Questa è un’intervista sensoriale. E per realizzarla, abbiamo preso gentilmente in prestito il tatto, il gusto, l’udito, l’olfatto e la vista (affilata, vi avvertiamo già) di Claudio Marenzi, Presidente e Amministratore Delegato di Herno Spa. Il suo curriculum potrebbe intimorire (Presidente di PITTI Immagine, ex Presidente di Sistema Moda Italia e di Confindustria Moda, Cavaliere del Lavoro dal 2016…) eppure, l’erede, sognatore e pragmatico, di una delle aziende orgoglio dell’eccellenza made in Italy, figlio di Giuseppe Marenzi e Alessandra Diana, fondatori di Herno in un giorno di foschia sul Lago Maggiore nel lontano 1948, esordisce così “sì, lo so, sono un figlio di papà. Ma quel papà mi ha fatto capire che ci vogliono i sacrifici per meritarsi i successi, mica solo un albero genealogico”. Lezione che Claudio Marenzi pare essersi cucito addosso sin da bambino, quando seguiva il padre per tutte le stanze della fabbrica in triciclo, stanze che percorrerà da ragazzo, dove trascorrerà tutte le vacanze estive a imparare a tagliare, stirare, ricamare… Dal 2007 ha in mano le sorti (rosee anzi no, piuttosto green) del brand di luxury outerwear, che dalle sponde del fiume Erno, in Piemonte, ne ha fatta di strada, percorrendo tutta l’Italia, unendola, attravverso ponti di seta e cashmere, visioni e tecnologia.

Il tatto. Toccare il lusso. Quali sono le materie prime più pregiate e come si lavorano.
La sensazione che sprigiona un tessuto non appena lo si sfiora è il primo rivelatore della qualità di un prodotto. Dal cashmere d’eccellenza alle lane più pregiate, passando per le sete sensuali, scivolose, pastose al tempo stesso. Tessuti caldi e leggeri, suona quasi come un ossimoro, eppure è questa la forza dei capi Herno. Regalarti una sensazione inattesa. Combiniamo materiali dal peso “estivo”, come la seta, alle imbottiture effetto memory, il risultato è una nuvola, estremamente leggera, estremamente calda. Ritorna così la nostra potentissima contraddizione, sensualità e funzionalità.

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Il gusto. Il sapore (della vittoria) di investire nel Made in Italy. Quali sono le sfide, gli orgogli, le difficoltà, i motivi per (r)esistere.
Tenere e mantenere l’unicità dell’Italia. Abbiamo una cultura e un dna manifatturiero che nessun altro al mondo possiede. Siamo un Paese insostituibile, dalla storia delle grandi città all’arte e l’artigianato. Noi di Herno, così come altre realtà italiane, siamo i custodi di questo orgoglio, di questo radicamento al territorio, le nostre sedi attraversano tutta l’Italia, dal Lago Maggiore alla Sicilia. La vera sfida è stare nel tuo stesso paese e poter contare sul tuo stesso paese.

L’udito. Ascoltare il lusso. Quali sono i suoni di una giornata tipo di lavoro fra vibrazioni di macchine da cucire gentili e ritmi in loop di aghi e fili.
Per me è come essere a casa. Anzi, mi sento più a casa in azienda che a casa. È come se fossi nato lì, mio padre mi portava in fabbrica ogni giorno, giravo col triciclo tra i reparti, sono cresciuto fra quelle stanze. Da ragazino, durante le vacanze estive, lavoravo anch’io in fabbrica, non scorderò mai l’odore dei tessuti bagnati, del vapore che usciva dai macchinari, dei colori, ognuno aveva un profumo a sé. È quasi un ricordo proustiano. Ancora adesso, quando mi sento teso, vado a visitare il reparto di confezionamento, ascolto i designer sviluppare idee, guardo i cartamodelli prendere vita, sbircio tra i bozzetti, amo il fatto che quei luoghi siano una fucina di idee in continuo fermento, dal fashion cost alla fattibilità produttiva. Sembrerà banale, ma ogni capo deve avere un suo perché, ed è qui che la creatività diventa pragmatismo.

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L’olfatto. Il profumo del freddo. Come si confezionano i migliori capispalla del buono e del cattivo tempo.
A modo nostro, dando il meglio. Creando capi che ti riparino e ripaghino dal freddo, evitando la pesantezza sul corpo, c’è già il freddo ad essere pesante, no? Lavorando e investendo su quella nostra dicotomia: il caldo sprigionato dal capo, la leggerezza dell’indossarlo.

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La vista. Guardare oltre. Cosa si (intra)vede nel futuro di Herno, quali sono i traguardi da tagliare soprattutto in tema di sostenibilità.
Il nostro credo, da sempre, è innovazione del prodotto e del processo produttivo. Ed è quello che continueremo a fare spostandoci sempre più verso la totale sostenibilità. Siamo partiti 10 anni fa dalle nostre fabbriche e siti produttivi, rendendoli a impatto 0. Da lì è iniziato un percorso virtuoso che ci ha portato a mappare la produzione in termini di inquinamento. È un po’ come se avessimo fatto coming out: consumiamo tot acqua, inquiniamo tot, emettiamo tot CO2, ma risparmiamo anche tot…, aggiornando via via i dati del procedimento nella costruzione di una giacca che sono diventati sempre più sostenibili. Un processo lento, sì, forse meno efficace sotto l’aspetto mediatico, ma un successo sul lungo termine. Abbiamo poi continuato lanciando l’etichetta Globe, un raccoglitore di tutti i nostri progetti legati alla sostenibilità, e collezioni sviluppate a partire da tessuti riciclabili, riciclati, o naturali, confezionati solo attraverso processi sostenibili. Il futuro di questo brand? È quello di sparire. Un giorno tutte le collezioni Herno saranno completamente sostenibili, e non ci sarà bisogno di fare delle differenze. Per adesso, continuiamo a fare il massimo, affidandoci alle tecnologie in continua evoluzione, sperando che l’essere sostenibile diventi non solo un modus operandi ma anche vivendi. Cercare alternative, accettare nuove sfide, darsi da fare, saper fare con le mani e ragionare con onestà intellettuale, sono caratteristiche che il nostro Paese possiede dalla prima rivoluzione industriale.

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