Nel film del 1935 diretto da James Whale La Moglie di Frankenstein, da alcuni considerata una commedia dell'orrore, da altri un'astuta allegoria queer, la donna-mostro creata dal dottor Pretorius appare sullo schermo per meno di cinque minuti, verso la fine, eppure questo personaggio è diventato istantaneamente un’icona horror riconoscibile e ricca di significato. A differenza della Creatura di Frankenstein, la Moglie non è in grado di parlare e si esprime solo con strilli e urla di terrore, ma prende vita lo stesso sullo schermo grazie a un costume e una parrucca memorabili, senza sottovalutare l’interpretazione di Elsa Lanchester, tutto un gioco di occhi e sopracciglia alzate. Solitamente i mostri dei film su Frankenstein, con le loro vesti strappate e impolverate, evocano forza e brutalità, al contrario dei mostri femminili che portano piuttosto a riflessioni meno ovvie sul ruolo della donna (può la Moglie esistere solo come soluzione alla solitudine dell’uomo?) e la sessualità femminile (può la Moglie fare sesso con il rischio di procreare altri mostri?). Qui la donna, un po’ Nefertiti e un po’ fantasma, risplende con il suo abito lungo fino a terra, bianco abbagliante nell'oscurità del laboratorio, le braccia ancora avvolte nelle bende post-operatorie, castissima ma ancora femminile.
Il contrasto con un'altra donna della storia, la Mary Shelley del prologo, anche questa interpretata da Lanchester, è evidente: se l'abito di Shelley, sempre bianco e dalla scollatura vertiginosa, è ricamato con lustrini a forma di farfalle, stelle e lune, e appartiene a un'epoca che non c'è più, il costume della Moglie è invece grezzo, informe e fuori dal tempo, per questo facile da imitare ancora oggi. Anche se l'abito che ha richiesto 17 ricamatrici e due settimane di lavoro è stato dimenticato da tutti, entrambi i look hanno creato problemi al film che i libri di storia del cinema ancora ci tramandano. Il primo era così sensuale da mandare in crisi i censori di Hollywood, il secondo aveva costretto l'attrice a bere il meno possibile sul set perché andare in bagno avvolta in tutte quelle bende era una scocciatura e richiedeva assistenza.
Oltre ad aver avuto un successo immediato, la reputazione del film è cresciuta continuamente dagli anni ’50, mentre l'immagine della sposa vestita con una palandrana bianca, le maniche lunghe e il rossetto nero è mutata da icona cinematografica a costume tradizionale di Halloween, uno di quelli che si possono comprare all’ultimo minuto in un grosso supermercato, come il kit maglione a righe e cappello di Freddy Krueger o la maschera deformata di Scream. Negli Stati Uniti, dove la Universal detiene da sempre i diritti del film, appartiene a quel calderone di soggetti che generano introiti tutto l’anno, basta entrare in qualche negozio di abbigliamento per adolescenti - specialmente il vecchio paradiso degli emo, Hot Topic - e tra un pigiama di Sponge Bob e una t-shirt di Friends o Totoro, The Bride of Frankenstein è sempre presente, ovviamente accanto ad altri classici del genere: The Nightmare before Christmas e Beetlejuice.
L’elogio massimo, lussuoso e intellettuale, è arrivato nel 2019 con la collezione Autunno-Inverno di Prada, utilitaria e romantica, con molto nero costellato di rose dall’aspetto macabro, lampi e bulloni, e la coppia di mostri in questione. Una scelta calzante per perpetuare una delle idee cardini di Miuccia Prada, ovvero che il brutto, e per estensione il mostruoso, ha tanto appeal e potenziale quanto la bellezza canonica, perfino quando non può nemmeno scandire una parola.