Milano, terrazza con vista sui tetti, quartiere generale di Ferragamo, in compagnia di Alessandro Gassmann che fuma e chiacchiera senza guardare l’orologio. Due gli obiettivi: evitare domande sul padre e sull’avvenenza (anni fa è stato protagonista di un calendario).

Qual è l’attimo che ha segnato la sua vita?
La pièce teatrale Camper dove recitavo con mio padre (l’ha citato lui!). Un testo autobiografico, parlava del mestiere di attore. Eravamo al Teatro Nuovo di Milano e lui stava male, era malato di depressione. Allora mi sono fatto coraggio e ho preso il timone, ho interrotto la stagione contro la sua volontà. È stata una decisione molto forte e sofferta, ma anche un momento in cui sono cresciuto.

Qual è la sua madeleine olfattiva?
È il profumo del supplì della mia tata Dina di cui andavo ghiotto. Lei era una vera signora del popolo. Quando sono cresciuto ho imparato ad amare altri odori, come quello della pelle di una donna. Mia moglie non ama profumarsi, ma per me ha un odore stupendo, che non cambia e a cui mi sono felicemente abituato dopo diciotto anni di convivenza.

Meglio recitare a teatro o al cinema?
Il teatro è la mia casa, dove ho tutti gli amici di sempre. Poi, da quando dirigo il Teatro Stabile del Veneto, ho totale libertà. Adoro fare squadra, responsabilizzare le persone che così sono motivate a dare il meglio. Mi piace la possibilità di ricostruire un mondo credibile, è questo che amo del teatro. Per quanto riguarda il cinema mi sento una pedina all’interno della macchina. Certo, sono fortunato, ho recitato in sessanta film e non ricordo brutte esperienze. Non sopporto gli accentratori, quelli che recitano in film che ruotano su di loro. Gli egocentrici.

È molto schivo, non frequenta salotti, non si vede su riviste di gossip. Allora si può?
Non mi definirei schivo, sto volentieri in compagnia di amici, anche se faccio una vita low profile. Riesco benissimo a non farmi vedere nei ristoranti. Non è difficile, se lo si desidera. Un attore è spesso osservato, mentre in realtà dovrebbe osservare, solo così può essere uno spettatore della società.

Come si è preparato per il ruolo di Roman e il cucciolo?
Ho osservato un operaio romeno che lavorava a casa mia. Gli ho fatto registrare le battute nella sua lingua e poi le ho studiate. È nato un linguaggio ibrido. A febbraio 2012 gireremo un film tratto dall’opera teatrale, sono felice.

Qual è l’attimo che vorrebbe fermare per sempre?
Quello della nascita di mio figlio Leo.

Come vive la paternità?
Ho un buon rapporto con mio figlio. Ha un grande talento musicale. Studia la chitarra classica a Santa Cecilia e io gli dico: «Sono fiero di te». Mio padre pretendeva tantissimo da me. Se a scuola prendevo otto non mi diceva «bravo», ma «potresti prendere dieci». La gratificazione è importante per l’autostima! Così come dare e rispettare le regole.