facile aprire o chiudere la giacca per chi era a cavalcioni di una Harley Davidson, sotto la quale c'era un doppio strato di tessuto, per fornire maggiore calore. I primi a crederci, furono proprio dei visionari geni del marketing, in casa Harley Davidson, che, accanto alle loro moto, nel negozio di Long Island, misero in bella mostra la giacca, per vestire al meglio il sogno del vento tra i capelli, mentre si vaga per gli immensi spazi aperti del Midwest, alla ricerca di se stessi, o del bar più vicino. Costava 5,50 dollari, una piccola fortuna per l'epoca – l'equivalente di 76 dollari del 2020, ma, sebbene inventata nel 1928, ci vollero diversi anni affinché prendesse piede. Nel frattempo però arrivò la seconda guerra mondiale, e l'Air Force americana chiese ai fratelli una giacca pesante, con la quale equipaggiare i propri piloti d'aereo– le cabine erano chiuse ma mancavano di pressurizzazione, e di conseguenza al loro interno, si pativa il freddo. Nasce così lo Schott B-3, il montone in pelle con il collo in pelliccia, e un cinturino con bottoncino a pressione intorno al collo. Conclusosi il conflitto e tornati alla vita normale, l'esplosione del biker si ebbe grazie al Selvaggio, inteso come film e come attore, Marlon Brando, che nel 1954 interpretò il capo di una gang, quella dei Black Rebel Motorcycle club, dedita ovviamente ad attività lontane dalla legalità. Sul suo Perfecto era ricamato il nome di Johnny, personaggio che Brando interpretava, e che si impresse vividamente nelle menti dei più giovani. E in effetti la storia di Schott con i motociclisti era iniziata prima del film che la rese famosa: gli Hells Angels, tra i più noti club di appassionati delle due ruote – ad oggi considerata un'associazione criminale dal governo degli Stati Uniti – e aviatori reduci della seconda guerra mondiale, usavano già le giacche Schott, per scorrazzare in giro per gli States, portando scompiglio e risse dovunque si fermassero.
Il potenziale "incendiario" del Perfecto era ormai talmente collaudato che, terrorizzati, in alcuni licei americani il suo utilizzo venne bandito, per paura che facesse da catalizzatore alla nascita di gang criminali, sulla scia degli Hell's Angels: di conseguenza, e in maniera quasi inspiegabile, le vendite scesero, nel momento maggiore della sua popolarità. L'acme, però, doveva ancora arrivare, perché, il giorno della sua morte, per un incidente su una 550 Spyder di Porsche, James Dean consegnò alle future generazioni la leggenda perfetta, perdendo la vita proprio con indosso una Perfecto di Schott. Sebbene non avesse indossato mai il capospalla in nessuno dei suoi film, Dean la utilizzava invece spessissimo nella vita privata, tanto che fu con quel capo che andò incontro alla sua tragica dipartita, e al suo status di feticcio culturale tutto americano. Negli Anni 70-80, quell'animo ribelle riprese a fare scintille, grazie al punk: Debbie Harry dei Blondie lo indossava quando si esibiva al CBCG, locale newyorkese dove passavano le leggende delle sette note, i Ramones avevano proprio il Perfecto di Schott come caposaldo della loro uniforme, con il compendio di jeans stretti e t-shirt navy. Vibrazioni che torneranno a far breccia nei cuori degli adolescenti anche negli Anni 90, quando a sfoggiare la giacca in pelle saranno i belli e maledetti, Johnny Depp e River Phoenix, fratello maggiore di Joaquin, la cui vita si concluse tragicamente nel 1993, al Viper Club, per un'overdose di eroina.
Di tutt'altra stoffa è il Belstaff, proprio nel senso di texture. Laddove la biker jacket di Schott era realizzata in pelle, quella di Belstaff era in un particolare cotone cerato, per resistere all'acqua. La compagnia nasce nel 1924, grazie a Eli Belovitch e suo genero Harry Grosberg, dall'altra parte dell'oceano, a Stoke-on-Trent, nello Staffordshire: il nome del brand è infatti crasi del cognome del fondatore e della contea nella quale il pezzo vede la luce. I due vendevano inizialmente tessuti rigenerati, articoli in gomma o in plastica impermeabile, e al fondatore viene in mente l'idea di usare il cotone cerato per rendere la vita più facile agli eleganti motociclisti che si sfidano, in tutta legalità, a differenza dei cugini americani, su raffinati circuiti, tanto che già dal 1925 il motociclista Joe Wright diverrà il primo vero ambassador del marchio, indossando i loro prodotti in gara, così come, cinque anni più tardi, Amy Johnson, pilota britannica e la prima donna a volare dall'Inghilterra all'Australia. Più raffinatezza intellettuale che semplice sfoggio di muscoli, la biker jacket di Belstaff vedrà tra i suoi clienti più affezionati il leggendario tenente Lawrence d'Arabia – scrittore e agente segreto attivo negli Anni 20, che morì nel 1935, sempre, per uno strano destino, a cavallo di una motocicletta – così come la pilota Amelia Earhart, il drammaturgo Arthur Miller e persino il rivoluzionario ante-litteram Che Guevara, che la utilizzò nel suo viaggio giovanile per l'America Latina, insieme all'amico Alberto Granado, avventura che poi ispirò il libro Latinoamericana, e il film, Diari della motocicletta. E se oggi, di fronte alla pletora di personaggi pubblici, musicisti e attori, che urlano il loro sprezzo delle regole, in abiti firmati durante apparizioni studiate al millimetro, pare difficile trovare dei nuovi, reali, ribelli, e la biker jacket è diventata compendio molto glamour ma poco eversivo, si può sempre rifugiarsi nei modelli vintage. Magari, nelle loro pieghe, oltre a vecchi scontrini, si può trovare ancora quella voglia di salire in sella, sentirsi liberi, senza nessun desiderio di tornare.