La prima volta che ho visto Miriam Leone era in 1992, interpretava Veronica, una ragazza che sfrutta la bellezza per coltivare sogni da star. E il suo sguardo, indimenticabile, nella scena in cui accetta di far sesso con un lurido produttore, tradisce la disperazione e l’abuso del compromesso che ha accettato. La prima volta che ho incontrato Miriam, qualche anno fa, mi sono trovata davanti una ragazza dallo sguardo che ride, gentile e curiosa di tutto, colta e determinata. Da lì è iniziato un dialogo a distanza. Ora è davanti a me: la stessa luce negli occhi, un lungo vestito di seta, un maglione caldo, è bella. Accussì, direbbe lei, nella sua lingua madre, il siciliano.

«La copertina di Marie Claire esce nel mese del mio compleanno: il 14 aprile, che bel regalo». Le foto, scattate al mare fuori Roma in una giornata fredda e ventosa, sono state un’esperienza intensa: «Sulla strada del ritorno, dopo i messaggi scambiati tra di noi, felici di aver vissuto questa esperienza, quando il telefono ha taciuto ho guardato il paesaggio e mi sono detta “che fortunata che sono”. E mi sono commossa perché non do mai per scontato niente».

Miriam è così, vive di gratitudine, chi la segue su Instagram sa che è sempre la prima a fare un complimento alle colleghe, a vivere l’incanto di una vita che sta realizzando i suoi sogni. «Io da bambina queste cose le sognavo davvero con tutta me stessa. In Sicilia mi travestivo con il tulle e percorrevo il red carpet, il corridoio di casa mia. Era lunghissimo. Non sapevo che stavo facendo le prove per qualcosa che avrei vissuto realmente».

Tutti a dire: grazie alla sua bellezza. «La bellezza non ha merito. Nella mia infanzia e adolescenza non l’avevo messa ai primi posti, nelle quattro cose che credevo di avere. Mi pensavo più simpatica, timida, osservatrice e curiosa, affamata di vita. Non avevo coscienza della mia bellezza e ho vissuto fino a uno, due anni prima di Miss Italia (2008) come se non avessi questo dono, mi sono formata senza tenerne conto. È una carta che ho preso dal mazzo e giocato per ultima. Prima puntavo su quello che ho dentro, non sulla faccia. A 23 anni ho capito che mi stavo accontentando di una vita che non era la mia. Che nessuno mi stava aiutando e che non ero capace di chiedere aiuto. Così ho preso la carta del concorso di bellezza. L’ho vinto. Ero grande, ero la zia di tutte le ragazze, che mi chiedevano consigli. La bellezza non è una colpa e non è nemmeno qualcosa di cui vantarsi. Però io la coltivo in tutte le sue forme. Maschile, femminile, umana, artistica, filosofica. È l’unica religione. Vivendo nella bellezza non si può commettere del male».

A quanti anni hai scoperto che per gli altri eri bella?
Da bambina ero molto piccola e chiara, più che bella, e le persone mi facevano sentire strana. C’era un’attenzione nei miei confronti che non mi spiegavo. Succedeva che all’aeroporto o in stazione le persone mi parlassero in inglese. E mia mamma diceva: «Noi sicilianissimi». Questa diversità mi ha portato alla ricerca di un'identità: adolescente ribelle, ho fatto cose che forse non rifarei. Ma quelle cazzate, allora, le dovevo fare. Nella ricerca dobbiamo sganciarci dal giudizio degli altri, ma l’identità passa per forza dallo sguardo altrui. Anche se il modo in cui appariamo non è tutto ciò che siamo. Sono arrivata sulla ribalta dall’oggi al domani, ero una ragazza che non conosceva nessuno, all’improvviso per me sono stati mandati 8 mila comunicati stampa in una serata. E poi la gente ti riconosce per strada anche se non sa come ti chiami e vuole le foto con te. È stato bello da un lato, ma c’è stato anche un pudore violato. Perché io sono cresciuta e da dieci anni mi sento ripetere che sono diversa. A volte chi non ti capisce o non ti ama, giudica il cambiamento in negativo. Invece è evoluzione. La paura di cambiare toglie il respiro e ti porta a diventare di plastica, a cercare la copia di una copia che non c’è.

Ho rivisto le foto di te a Miss Italia: come ti sentivi lì, sotto esame in costume?
Il costume da bagno in uno studio tv è surreale, però è stato un gioco. Il problema, visto il mio amore per la moda, è venuto dopo. Per un anno non ho avuto scelta, ero legata a contratti, quindi dovevo vestire in un modo che non mi piaceva. Meglio il costume, nero sobrissimo intero, carino. Dopo è stata una grande prova, perché io, dal grembiule alla tuta, a scuola ho sempre detestato vestirmi come dicevano gli altri. O adeguarmi a un’idea di me che non mi corrisponde. Il corpo, il costume e l’abito sono un messaggio e mandare messaggi che non mi appartengono è stato un sacrificio. Ma fa parte della gavetta, se devi arrivare in cima alle scale devi fare il primo gradino.

