#shopsmall #bethechange sono gli inni social-i con cui si batte a colpi di jacquard di seta e bouquet di piume vintage sul mercato della moda Made in Italy. Fin dalla sua fondazione nel 2016 (che ha una storia da film americano, la scoprite leggendo l’intervista alla direttrice creativa Carolina Cerutti), Art Dealer ha deciso di smuovere le acque inquinate del mass market muovendosi lentamente, in nome dello slow fashion prezioso, responsabile, circolare. Abbiamo scoperto come nascono i suoi dream dress desiderio a-stagionale, a-generazionale...

Com’è disegnare sul e per il corpo di una donna?
Una sfida continua. Lavoro con un obiettivo fisso in testa: i miei capi devono essere accoglienti, letteralmente. Devono essere disegnati in modo da accogliere qualsiasi corpo, di qualsiasi donna, di qualsiasi età, senza escludere nessuno.

Dal 2016 a oggi com’è cambiato il tuo modo di fare business?
È cambiato completamente. Inizialmente Art Dealer era un vero e proprio diario su Instagram in cui condividevo bozzetti, fasi del processo creativo e produttivo, Q&A con la community per dare e ricevere consigli e feedback, insomma, siamo nati come un marchio direct to consumer, lanciavamo un paio di camicette e abiti a stagione. Poi siamo passati al whole sale, con una parte di retail in tutto il mondo. Un salto da gigante ma preceduto da tanti piccoli passettini di anno in anno. Oggi paradossalmente stiamo puntando di nuovo sulla vendita direct to consumer, per noi è la carta vincente per un business vincente.

Quindi parliamo di piani di marketing devoti all’Instagram-shop?
Penso che il successo non si veda dai social, i social semmai sono lo strumento per raggiungere il successo, che per noi è l’affetto della community. Se lanci messaggi forti e trasparenti, ci metti la faccia, mostri chi sei e chi sono le persone che lavorano con te, il lavoro enorme che c’è dietro una collezione, le persone non potranno che sentirsi coinvolte. E, quindi, essere spontaneamente portate a investire su un prodotto di cui conoscono la storia e la qualità.

Quanto è più costoso produrre 100% Made in Italy?
Se mi chiedi se senza fare un investimento importante si può creare un marchio Made in Italy, ti dico la verità, ti dico di no. È una scelta molto costosa, dalla registrazione del marchio alla creazione del prototipo di ogni capo, passando per un’infinità di altri costi che non ci si può immaginare. La soddisfazione però, alla fine, è impagabile. Hai un prodotto di qualità vera, distante anni luce dal mass market. Continueremo sempre su questo percorso, anche se significa investire molto.

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Leggevo sul sito di Art Dealer che tra i capisaldi del vostro manifesto di brand c’è la voce “best working conditions”, come si traduce nel vostro lavoro quotidiano?
Noi siamo una start up con la mentalità da start up: siamo giovani, permettiamo a tutti di avere spazio creativo per dire e fare quello che pensano, concediamo tutta la flessibilità di questo mondo in fatto di orari e esigenze famigliari diverse, siamo molto aperti a tutte le realtà dei dipendenti. La moda che vogliamo comunicare rispetta le persone, non calpesta la loro qualità della vita.

E, quindi, come si fa a stabilire un prezzo finale che tenga in considerazione tutti i valori di cui abbiamo parlato finora?
Noi tagliamo tanto i nostri margini di guadagno, la gente si stupisce quando vede i prezzi dei nostri capi, mi dicono tutti “com’è possibile vendere made in Italy a queste cifre? Sei matta?”. Di fatto, proviamo a fare un calcolo onesto che copra le nostre spese, ci soddisfi, racconti la qualità del prodotto - dai tessuti al fit giusto, e che sia in primis trasparente con il cliente, senza un sovraccarico inutile. Anche perché conosciamo benissimo la nostra generazione e il momento storico in cui viviamo, non avrebbe senso lanciare sul mercato abiti dalle cifre folli, la gente non fa altro che ricevere stimoli in continuazione da tutte le parti, e comprare comprare comprare abiti low cost che mette solo una sera e forse mai più.

