C'è qualcosa di affascinante e insieme di solenne nel vedere come - quando si tratta di fissare un ragionamento importante, di sancire un pensiero fondativo, di narrare una storia che reclama il diritto alla posterità - alla fine la solidità della carta vince sulla volatilità del web. E questo non è la solita retorica di "preferisco i libri", ma il dato oggettivo che un volume resiste al tempo, può far parte di una biblioteca, non dipende da una connessione, non richiede il wi-fi. Anche quando si tratta di una splendida indagine sulla contemporaneità o una biografia che non è solo il racconto di una vita, ma di un lungo periodo nelle evoluzioni socioculturali del nostro Paese. Certo, questi sono anche oggetti di assoluta bellezza, ma non assolvono al puro compito cosmetico di arredare casa, se messi sul famigerato coffee table: costituiscono, ognuno a loro modo, il compimento di un progetto, lo svolgimento di un percorso preciso. Di lavoro, di vita. O di tutti e due.

La biografia del Grande Anticipatore: Caro Elio - Un viaggio fantastico nel mondo di Fiorucci, di Franco Marabelli con la collaborazione di Franca Soncini (Rizzoli per Mondadori Electa)

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Courtesy Rizzoli
La cover di Caro Elio, di Franco Marabelli con la collaborazione di Franca Soncini (Rizzoli per Mondadori Electa).

Un po' di numeri: 430 pagine, 600 immagini, oltre 100 testimonianze inedite, 48 mesi di ricerche, incontri, lavori, due edizioni (italiana e inglese). La prima monografia su quel ciclone di creatività rappresentato da Elio Fiorucci, che nel '67 aprì a Milano il suo primo negozio, in Galleria Passerella. Il giorno dell'apertura, il 31 maggio, all'architetto e designer Clino Castelli viene in mente di proporre come give-away il Pill Plane Gadget, braccialetto in plastica bianca e rossa ideato per prendere correttamente la pillola anticoncezionale. Sull’Espresso uscì un pezzo di Camilla Cederna che lo descriveva nei dettagli: la pillola era appena arrivata in Italia, promuoverla era ancora del tutto fuorilegge. Il nome Fiorucci diventa presto un mito d'asporto, tanto che poi la filiale newyorkese ospiterà il lancio del primo numero di Interview di Andy Warhol. Fiorucci fu un imprenditore-creativo che intercettò le nuove istanze della gioventù - la cui "invenzione" risale proprio ai primi anni 70 - per creare uno spazio che prefigurava il concept store prima che venisse coniato il termine concept store. «La creatività ha sempre una radice nel sapere dell'altro, è il miglioramento di qualcosa che c'è già», amava dire. E così che entrò nel lessico e nelle canzoni pop (Halston, Gucci, Fiorucci / He looks like a still, that man is dressed to kill, cantano le Sister's Sledge in He’s The Greatest Dancer, 1979) e i suoi store diventano epicentri di arte, commercio, design, nel segno della sperimentazione di linguaggi che s'intersecano. «Prima c'erano le boutique, poi ci fu Fiorucci, scrive Franca Soncini nel volume, la cui pirotecnica direzione artistica è curata da un altro vecchio amico di Elio, Pier Paolo Pitacco. «Un'intera generazione fu conquistata da tanta bellezza e diversità. Non c'era nulla di simile fino ad allora, l'allegria che vi si respirava, la musica, i profumi, le luci, tutto ti faceva sentire parte di una nuova esperienza. Fiorucci diventa la meta del tempo libero, tanto che si usava dire "Che facciamo oggi? Andiamo da Fiorucci"».

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Courtesy Rizzoli- Electa Mondadori
Pagine delle agende di Franco Marabelli, 1976-1980. Elio Fiorucci gli chiese di riprogettare il negozio di San Babila a Milano, poi in via Torino, e successivamente con gli architetti designati (Sottsass, Branzi) alla progettazione del negozio di New York. Infine sono suoi i progetti dei negozi di Los Angeles, Chicago, Miami, Rio de Janeiro.

