È il 2 novembre 1967, Jacqueline Kennedy tende la mano al capo di stato cambogiano, il principe Norodom Sihanouk, dopo il suo arrivo a Phnom Penh, indossando un completo rosa che sembra il riassunto della moda bon ton di quell’anno, preludio del turbolento 1968. Quel viaggio in Cambogia Jackie Kennedy avrebbe dovuto farlo con suo marito. Era sempre stato il suo sogno visitare le rovine di pietra della civiltà Khmer del XII secolo ad Angkor Wat, ma il 22 novembre 1963 a Dallas ogni progetto che lei e il presidente J.F Kennedy avevano disegnato insieme era stato interrotto bruscamente e violentemente dal colpo del fucile Carcano di Lee Harvey Oswald.

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Da quel momento, la vita di Jackie aveva preso una direzione imprevista, tutto era stato rimandato prima con i dodici mesi di lutto strettissimo che la vedova aveva osservato a New York, dove si era trasferita per isolarsi in un appartamento, poi con la riprogrammazione dei progetti, e infine con il ritorno alla vita. Quel viaggio, di cui la rivista Life si aggiudicò le immagini in esclusiva che pubblicò su cinque pagine, non era però veramente una vacanza. Agli occhi degli storici di oggi, è evidente che si trattò di una vera e propria missione diplomatica: "È stato l'inizio della riparazione delle relazioni tra Cambogia e Stati Uniti, che avevano toccato un livello molto basso”, spiegò poi lo storico Milton Osborne. Per questo motivo, se non si conosce la data dell’evento e si ignora che è molto seguente l’attentato, sembra di vedere la first lady d’America in missione per conto del presidente, ed è per questo che ogni abito di Jackie rispetta esattamente il protocollo che ci si sarebbe attesi in un tale ruolo istituzionale.

Di solito Jacqueline Kennedy affidava il suo guardaroba a Oleg Cassini, che le aveva disegnato tutti gli abiti per un altro viaggio storico, quello in India del 1962. Stavolta, a distanza di 53 anni, quel completo viene accreditato a Valentino, stilista che l’ex first lady amava molto e che frequentava anche come amico da tre anni, di cui nella stessa occasione indossò l'iconico abito verde da cerimonia con una sola spallina. Mentre infatti durante il suo breve soggiorno nella Casa Bianca si era ritenuto appropriato vederla indossare esclusivamente (e patriotticamente) abiti di realizzazione Usa, dopo la scomparsa del marito, Jackie, che l'anno dopo avrebbe sposato Aristotele Onassis, si considerò libera di tornare a scegliere ciò che le piaceva. Quell'abito in lino e cotone rosa indossato appena sbarcata dall'aereo, era composto da una casacca a maniche corte e con scollo tondo, ornata da tre bottoni sulla spalla sinistra, e da una pencil skirt sopra il ginocchio di una semplicità disarmante. Una mise che, a guardarla bene, sembra la versione alleggerita del famoso tailleur rosa di Dallas, quasi come per esorcizzarne il ricordo. Il gusto, arte in cui Jackie era stata istruita sin da piccola, le aveva suggerito gli accessori: i mocassini con fibbia dorata, i guanti bianchi, sua cifra stilistica, impreziosisti dal dettaglio di una V in metallo dorato, e il bracciale e gli orecchini di coralli rossi che solo lei avrebbe immaginato potessero abbinarsi bene, rendendo tutto l'insieme vagamente etnico in omaggio al paese che visitava. Il viso di Jackie, in quell'occasione, mostrava i segni indelebili di quello che aveva vissuto e rispetto alle foto dell'India di cinque anni prima sembra invecchiata il doppio. Ma come le era stato insegnato, sorrise, si mostrò felice dell'ospitalità, svolse il suo compito diligentemente, e come al solito, tutti impazzirono per lei.