Buffo vederle sedute vicine: la bella e il brutto anatroccolo. La pin up e la nerd. Penélope Cruz e Isabel Coixet, la “más guapa de España”, grandi occhi scuri che dardeggiano nervosi, e la “directora” che sorride impacciata dietro gli occhiali da segretaria eccentrica. Decisamente non sembrano uscite dallo stesso film. E invece. Sono così agli antipodi nell’aspetto quanto simili nell’essere energetiche e spregiudicate; normale pensare che prima o poi si sarebbero incrociate, che finire a lavorare insieme era solo questione di tempo. Il bello è che, a dispetto delle reciproche dichiarazioni di fedeltà professionale che si lanciano nelle interviste, a metterle insieme non è stata l’empatia. Sono stati i produttori di uno studio di Hollywood, che da qualche anno progettavano di trasformare in film il romanzo di Philip Roth L’animale morente. La prima ad essere consultata, per la parte della bellissima studentessa cubana Consuelo Castillo che fa perdere la testa al suo professore, è stata Pé (il diminutivo con cui gli amici intimi chiamano Penélope), che quel ruolo pare averlo inciso nei suoi cromosomi. L’idea della regista si è fatta strada solo in seguito. «Roth non ha mai letto la sceneggiatura», spiega la Coixet. «Abbiamo solo fatto lunghe chiacchierate insieme. Ma il giorno prima di iniziare a girare mi telefona intorno a mezzanotte e mi dice: “Ricordati, il corpo ha più potere del cervello”». Sarà per questo che la 34enne Cruz ora se ne sta lì a testimoniare la nascita di un nuovo connubio artistico con le sue forme da icona appena un filo nevrotica del sex appeal latino, décolleté spettacolare, massa di capelli corvini e bocca generosa. Madrilena lei, catalana doc la regista, la tradizione delle cine-coppie nate in provetta vorrebbe che si guardassero con almeno un po’ di sospetto. E invece: «Ci siamo sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda sin dal primo momento», assicura Pé, mentre la directora annuisce in segno di approvazione.

Miss Wasabi

Nata 48 anni fa sotto il segno dell’Ariete, con una figlia di 10 anni di nome Zoe, Isabel a volte si nasconde dietro il suo alter ego Miss Wasabi: è il nickname che utilizza su internet ma anche il nome della sua casa di produzione. «Il paese dove i miei film sono più visti è in assoluto il Giappone», spiega lei. «E in effetti hanno molto di quella cultura. La mia regola è che meno c’è confusione, più si vede chiaro. Per me spesso il silenzio ha più peso delle parole. Il silenzio e l’assenza ». Una laurea in storia e un cervello sempre in ebollizione, Coixet è una bizzarra versione di intellettuale in carriera capace di sposare cuore e business. Come maga della pubblicità, ha fatto fortuna girando premiatissimi spot pubblicitari per i marchi più prestigiosi. Al cinema è tutta un’altra storia: lì sceglie di raccontare drammi profondi, di esplorare i sentimenti più intimi con uno stile che è emotivo senza mai essere melenso. Già i titoli dei film sono una dichiarazione d’intenti: Le cose che non ti ho mai detto (con Lili Taylor), La mia vita senza di me e La vita segreta delle parole (entrambe con protagonista l’attrice-regista canadese Sarah Polley), soggetti che girano intorno a dolori indicibili e alla voglia di vivere e di amare con passione. Così è anche in Elegy (ovvero L’animale morente, che in Italia vedremo questo inverno tradotto più banalmente in Lezioni d’amore), l’occasione che ha fatto incrociare i destini di Penélope e Isabel.