I prodotti vengono distribuiti anche all'estero, prima in Europa e poi in Giappone, Stati Uniti e America Latina. Fiorucci costruisce un mondo di riferimento non solo estetico, ma culturale, tanto che nel 1983 Keith Haring affrescherà per intero lo spazio, che diventa così un luogo museale aperto a tutti. E addirittura il grande disegnatore Antonio Lopez illustra l'invito alla festa per l'apertura dello Studio 54, realizzata in partnership con lo store dell'imprenditore milanese, che aveva lì aperto due anni prima. Così Elio Fiorucci si è trasformato nel sinonimo di un'epoca in cui credevamo che il futuro dovesse sempre migliore di ciò che ci lasciavamo dietro.

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Courtesy Rizzoli - Mondadori Electa
L’invito all'opening dello Studio 54 a New York, disegnato dal mitico illustratore Antonio Lopez: un evento celebrato da un party esclusivo realizzato in partnership con Fiorucci.

Un pensiero critico sulle riviste di moda "di nicchia": Editoria come curatela, di Saul Marcadent (Marsilio)

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Courtesy Marsilio
La cover di Editoria come curatela di Saul Marcadent. La postfazione è firmata dalla grande studiosa di moda Judith Clark



«Occorre difendere la volontà di essere di nicchia, si tratta di un modo alternativo di stare in società e, al tempo stesso, di alimentarla. Le nicchie vanno affermate non soltanto come forma di resistenza: sono laboratori in cui avviene il cambiamento in cui si generano e attuano nuove modalità». Saul Marcadent introduce così uno dei capitoli seminali del suo libro-saggio Editoria come curatela, prima ricognizione condotta con rigore scientifico sulle riviste di moda destinate a cerchie più ristrette - o più elitarie? - di lettori. Ricercatore all'Università Iuav di Venezia e curatore, l'autore pone come oggetto della sua ricerca «i rapporti tra moda, editoria e cultura visuale, l'art direction e il graphic design, l'intreccio tra il fare editoriale e una prospettiva teorico-critica. Ha ideato anche la serie di conversazioni Publishing Traffic per Gucci Garden a Firenze. Questo libro intende valutare le pubblicazioni che interpretano la contemporaneità come movente della creatività vestimentaria e, ancora di più, della creatività con cui gli oggetti della moda vengano "riletti" da riviste come Purple, Tank, Visionaire, Dust, Alla carta, A Magazine, Dutch, Six e altre, soprattutto radicate nella cultura degli anni 90: quel decennio in cui si sviluppa esattamente l'idea del magazine come galleria, che richiede dunque l'attività proprio di un curatore-regista che ne calibri contenuti e immagini secondo una chiave non scontata.

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Alan Chies. Benoît Béthume
A sinistra, una foto di Alan Chies. A destra, un ritratto di Benoît Béthume che fanno parte del "saggio visivo" di Saul Marcadent.

L’ultimo capitolo si intitola Nuovo inizio ed è focalizzato sull’orizzonte editoriale del nuovo millennio: racchiude la postfazione di Judith Clark, studiosa di moda e docente al London College of Fashion. Saul ha inserito anche un saggio visivo inteso come una mostra in pagina, ovvero una raccolta di immagini inedite di sei fotografi contemporanei: Alan Chies, Benoît Béthume, Elizabeth Bick, Paolo Di Lucente, Estelle Hanania e Dario Salamone. Così anche Editoria come curatele diventa a suo modo una "metarivista", un grande magazine che riflette sui magazine. E si candida a diventare uno strumento di lavoro non solo per chi vuol intraprendere studi nella moda, ma anche sociologi, semiologi, storici dell'arte. Del resto, è attraverso questi veicoli di comunicazione - oggi sempre più interconnessi con le piattaforme e i social, le esperienze a distanza - che saranno anche in grado di mettere in relazione competenze e saperi e gesti e gusti differenti, ma non ci permettono di tornare a quel dato umano cui l'autore fa spesso riferimento. Un dato concreto come la carta. «Più che immaginarlo, abbiamo la responsabilità (...) di riprogettare il futuro. Buona parte delle mie azioni avvengono nel territorio dell’università e sento forte questa urgenza. Penso si debba riprogettare un futuro in cui un’idea di misura è tenuta maggiormente in considerazione. Fare le cose a misura d’uomo», ha dichiarato l'autore in un'intervista. Un volume necessario, anzi di più: urgente.

