Sarà la nuova necessità, ereditata della pandemia, del prossimo inverno, anche lontano dalle cime innevate? Sulle motivazioni non si è certi, ma le ultime sfilate hanno confermato una improbabile tendenza, quella del ritorno del passamontagna, abbinato agli abiti all'uncinetto da sfoggiare nel buen retiro invernale a Cortina d'Ampezzo, o come complemento invece di maxi parka molto urbani. Eppure il cappello in lana nasce, come molti dei capi che utilizziamo in città oggi, dal bomber alla sahariana, per esigenze militari. Il nome in inglese, in effetti, da noi tradotto laconicamente come passamontagna, dimostrando un certo gusto per la praticità linguistica, è il ben più evocativo balaclava, a sua volta anglicizzazione dell'originario Balaklava. Ma perché la cittadina della Crimea, il cui nome in turco vuol dire "zona di pesca", e che era un sobborgo della più grande Sebastopoli, è poi divenuta sinonimo di un cappello usato a ben altre altezze? Il motivo è nella Guerra di Crimea, svoltasi tra il 1853 e il 1856, durante la quale i britannici tentarono l'attacco della cittadina fortificata dai russi, con una famosa brigata leggera. Il motivo del contendere tra Impero russo e, in buona sostanza, il resto del mondo – impero ottomano, Francia, Gran Bretagna e Regno di Sardegna – risiedeva in un litigio pretestuoso tra Russia e Francia sul controllo dei luoghi santi della cristianità in territorio ottomano, e nascondeva invece i timori da parte dell'Occidente di un'eccessiva espansione dell'impero russo. L'assedio di Balaklava, in questo senso, rappresentò una sconfitta per gli alleati, anche se poi la guerra fu infine vinta. A fermarli dall'entrare della città furono anche le condizioni meteorologiche avverse, e ovviamente il clima gelido: soldati e ufficiali, l'élite e i ranghi più bassi, erano accomunati da un freddo pungente, al quale non sapevano trovare soluzione. A risolvere la vexata quaestio furono, senza clamore, le donne, le madri, le figlie, o semplicemente cittadine preoccupate delle sorti del loro esercito che nei circoli londinesi cominciarono a intessere questi cappelli in lana, che lasciavano scoperti gli occhi, permettendo ai militari di affrontare le successive battaglie in sicurezza, e senza rischiare l'ipotermia.

instagramView full post on Instagram

Certo, la versione parecchio wasp del marchio Cashmere in love, da indossare con un total look – ovviamente – in cashmere, è perfetta per i minimalisti chalet ad Aspen delle facoltose famiglie della benestante aristocrazia americana, ma poco gli è rimasto del guerresco berretto con i quali gli inglesi sfidarono i freddi venti russi, e che poi usarono anche in successivi conflitti nei quali le temperature andavano al di sotto dello zero. Talmente l'idea sembrò intelligente che persino i russi più reazionari, usi a disprezzare qualunque cosa arrivasse fuori dai loro confini, forse inteneriti da come quella inaspettata tendenza fosse nata proprio sulle loro terre, decisero di utilizzarlo per tutti i conflitti che poi animarono il XX secolo. Recupera una sorta di utilitarismo montano seppur ingentilito da una gamma cromatica dichiaratamente femminile, il modello che invece Miuccia Prada ha fatto indossare alle sue modelle per la sfilata dell'Autunno Inverno 2021 di Miu Miu, Brave Hearts. Un'evasione eclettica, nella quale la creativa milanese teletrasporta la platea di insider e semplici aficionados lontano dall'apatia di una vita passata tra le quattro mura casalinghe, posizionandoli su un innevato cocuzzolo di Cortina d'Ampezzo. Il clash culturale è tra i parka dai colori accesi abbinati a scenografici stivali da yeti, così come ai passamontagna – accessori classicamente ritenuti necessari per i climi delle Dolomiti – e i vestitini da cocktail con applicazioni e ricami, o con inserti realizzati all'uncinetto, una sorta di madeleine tessile degli inverni passati in montagna nell'infanzia pradesca.

miu miu autunno invernopinterest
courtesy Miu Miu press office
Un look della sfilata Miu Miu a/i 2021

Diversa è l'ispirazione a cui attinge AndreAdamo, per la sua prossima collezione appena presentata alla Milano Fashion Week. In maglieria seamless colorata di un nude democratico – che va dal beige al nero seppia – l'omaggio esplicitato è al grande maestro dimenticato della moda italiana, Walter Albini. E in effetti Walter Albini, natali a Busto Arsizio, e vita che meriterebbe più di una trasposizione cinematografica, negli Anni di Piombo, caratterizzati dai rapimenti delle Brigate Rosse e dall'assassinio Moro, operati da gruppi politici che, per rendersi anonimi, usavano proprio il passamontagna, osò addirittura realizzare per il marchio Trell una collezione chiamata Guerriglia Urbana, ( A/I 1976/ 77) con le modelle intabarrate nei passamontagna. Un accessorio che, in questo caso, acquistò una forte connotazione storico politica, tanto da far inorridire alcune giornaliste presenti alla sfilata, scandalizzate dall'irriverenza di un creativo per il quale il presente, persino quello più crudo, poteva trasmutarsi in una collezione di moda che proprio dello Zeitgeist parlava.

adamo, passamontagnapinterest
Courtesy press office

Privo di qualunque tipo di riottosità politica, il passamontagna è apparso anche sulle passerelle di maison come Givenchy, e di brand più di nicchia come Tiger of Sweden. D'altronde, negli anni segnati dalla pandemia, dal ritorno di volumi avvolgenti, di piumini che assomigliano a maxi coperte nelle quali avvolgersi se non quando a carapaci nei quali ritirarsi alla ricerca di protezione, dimenticare per un attimo l'esistenza obbligatoria della mascherina nelle nostre vite, sovrapponendovi uno scudo in morbida lana, può essere il primo atto rivoluzionario del prossimo inverno.