È la qualità delle risate che si sprigionano durante l’intervista a farti capire parecchio di lei. Si lascia coinvolgere dalle domande con la freschezza di una ragazzina, una ragazzina di 55 anni. Mentre risponde, la prendi sul serio perché non si prende troppo sul serio. Eppure si chiama Julianne Moore, è stata candidata cinque volte agli Oscar e ne ha vinto uno (l’anno scorso per Still Alice), vanta una Palma d’Oro per Maps to the Stars di David Cronenberg ed è passata con intensità democratica da Lontano dal paradiso di Todd Haynes a Hunger Games.

È proprio rossa come sembra, ma ancora più minuta di come compare sullo schermo, e non ci si può stupire che L’Oréal Paris se la sia presa come testimonial: sembra una porcellana biscuit ma viva, vivissima, con dentro un agile cervello.

L’abbiamo appena amata in Maggie’s Plan di Rebecca Miller al fianco di Greta Gerwig, e la stiamo già aspettando in Wonderstruck, ancora di Haynes. Tratto dal libro di Brian Selznick (quello di Hugo Cabret), è un film che parla, per sintetizzare molto, di come una fulminazione può cambiarti la vita. L’intervista è a tema.

Qual è il rituale di bellezza che le cambia la vita, e quello che non sopporta?

Non posso fare a meno di avere i capelli in ordine. Invece ho raggiunto un livello di tolleranza molto basso per le lunghe sessioni di trucco. Ne ho fatte troppe. E quando ti si appiccicano i capelli perché sono pieni di lacche? Non lo reggo.

La volta che si è sentita brutta davvero?

Da ragazzina c’erano momenti in cui mi vedevo queste lentiggini dappertutto, me le sentivo addosso... Forse “brutta” è una parola grossa. Diciamo che non stavo bene con me stessa.

Il segreto per sentirsi bella?

Stare il più possibile con persone che ami e che ti amano.

Un set che l’ha proiettata in un mondo di emozioni che non aveva mai sperimentato prima?

Cerco quelli che mi comunichino sensazioni nuove e interessanti, ma non ce n’è uno che non mi riporti a qualcosa che ho già provato. Per quanto sia esotico il viaggio, per raccontarlo hai bisogno di connetterti al suo livello più universale.

Ha mai sperimentato qualcosa di simile a una rivelazione?

A vent’anni lavoravo davvero duro per diventare attrice, ero tutta focalizzata sulle opportunità che mi potevano portare dove volevo. Ma a un certo punto ho realizzato che non era abbastanza. Credo di aver avuto 23 anni quando mi sono detta: “Ehi voglio anche dell’altro! Una famiglia”. Il che ha cambiato tutto.

Può viaggiare con la macchina del tempo. Dove andrebbe?

Ma per una visita o per restarci? No perché penso sarebbe incredibile tornare nell’Europa rinascimentale, però viverci proprio...

La volta che avrebbe voluto sprofondare per l’imbarazzo?

Credo di non essermi mai sentita così poco a mio agio come a scuola, quando iniziavo in un nuovo contesto. Come mi vesto? Dove mi siedo? Con chi mangio? Con chi parlo? Quanti amici mi farò? Era terribilmente impegnativo, era la scuola della scuola.

Ha mai cambiato idea su temi etici o politici?

Mi sembra di essere stata sempre piuttosto salda nelle mie convinzioni. Ma dopo la strage alla Sandy Hook Elementary School di Newton, nel Connecticut, mi sono resa conto che avevo sempre sottovalutato la questione della diffusione delle armi negli Stati Uniti. Ora sono impegnata con il movimento Everytown for Gun Safety.

Cosa pensa dei passi indietro che stanno facendo gli Usa, e non solo, a proposito di aborto?

L’idea che l’accesso all’aborto dipenda da quanti soldi hai in tasca è inaccettabile. Le donne che subiscono di più queste politiche regressive sono quelle povere. L’aborto solleva un’enorme questione di disuguaglianza socioeconomica.

Ha una parola magica?

Adesso. Perché se non apprezzi esattamente dove sei, e non vivi per il momento presente, non vivi realmente la tua vita.

Qual è la sua idea di un giorno paradisiaco?

Non sono proprio il tipo in cerca di emozioni forti che si sveglia la mattina e si chiede: cosa posso fare di eccitante? È paradisiaca ogni sera che passo con la mia famiglia.