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Paolo Di Lucente
Una fotografia di Paolo di Lucente, sempre contenuta nel saggio visivo del volume Editoria come curatela, di Saul Marcadent.

Ri-significare la tradizione: Valentino Garavani VLogo Signature curato dal Direttore Creativo Pierpaolo Piccioli, testi di Jacopo Bedussi (Valentino S. p. a.)

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Valentino S. p. a.
La cover e la confezione di Valentino Garavani VLogo Signature curato dal Direttore Creativo Pierpaolo Piccioli.

Da qualche tempo Pierpaolo Piccioli, direttore creativo della maison Valentino, ha introdotto il concetto di ri-significazione per definire i dispositivi culturali attraverso i quali spiega il suo fare moda: ovvero, secondo la Treccani, "la tendenza (detta anche effetto retroattivo) dell’apparato psichico a connotare con nuovi significati eventi appartenenti al passato". In quest'ottica, l'operazione di affidare a 16 magazines (032c Magazine, 10 Magazine Australia/UK, Another Magazine, Antidote Magazine, Cactus Magazine, Commons & Sense Magazine, Commons & Sense Man Magazine, Dapper Dan, Dazed China/Korea Magazine, Dazed China Magazine, Dazed UK Magazine, DUST Magazine, Love Magazine UK, Muse Magazine, ODDA Magazine, Purple Magazine) le borse del marchio hanno restituito inediti meccanismi di senso al logo, in libere associazioni visive con la più totale libertà fotografica e artistica. I magazine ne hanno non solo rivisitato la forma, ma anche il suo potere simbolico. Cos'è un logo, del resto? Un codice di appartenenza? Un'allegoria di un pensiero che diventa disegno? Un marchio di distinzione? Un'immagine che sprigiona un universo creativo in grado di ricalcolare, come in un viaggio su Google Maps, continuamente la sua rotta per l'oggi e il futuro?

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Courtesy Valentino S. p. a. / Idea Books
Il logo Valentino Garavani "esplorato" dal magazine Common & Sense.

È intorno a questa idea che l'artbook si dipana, corroborato dai testi incisivi di Jacopo Bedussi, che in una nota stampa, dichiara: «Il contemporaneo è costellato di loghi. Raramente ci chiediamo però che cosa davvero siano questi loghi. Di cosa parlano? Quali echi richiamano? Quel che siamo soliti chiamare logo è in realtà l’abbreviazione di logotipo. Dal greco λόγος - logos, parola e τύπος - typos, lettera. Una parola che diventa un segno. E quindi un segno che significa un racconto. Un’idea che si muove in spazi attigui, a modo loro ovvi, forse così ovvi che diventa difficile leggerli. Un’idea che si fa parola e poi si condensa in segno attraverso la grafica. Un segno fatto di linee, di rette e di curve, di pieni e di vuoti. E che poi ancora dal foglio o dallo schermo può esplodere in oggetto tridimensionale e quindi finalmente reale. E unirsi indissolubilmente agli oggetti e alle creazioni di un marchio diventandone parte fondamentale e strutturale». Da parte di Pierpaolo Piccioli, invece, oltre all'idea iniziale, vi è stata la direzione creativa del volume su cui è intervenuto nelle pagine intervallando i progetti commissionati con disegni, foto, pensieri, parole, scritte, cancellazioni e tutto ciò che pertiene alle trasformazioni dei pensieri: proprio in un momento in cui si è assunto il compito non facile di mantenere saldo il dna della maison, adeguandolo ai concetti attuali di diversità, inclusione, percezione del lusso. Per dimostrare che il famigerato heritage non è un fardello imbalsamato da sopportare e trasportare nello scorrere degli anni, ma una ricchezza mentale che è espressione di dinamismo e voglia di colloquiare con realtà altre. Celebrati in questo volume, che a sua volta è simbolo di una creatività partecipata e collaborativa.

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Courtesy Valentino S. p. a. / Idea Books
Un bozzetto di Pierpaolo Piccioli su due fotografie di Yann Weber per il magazine Antidote.

Valentino Garavani VLogo Signature Book è disponibile per l’acquisto in selezionate boutique Valentino e sul sito della piattaforma Idea Books.