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La moda della Primavera Estate 2018? Una metamorfosi dell’abbigliamento in narrazione

In una stagione che non ha rivelato molte sorprese, il regalo più importante è che ogni maison sia tornata a coltivare con passione il proprio patrimonio genetico ed estetico.

Di Antonio Mancinelli
Gucci Primavera Estate 2018pinterest
Courtesy Photo

«La cosa che più mi appassiona di questo progetto è la nostra relazione con il passato. È impossibile conoscerlo veramente, quello che ci rimane è una manciata di frammenti di oggetti e storie. I Tesori ritrovati hanno a che fare con il mito, con ciò in cui crediamo. In un certo senso la mia fede nell’arte è come una religione». Parole di Damien Hirst, a proposito della grande mostra veneziana – correte a vederla! - Treasures from the Wreck of the Unbelievable, che ha molti punti in comuni con la sfilata di Alessandro Michele per Gucci. Per l’artista inglese, una monumentale opera-kolossal che raduna, falsifica e mette in discussione la connessione con ciò che siamo stati. Per il designer italiano, anzi romano, un allestimento al buio dove sciabolate di luce al laser illuminano creature che incedono lungo una traiettoria che mima il corso del Tevere, tra riproduzioni in scala 1:1 di archi trionfali, sfingi egizie, piramidi azteche, addirittura una mummia deposta accanto alle sedie degli invitati, come fosse entrata con il meraviglioso invito-scatola che contiene candele nere, fiammiferi, carte profumate e misteriosi fili.

La sfilata è un tempestoso, inquieto, tellurico corteo che è un bignami sinestetico, tra profumi, suoni e colori in forma di abito che suscitano gli stessi interrogativi che ci siamo posti di fronte al lavoro di Hirst. Davvero non possiamo, non riusciamo o non vogliamo liberarci del passato? Davvero, come dice Michele, è necessario liberarsi «dall’illusione del nuovo a ogni costo?». Davvero siamo destinati – noi stessi, noi umani, a diventare reliquie del futuro? Mito e rito, spiritualità e spiritismo, i costumi di Elton John riprodotti fedelmente e le citazioni dei pittori fiamminghi hanno lo stesso peso culturale? C’è malinconia e furiosa gioia nel sovvertire ogni ordine precostituito, c’è la minaccia di una bellezza furibonda che oggi potrebbe essere messa in pericolo e che Gucci riconsegna al culto spasmodico di una molteplicità che tutti accoglie e nessuno rifiuta, in grado di alterare poeticamente il corso del tempo e delle gerarchie intellettuali. Una collezione epica, conturbante, omerica, sulle note struggenti di Clint Mansell usate per la colonna sonora di uno dei film più tragici di alcuni anni fa, Requiem for a Dream, di Darren Aronofsky, tratto dal romanzo del 1978 di Hubert Selby. Eppure, basta vedere il pubblico, affollato di fan, per capire come oggi l’intero globo sia sottoposto a un processo di guccificazione: e non nel senso della doppia “G”, ma nel rispecchiarsi in una filosofia di vita che rielabora il passato in forme felicemente disordinate.

Viviamo nell’epoca delle ritornanze, forse quello che c’era da dire è stato già tutto detto e null’altro ci rimane se non mescolarlo secondo ricette che possiamo cucirci e cucinarci solo noi. Resta il fatto che il brand, di proprietà del gruppo francese Kering, vende. Vende moltissimo. Due miliardi e mezzo di fatturato, e non solo di profumi o sneakers, ma anche vestiti. Cosa significa? Che il sortilegio operato da Alessandro Michele è che la ricetta per avere successo è voltare le spalle alle prescrizioni dei maghi della finanza. E fa sorridere che – come molti colleghi hanno titolato – Gucci continuerà a fare sempe Gucci. È giusto così. Come è giusto che Miuccia Prada continui sempre più a pradizzare l’esistente e Donatella Versace a versacizzarlo.

In una stagione che non ha rivelato molte sorprese, il regalo più importante è che ogni maison sia tornata a coltivare con passione il proprio patrimonio genetico ed estetico. È così per una collezione da miliardaria felice per un rinato Emilio Pucci. È così per Miuccia Prada, che oscilla tra il pop e lo snob – utilizzando il lavoro di sei cartoonist donne per le stampe – in un’indagine di una femminilità che oggi ha bisogno di protezione anche attraverso dei simboli: la presenza del manto animale, le fasce borchiate da gladatrice, le scarpe comode per marciare, le linee rotonde per non ostacolare il movimento. È così per Alessandro Dell’Acqua nella sua collezione più bella per N°21, dove ritrova il “suo” color nudo e un ritrovato romanticismo asciutto, senza ninnoli, quasi austero. È così per Donatella Versace che rielabora i capisaldi del fratello Gianni e in una collezione-tributo ripropone stampe e materiali che gli appartenevano.

A noi che guardiamo, sembra che la novità di questa turbolenta prossima estate sia la metamorfosi ormai completa dell’abbigliamento in letteratura. Meglio, in narrazione. E cosa si può raccontare meglio, se non ciò che già si conosce, ciò che meglio rappresenta il nostro mondo interiore per tramandarlo e diffonderlo? L’archeologia emotiva è quella che più fa risplendere i nostri tesori: e trasforma i ricordi in desiderio vibrante, e anche in voglia di comprare. Perché, come scriveva Marcel Proust, «l’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi».

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Gucci Primavera Estate 2018
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