L’altro sesso

«So che la gente vede Penélope come una star da tappeto rosso. E lo è, ne ha tutto il carisma. Ma è anche una donna vera, matura, determinata, e sul set sembra un soldato. Sempre presente, è lì per te, lavora duro, attenta e consapevole di ogni dettaglio e di tutto quello che fa la cinepresa. E poi, sembrava nata per questa parte». Ovvero il personaggio di Consuela, la giovane cubana che nell’America degli anni Sessanta fa impazzire il professor David Kepesh (interpretato da Ben Kingsley), incallito seduttore ma allergico ai sentimenti. Una studentessa che da preda sessuale si trasforma per lui in un’ossessione, gli fa provare per la prima volta i morsi della gelosia e infine lo fa cadere in depressione scomparendo da un giorno all’altro dalla sua vita. Per ripresentarsi anni dopo, malata ma sempre fortissima: con una richiesta d’aiuto cui Kepesh non potrà dire di no, e che lo obbligherà a lasciarsi coinvolgere da quell’intimità cui, per paura, era sempre sfuggito. L’occhio di Roth è, come sempre, affilato come un rasoio, quasi brutale nel raccontare i rapporti, l’erotismo, l’amore e la morte. Una visione spudoratamente maschile che attrice e regista, intelligentemente, non hanno cercato di cambiare se non nel finale: «Che non è quello del libro, ma quello che io nel mio cuore auguro ai suoi protagonisti. Probabilmente dieci anni fa non sarei stata in grado di rapportarmi a questa storia», ammette Isabel. «Allora ero molto più arrabbiata con i maschi. Ma oggi la rabbia è sfumata e credo di capirli piuttosto bene: viviamo con loro, li amiamo, li odiamo qualche volta, ma sarà vero che siamo così diversi? C’è un gap tra la realtà e il nostro desiderio, e il modo in cui riusciamo a colmare quel gap è ciò che ci definisce. Penso di sapere cosa passa per la testa del protagonista, conosco molti David. In fondo lui attraverso il sesso alla fine trova l’amore, e questo è a suo modo commovente. Mi dicono che i miei personaggi maschili sono sempre così amabili, così delle brave persone. Mah. È che non mi interessa fare un film su un figlio di puttana. Nei miei lavori vorrei vedere solo gente che mi piacerebbe conoscere».

Baci (non) molto hard

«Questo è un film sulle paure di due persone innamorate », le fa eco Penélope. «Anch’io non li vedo banalmente come il predatore e la vittima. Nonostante Consuela sia più giovane e inesperta, sa esattamente perché vuole stare o no con quell’uomo». Lo sguardo maschile è qualcosa che l’attrice conosce bene. E non parliamo della sua ultra-pubblicizzata collezione di uomini (Tom Cruise, Matthew McConaughey, Lenny Kravitz, fino all’attuale boyfriend in carica, Javier Bardem). Ha più a che fare con i ruoli e i registi che l’hanno scelta e lanciata. Come Pedro Almodóvar, certo, che ne ha fatto una nuova Sophia Loren e adesso dice di volerne fare anche una nuova Katherine Hepburn (nel senso della divina da commedia) in Los abrazos rotos, sugli schermi nel 2009. Un mélo e anche un po’ un thriller, girato sull’isola di Lanzarote, dove Penélope è Lena, pessima attricetta di provincia priva di talento ma dal look esuberante che comprende anche un caschetto di capelli biondo platino. Pé sembra non avere più paura di niente; cambiare tinta, girare un video osé in coppia con la sorella Monica per Cosas que contar, la canzone del fratello Eduardo. O farsi coinvolgere in un ménage à trois, come succede in Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen. In Italia arriva il 28 settembre preceduto dal gossip sulla scena del bacio saffico con Scarlett Johansson. Che effettivamente c’è, ma non è poi così hard. «Uffa, non sapete chiedere che quello?», ripete lei sempre più annoiata. «Non credo sia giusto vederlo solo come una commedia sexy: il film parla di cose più profonde anche se con il solito tocco ironico, geniale, tipico di Woody». Il regista americano, in trasferta spagnola, ha ammesso di aver costruito la storia proprio per lei (mettendo addirittura in secondo piano la sua prediletta Scarlett) e Javier Bardem. Lui è un fascinoso pittore bohémien che a Barcellona corteggia contemporaneamente due amiche americane in vacanza (la Johansson e Rebecca Hall). Solo che poi salta fuori un’ingombrante ex moglie, Maria Elena (la Cruz), creativa e folle, con cui non è mai riuscito a tagliare del tutto i ponti. «All’inizio avevo un po’ paura di un personaggio così sopra le righe, anzi timidamente cercavo di proporre ad Allen qualche variazione. Ma ora gli sono grata: Maria Elena ha bisogno di essere così eccessiva, perché la sua presenza deve portare il caos».