E allora quali sono le caratteristiche per confezionare un abito senza tempo? Di quelli che non compri solo per una serata e poi dimentichi nell’armadio…
Non seguire troppo le tendenze last minute. Confezionare abiti dal taglio minimale ma al tempo stesso particolare. Come i wrap dress, abiti che si adattano a qualsiasi silhouette, se prendi o perdi qualche chilo, sono sempre perfetti. Pensare a un’eleganza senza tempo, a un abito che fra cinque anni non parlerà a un’altra te, guardandolo lo amerai sempre.

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Qual è il vostro best seller?
L’abito midi fuxia Very Berry in 100% jacquard di seta à pois, un colore che sta sorprendentemente bene a tutti. E anche le camicie in seta.

“E quindi uscimmo a riveder le amiche”, forse ci arrivo da sola, ma qual è l’ispirazione dietro la collezione SS21?
Dopo mesi invernali di continui lockdown avvolti da giornate fredde, malinconiche e buie, questa collezione nasce dalla voglia di ripartire e di condividere con la nostra community tutto questo desiderio di vita che sentiamo. Voglia di ritrovarci, di conoscerci, di sorrisi e gioia. Ogni abito rappresenta una sfumatura della bella stafione, dai colori dei fiori a quelli dei frutti: Spring Bouquet, Very Berry, Lemon Meringue sono alcuni dei nomi scelti per rappresentare questa atmosfera rigogliosa fatta di novità, luce e tepore. Sì, c’è anche il lilla, un colore che fino a poco tempo fa mi dicevano che non avrei mai venduto e invece…

Parte della collezione è stata realizzata a partire dal recupero di tessuti di scarto. Raccontami un po’.
Il tema della sostenibilità per noi è importante, anche se è difficile per realtà piccole come la nostra essere sostenibili al 100%. Anche qui, si tratta di un processo molto molto costoso. Il cotone ecologico costa più della seta, per intenderci. Sono sincera, Art Dealer non sarà un marchio completamente sostenibile ma è completamente responsabile. E noi ci teniamo tanto alla responsabilità da tutti i punti di vista, dalla scelta delle sete alle lavorazioni, passando per le condizioni di lavoro del nostro team. Per recuperare i tessuti con cui è stata confezionata la collezione siamo andati in un setificio di Como dove hanno uno stock enorme di tessuti anni Novanta, che loro hanno dato per persi ma senza rendersi conto che possono essere la fortuna, il valore aggiunto, per piccole realtà come la nostra. Tessuti super particolari e soprattutto impossibili da riprodurre oggi, non esistono più nemmeno i macchinari con cui erano stati ricamati. Produrre moda sostenibile è sì un business ma anche una filosofia di brand da includere nel mercato.

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“Okay forse disegnare vestiti non è solo una passione, posso farne un lavoro”, quando lo hai detto/ammesso a te stessa?
Un giorno nel 2016 in un negozio vintage a Los Angeles, mentre provavo abiti particolari che avrei voluto disegnare io.

Visto il mood nostalgico… Se tu potessi indossare un tuo abito in un’altra epoca, quale sarebbe e per andare dove?
A uno di qui party wow degli Anni Settanta.

Quest’anno avete introdotto anche una piccola collezione knitwear.
È stata una sfida perché sì, volevo farlo a tutti i costi, ma non avevo mai lavorato con la maglieria, è un settore che non ha niente ma niente a che vedere con il confezionamento degli abiti. Dalle lavorazioni alle tempistiche passando per i tagli e macchinari, sono processi completamente diversi. Il mio moodboard è quella maglieria anni 90 in stile Natale a Palm Springs.

3 situazioni (che vorremmo vivere ASAP), 3 look consigliati. Partiamo.
Brunch al parco
L’abito in seta e cotone, il Coral Midi Dress con maniche a palloncino.

Aperitivo in terrazza.
Qualcosa di corto, l’abito mini Pink Flambé & Lime Punch, con maniche lunghe ma leggerissimo, femminile e delicato.

Cena in masseria.
Il wrap dress Paradise Green, fresco, elegante, versatile, per non essere mai overdressed.

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