Roma, interno giorno. Valeria Bruni Tedeschi si collega puntuale per il nostro appuntamento via web regalandoci una luminosità quanto mai necessaria visto il periodo e il cielo grigio che c’è là fuori. Sempre sorridente, ci fissa con i suoi occhi celesti, la maglia comoda che indossa le scende sul lato sinistro, facendo intravedere così la spalla nuda. È a casa sua, a Parigi, e mentre ci parla, senza troppo distrarci, non possiamo non notare dietro di lei una libreria piena di libri e una tavola ancora apparecchiata. Sulla tovaglia a quadri rossa e bianca con una bottiglia d'acqua di plastica. Sarà stata messa lì volutamente o sarà stata dimenticata? Poco importa saperlo, anche perché, quando si ha a che fare con una come lei, tra le attrici (e registe) più amate e apprezzate nel cinema italiano e internazionale, non si può far altro restare lì ad osservarla e ad ascoltarla – interagendo, certo – ma finendo sempre con lo stupirsi ogni volta come se fosse la prima. Ricordate (come scordarlo) l’esilarante discorso che fece quando ritirò il David di Donatello tre anni fa? La pazza gioia era lei e non soltanto il titolo del film per cui venne premiata. Chi scrive la ricorda a Cannes – da attrice, da regista o da giurata – e in altri festival del cinema, da Berlino a Venezia, come in un caffè a Roma o a Parigi, protagonista di situazioni a dir poco rocambolesche e divertenti. Valeria è sempre (ma solo apparentemente) un po' naïve, è sempre pronta a mostrarsi per quello che è, senza strutture, senza timore o fronzoli, è sempre pronta ad arrivare dritta al cuore di chi si imbatte in lei o la vede solo recitare sul grande schermo.

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La incontriamo per parlare dell’ultimo film da lei interpretato, Gli Indifferenti, prodotto da Vision Distribution e da Indiana Production, che per ovvi motivi non uscirà al cinema, ma si potrà vedere sulle principali piattaforme on demand dal 24 novembre prossimo. “Quando me l’hanno detto sono rimasta scioccata – ci spiega - ma poi mi sono detta che, in un periodo come questo in cui la gente è bloccata, un film così poteva entrare direttamente nelle case di molti ed essere come l’ossigeno. È un film catartico che mi dà speranza”. Tratto dall’omonimo romanzo che Alberto Moravia scrisse quando aveva solo 18 anni, è diretto da Leonardo Guerra Seràgnoli (che lo ha scritto con Alessandro Valenti) che lo racconta in una versione aggiornata all’oggi, mostrando comunque tutta l’inquietudine di una famiglia e di un mondo borghese all’interno di un conformismo e di un abbandono culturale e umano durante l’avvento di quello che sarebbe stato poi il fascismo. La Bruni Tedeschi interpreta la capricciosa quanto insoddisfatta Mariagrazia Ardengo, una donna affascinante ma gelosa e svampita (eccola qua!) con due figli – il ventenne Michele (Vincenzo Crea) e Carla (Beatrice Grannò) che sta per festeggiare il suo diciottesimo compleanno. Sono rimasti senza soldi, ma il vivere al sopra le loro possibilità resta una regola che trova applicazione grazie a Leo Merumeci (Edoardo Pesce), ex dell’amica di famiglia Lisa (Giovanna Mezzogiorno) e attuale amante di Mariagrazia. A emergere è lo stato di precarietà di ognuno di loro e delle situazioni che vivono, quel senso perenne di essere sempre sull’orlo di un precipizio presente oggi come allora, nel film come nel romanzo che la Bompiani ripubblica in una nuova edizione. Un viaggio affascinante, non c’è che dire, che porta a chiedere a Valeria chi siano oggi gli indifferenti e come si siano evoluti.

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“Purtroppo sono pessimista”, ci risponde senza pensarci più di tanto. “Penso che a esserlo siamo tutti noi che dobbiamo - io per prima - prendere coscienza del fatto che questa specie di egoismo che ci fa accelerare il passo o che ci fa evitare di guardare una persona vicino a noi che non sta bene, come ignorare le ingiustizie della società, non porta felicità. L’egoismo ci fa essere infelici. Se avessimo in mente questo – aggiunge - saremmo naturalmente portati verso l’altro. Mi pare una cosa matematica che invece tutti noi dimentichiamo. Io mi sento indifferente, prima di tutti”.

Il film, per motivi che non spoileriamo, è una sorta di Indifferenti ai tempi del Me Too. “Gli uomini – precisa lei - non cambiano. Quello che cambia è la società che, migliorandosi, dovrebbe correggere le mostruosità di tutti gli esseri umani, ma in realtà non è così. Basta vedere quello che è successo e sta succedendo alla cultura con gravi e dirette conseguenze per il mondo degli artisti e dello spettacolo. Questa pandemia è stata un’occasione mancata per i governi di dare il giusto posto alla cultura, di far sentire che ne abbiamo bisogno così come abbiamo bisogno degli alimenti. L’altro giorno dicevo a mio figlio di sei anni e mezzo che non potevamo andare a prendere un libro perché la libreria era chiusa ed erano aperti solo i solo negozi di prima necessità. Lui non capiva: “I libri sono necessari, mamma”, mi ha detto. Questa prima necessità della cultura in questo anno terribile che abbiamo avuto, avrebbe potuto essere svelata. Nel primo confinamento la gente ha vissuto di libri e film, ha sopportato la clausura grazie a questo, perciò penso sia una grave occasione mancata. Per gli artisti come per altri mestieri oggi la situazione è terribile, ma quando i cinema e i teatri riapriranno, la gente dimostrerà che ha bisogno di andarci, perciò no, non sono disperata”.

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Il libro - “oro per noi attori, perché capace di fornire agli attori informazioni eccezionali che non si hanno mai sulla sceneggiatura, dai monologhi interiori alle descrizioni dettagliate sulla fisicità” – venne scritto da Moravia con l’intento di compiere un’analisi moralistica e satirica ritraendo gli aspetti più disperati e corrotti della vita e del costume della società borghese di quel periodo storico. Significativa è la struttura psichica rivelata dai comportamenti degli adulti che manifestano la tendenza a vivere il rapporto di coppia attraverso l’antagonismo e il dominio sessuale mentre i due giovani, nonostante il risentimento covato, non riescono a sottrarsi per inettitudine alla rete di relazioni morbose e possessive di cui sono polo di attrazione. Splendidi davvero sono i dialoghi e le descrizioni fatte - realistiche, opache, squallide e più vicine alla cronaca che alla poesia – tutte capaci di creare personaggi carichi di autentica profondità. Quello interpretato da Valeria Bruni Tedeschi in qualche maniera le è vicino ed è lei stessa a confermarcelo, ma dice prima di salutarci, “non l’ho mai giudicato”. “Non ho fatto come faccio con me stessa, ma ne riconoscevo e ne capivo tutta la sua bruttezza. Ovviamente interiore. Quella donna non mi sembrava una marziana: io molte volte, sì”. E poi ride e noi con lei, ancora una volta.