Come Sandra

Tutt’altra l’atmosfera che c’era sul set di Elegy. Per capirlo, l’episodio più forte riguarda le scene erotiche. «Il sesso è fondamentale, è tutt’uno col resto, serve a descrivere i personaggi e i loro rapporti», riprendere a raccontare Isabel. «Non c’è stato bisogno di convincere Penélope: sapeva che il nostro sarebbe stato un lavoro molto intimo. Nella scena clou io stessa ho fatto da cameramen. C’erano solo lei e Ben con me nella stanza ». «Il silenzio era totale, sembrava di essere in chiesa. Ben Kingsley mi fissava come se dovesse divorarmi», ricorda l’attrice, «Lui mi ha molto aiutata, gli basta uno sguardo per farti sentire coraggiosa, sicura di quello che stai facendo. Una volta gli ho chiesto cosa pensasse durante quelle scene e lui mi ha detto: “Alla mia morte”». In realtà il rapporto di Penélope col nudo e le scene hard non è stato sempre così semplice: anche se fu proprio un’apparizione decisamente disinibita a lanciarla, quando aveva solo 17 anni. Il suo ruolo in Prosciutto prosciutto di Bigas Luna, nel ’92, la trasformò in un oggetto del desiderio: «Nessuno mi ha spinto ad accettare quella parte, anzi. Ma non ero preparata a ciò che si sarebbe scatenato dopo. Un giorno sono uscita per una passeggiata con mio padre e qualcuno da una macchina mi ha urlato “ti amo!”. Un minuto più tardi un altro mi gridava “puttana”. Ecco, in quel momento ho saputo di essere famosa. Ma era troppo, non sapevo gestirlo. Mi sono tagliata i capelli cortissimi e per molti anni ho detto no anche alle scene più innocenti. Stai rischiando la carriera, mi dicevano. Ma ho seguito il mio istinto e non me ne sono mai pentita». Oltre che dell’istinto si fida molto delle presenze femminili nella sua vita: la sorella Monica (anche lei ex ballerina e ora attrice) con cui disegna una collezione di moda per il marchio Mango; la collega e migliore amica Salma Hayek, con cui ha in comune «la tendenza a comandare e a drammatizzare tutto; ci lasciamo continui e infiniti messaggi in segreteria sui nostri disastri». E si fida della sua energia: «Ne ho fin troppa. Da bambina i miei mi hanno spinto a fare danza perché consumassi un po’ di quell’irrequietezza fisica che non mi faceva mai star ferma. Così ho imparato a essere disciplinata, cosa che oggi mi torna utile sul set. Non riesco mai a staccare davvero, neppure in vacanza! Basta che abbia un Blackberry e anche la spiaggia diventa un ufficio. In famiglia mi spronano: esci, vai al mare, vai a prendere il sole. Macché. Devo assolutamente imparare a non lavorare ». Buoni propositi pronti ad affondare se poi uno come Rob Marshall (il regista di Chicago) ti chiama nel super cast di Nine, un musical ispirato a Otto e mezzo di Fellini, con Daniel Day-Lewis, Judy Dench, Nicole Kidman e Kate Hudson. Dove lei ha la parte che nell’originale era di Sandra Milo. «Quando ho saputo che mi avrebbero presa ero sul lettino del massaggiatrice, e per la gioia ho cominciato a gridare al telefonino. Ho fatto quattro provini per ottenere quel ruolo. Perché sapete qual è il mio sogno? Cantare a squarciagola. E ora mi sentirete».