Era il 12 novembre 2019. Era la notte in cui il mare cercò di mangiarsi una città, anzi LA città. Era il giorno in cui l’acqua s’innalzò per quasi 2 metri sul livello del mare. Venezia resistette, permettendo allo scirocco di soffiare ancora fra i suoi vicoli preziosi, fatti di storie, di gente, di artigiani, di turisti, di leggende, di risate al tramonto, di sussurri all’alba. Un anno dopo l’alluvione di Venezia, un anniversario dolceamaro celebra la sconfitta dell’”acqua granda" attraverso un progetto fotografico e un documentario scritti, prodotti, immaginati in punta di dita, e di cuore. Gli scatti di Era Mare, racconto per immagini di Matteo de Mayda (il suo obiettivo è dietro le foto che state guardando), Andrea Codolo, Giacomo Covacich e Francesca Seravalle, fa da spalla e viceversa al mini film Città delle Sirene, diretto da Giovanni Pellegrini, disponibile gratuitamente online, oggi 12 novembre 2020 dalle 18 alle mezzanotte sul canale youtube di Ginko Film. Proiezione-evento inclusa nella kermesse di Aquagranda 2019, festival della memoria collettiva organizzato da Science Gallery Venice e dall'Università Ca’ Foscari Venezia.

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© Matteo de Mayda
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Partendo dalle immagini della sua casa e del suo studio allagati, il regista racconta in prima persona cosa vuol dire convivere con l'acqua alta e come la sua città affronta la catastrofe. Il documentario La Città delle Sirene riflette, e fa riflettere, su com’è vivere nella prima linea del cambiamento climatico che minaccia di far scomparire il nostro mondo. E su quanto incide per l’intimità del singolo, l’economia della città (e oltre), le geografie politiche (e non), l’avere una delle città più importanti al mondo sommersa d’acqua per due settimane.

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“Lo scirocco smise di soffiare all’una, quella notte di luna piena in cui le bocche di porto ubriacarono la laguna di acqua salata. Era mare, non più acqua salmastra. Dal giorno seguente si era disegnato un nuovo orizzonte che saliva e scendeva, di sei ore in sei ore, coprendo costantemente i masegni di trachite. Venezia si rifletteva ora anche sui campi diventati specchi d’acqua raggiungibili in barca, a cui i lampioni fungevano da ormeggi. Da settimane una calma piatta, di una bellezza post apocalittica, svegliava i veneziani alle cinque e mezzo del mattino con le sirene, trasformando la cronaca di un’emergenza in emergenza cronica”, racconta Francesca Seravalle curatrice dei testi di Era Mare, progetto fotografico nato anche per sostenere, attraverso i suoi incassi, l'associazione culturale Do.Ve che aiuta la città a rialzarsi.

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“Un’acqua cheta silente persisteva e cancellava i contorni definiti tra le fondamenta e i rii, tra i canali e le calli, inghiottendo le strade e isolando i ponti, eletti a luoghi d’incontro in cui i pochi abitanti rimasti potevano salutarsi all’asciutto”, continua, mentre gli scatti di Matteo de Mayda raccontano di quell’evento eccezionale, ma con rispetto, gentilezza. Scegliendo di evitare la cronaca d’assalto, raccontando l’atmosfera sospesa e fragile di Venezia, della sua laguna e dei Veneziani. Quasi fosse il prologo di un film distopico.

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“Ogni tanto, per qualche ora, capitava che il mondo sommerso emergesse, mostrando magnifici mosaici bizantini, palladiane e terrazzi alla veneziana. Prima di ritirarsi, l'acqua mangiava qualche pezzo di città; venivano così sacrificate colonnine, barche e persino edicole intere. Era un paesaggio in continua mutazione. Nuove specie di flora e fauna sostituivano quelle precedenti, resistendo al nuovo ambiente; i cactus affioravano nelle corti di questo deserto d’acqua. I turisti erano ormai radi e Venezia splendeva di una nuova bellezza ambigua, come una Pompei sospesa, che viveva a un ritmo lento, prefigurando una futura Atlantide. La Serenissima era diventata l’habitat sperimentale in cui una popolazione quasi anfibia resisteva studiando nuovi percorsi e sperando di risvegliarsi più asciutta e numerosa”.