Le tendenze dalle sfilate Uomo Autunno Inverno 2015/2016
Animale, sentimentale: sulle passerelle un maschio che oscilla felicemente tra virilità e femminilità.
Arrivati al gran finale, con Giorgio Armani, della milanese Fashion Week (che poi dura quattro giorni, ma vabbè), ammettiamo con malcelata fierezza di aver ammirato o visto delle collezioni importanti, poderose e talora, anche ponderose. Almeno a giudicare dalla stratificazione (si dice "layering") - di scarponi, sciarponi, stole, pullover, camicie, giubbotti, cappotti, pantaloni e anche gonne: ovviamente da non indossare in quest'ordine , ma in uno styling più creativo, tangenziale al dadaismo. Ci aspettano tempi cupi, ai limiti della glaciazione, almeno secondo le firme dello stile d'alto lignaggio. Certo, tra il calo del rublo, il prezzo ribassato del petrolio e l'euro in discesa c'è il rischio che si resti al freddo in senso letterale, ma questa predisposizione a un guardaroba bollente è molto più di un semplice Piano B rispetto al pericolo dei termosifoni spenti. È un richiamo all'essenza più intima e non-detta del maschio attuale, percepito come creatura fragile, che: 1) o impara a difendersi; 2) o depone le armi e si consegna al mondo nell'interezza della la sua vulnerabilità.
Ritornare alla terra. Non esattamente un invito a riprendere zappa e roncola per mettere insieme il pranzo con la cena, ma una connessione analogica da ritrovare con la Natura. Proprio quella con la "enne" maiuscola, comprensiva di flora. E soprattutto, di fauna. Quindi: buttare via smartphone e tablet, affidarsi al tam tam della propria tribù (e torneremo sul concetto di "tribù") e usare senza scrupolo alcuno le spoglie mortali di montoni, visoni, lapin, volpi, lupi. Sia chiaro, qui siamo totalmente laici in fatto di animalismo: Pasqua non è Pasqua senza l'agnellino arrosto, Natale non è Natale senza il cenone della vigilia solo a base di pesce, bistecche e patatine sono presenze costanti nel menu, ci si è zero commossi per le oche spiumate vive nella puntata di Report. Però non si erano mai viste tante pellicce, per titillare un Neanderthal dormiente. Era proprio il caso? E soprattutto: chi può comprarsi un capo di un materiale che il cui prezzo al metro quadro corrisponde a quello di un appartamento in pieno centro? A parte questo, erano in terra vera addirittura molte passerelle, tra boschi ricreati "live" (Zegna) o suggeriti dalle immagini (Ferragamo, con Massimiliano Giornetti a firmare una delle sfilate più belle con scimmie, farfalle e vari abitanti delle foreste, o dipinti a mano o ricamati con perizia certosina).
Ritornare alla guerra. Come avevamo già riportato dal fronte del Pitti, c'è nell'aria una sensazione di riunirsi in gruppo per fronteggiare qualcuno che definiremmo in qualsiasi modo tranne che: "amico". Dai biker punk deluxe di Diesel ai capispalla di architettura perfetta, ideali per un team sportivo, di Andrea Pompilio, passando per le squadre di Emporio Armani e per gli squadroni di Les Hommes, dal gruppo di militar-dandy disegnati di John Varvatos al clan di ciclisti 3.0 di Daks, emerge il senso di un'esigenza di stringersi a coorte (e anche a corte, per alcuni brand che indulgono a tessuti brillanti per la sera, vistosi come operai dell'Anas durante una giornata di nebbia). La persistenza del parkapresentato in ogni sfilata, al rischio di sfinimento da noia per gli addetti ai lavori, ne è la conferma. I più belli? Quelli giganti, foderati di ettari di pelliccia (ma va'?), di DSquared2. Ma anche le sweatshirt con pennellate di colore come tracciate a pennello da "posse" di graffitisti snob firmate Luca Larenza: uno dei nomi giovani più da tenere d'occhio. Bravissimo.
Ritornare alla serra. C'è un puntiglio da botanico accanito nella ricerca di petali, foglie e tronchi sistemati peggio di un erbario medievale (bellissimi i motivi floreali di Etro, per esempio). Un'insistenza nel décor vegetale che in alcuni casi sarebbe degno di miglior causa. In altri, come in Antonio Marras, diventa pattern ripetitivo che si trasforma in un wallpaper very english o si confonde in un camouflage soldatesco. Da ritrovare nelle sciarpe enormi e nella tavolozza di autunnale fascino che trova in Missoni il cantore più raffinato. Volendo allargare la metafora, cos'altro è una serra se non un'incubatrice dove curare le piante più delicate? Ecco che da Prada (dove l'allestimento, ispirato a Il palazzo infinito di Borges, ha infinite stanzette una dentro l'altra che sono salotto e cenacolo) e da Gucci si procede con cautela a ibridazioni tra stami (maschili) e pistilli (femminili), per dar vita a ibridazioni sessual-generazionali. Elementi base dell'armamentario della donna e lo frullano con i classici dell'uomo. Il risultato dell'esperimento è quello di dar vita a una nuova ondata di virilità che mai come questa volta rima con femminilità, senza che il cattivo gusto prevalga, ma primeggi una disturbante e fascinosa estetica che appartiene ai giovani d'oggi. Sicuramente non in grado di comprarsi singolarmente il soprabito in nylon nero di Miuccia o il montgomery rosso di Gucci. Però magari, unendo le rispettive forze economiche, chissà. Che l'androginia o l'en travesti sia la nuova frontiera del marketing, visto che lui e lei possono mettersi la stessa cosa?
P.S. Ehi, qui si scherza. Abbiamo letto abbastanza Germaine Greer ieri e Naomi Wolf adesso, per non fare stupide esegesi sull'eunuco come icona comportamentale. Durante questi giorni di défilé, con Milano trasformata nella città con la maggiore densità di gay nel mondo, si è tenuta - e in pochissimi hanno notato questa surreale coincidenza - la conferenza superomofoba “Difendere la famiglia per difendere la comunità" - fortemente voluta dal leghista Roberto Maroni, Presidente della Regione Lombardia. Alla fine, delle sfilate e della conferenza, ci è sembrato che a vincere sia sempre l'amore (vedi la sfilata sentimentalissima e affettiva di Dolce & Gabbana). Mah. Siamo d'accordo con il sociologo Massimo Introvigne che il vero nemico delle famiglie (e dell'industria della moda, aggiungiamo noi), «non sono i gay. È il fisco».
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