Esiste il pregiudizio sulla bellezza, così come un potere della bellezza?
Sono due P, l’assonanza della bellezza. Io non ho il pregiudizio, ho la sensazione. La bellezza mi arriva attraverso l’estetica, prima di tutto. Che purtroppo ora è legata alla parola chirurgia e si è mangiata il concetto filosofico: la comprensione del mondo attraverso la bellezza. Quella che passa dagli occhi non può generare pregiudizio. Sono tranquilla, non ho mai voluto dimostrare troppo, se ti interessa sapere chi sono, lo capirai. C’è un ologramma di ognuno di noi che fa questo lavoro: ho un ologramma che vive su Internet e sui giornali, ed è un’altra me. Quando ho vinto Miss Italia cercavo su Google “Miriam Leone” e pensavo “oddio! Cos’ha detto questo su di me…”. Poi ho smesso e ora cerco cose più interessanti, lontane da me, perché mi conosco e lavoro con me stessa ogni giorno. La P di potere, invece, è pericolosa associata alla bellezza, che in sé è ispirazione, metodo di conoscenza da insegnare a scuola. Il potere della bellezza può diventare abuso. Se ti sfugge di mano va contro di te.

Hai sottoscritto il manifesto “Dissenso comune”, firmato da 124 tra attrici e persone del cinema italiano, contro gli abusi. Eri d’accordo su tutto?
Prima di firmare ho discusso e richiesto che la petizione fosse firmata anche dagli uomini. In quest’anno di rivoluzione gentile che stiamo provando a fare per le future generazioni, tocca anche a loro educare i maschi di domani. Qualcuno pensa che in Italia non cambierà nulla, mentre in America è un movimento inarrestabile, che ha anche distrutto persone e carriere. Argomento infinito che va dallo stupro per strada, ferita che non si rimarginerà mai più, all’impossibilità di lavorare, di dire no, fino a essere ammazzate dal compagno. Mi fa sorridere la frase: “Allora non si potrà più corteggiare una donna”. Non lo condivido perché ognuna di noi conosce il gioco della seduzione e il suo limite, ci si diverte insieme ma deve essere rispettata la volontà. Una donna deve poter dire di no. E il suo no non deve diventare motivo di ripicca, pressione, abuso, violenza. Certo che non cambierà tutto, il bene e il male esistono. Ma il maschio sa che cos’è la seduzione e che cos’è abuso. E noi abbiamo la responsabilità di usare il potere femminile senza che ci si ritorca contro.

Comunque a me la tua Veronica faceva tenerezza.
Un personaggio meraviglioso, io la amo profondamente perché la sua è una ferita continua: chi si dà e si vende non si ama. Quando ti ami, non pensi minimamente di farti oggetto. Sei soggetto e oggetto del desiderio nel gioco. Se ti vendi non sei più proprietario di te stesso. Non ti ami più.

E rimane la questione dell’abuso di potere.
Nessuno ha l’aureola in questo mondo. Ma penso che siamo anche noi a poter decidere. A me è successo di avere delle avance, ma non mi sono mai trovata in una situazione difficile. Sono stata fortunata, ma anche chiara al primo sguardo nel comunicare che non voglio usare quel mezzo per lavorare. Facciamo crescere le donne in modo che imparino a dire no. Ci vorrebbe una giustizia più vicina a noi, tutele maggiori e un lavoro profondo nelle famiglie per educare i figli all’accettazione dei no. Noi oggi ci possiamo abbracciare, stringere, parlarne e condividere l’esperienza dell’abuso e del dolore, per rinascere. Io come donna l’ho vissuta, ma fuori da questo ambiente, e anche se non l’avessi vissuta, avrei firmato il documento perché è un atto di sorellanza. Finalmente le donne sono solidali. Perché a trasformarsi in vittima basta un attimo e se entri in quei panni è finita. Siamo incamminate verso una nuova consapevolezza.

Incamminate?
Un’espressione siciliana, mi incazzo e rifletto su concetti semplici ma profondi nella mia lingua madre, mentre il pensiero articolato è nella mia lingua acquisita. E sono incamminata perché cammino, e perché so che se cado mi rialzo, ho più fiducia in me.

Temi la fragilità della bellezza, tu che fai questo lavoro?
Io ho una nonna che ha 93 anni ed è bellissima per la sua età. Lo stesso vale per donne forti che hanno attraversato il tempo con grazia e lui l’ha restituita. Questo è quello che penso possa essere la mia vita. Finora trovo positivo il cambiamento. Forse perché sono stata a disagio nella mia adolescenza e nei miei 20 anni e non tornerei indietro. Sono felice di quello che vivo giorno per giorno e non vedo le imperfezioni del tempo che passa. Penso “che bello mi sono allontanata dalle mie paure, dalla parte negativa che ho attraversato”.

In un messaggio mi dicevi che credi nel bene.
È vero, ma c’è una grande differenza tra bontà e buonismo. Il buonismo non mi interessa. La bontà è l’atto legato al bene e alla bellezza. Non sono i buoni sentimenti, è il sentire la bontà. Dove sta il problema nel volere che le cose vadano bene, nel vedere gli altri felici?

Ma Veronica in 1994 si redime?
Veronica si rialza, e sarà una bella stagione per lei e per me anche perché sarà il saluto a un personaggio che io ho molto amato e mi ha dato tanto. Sarà emozionante.

Il ritratto di Miriam Leone è stato scattato da Stefano Galuzzi durante un servizio fotografico per il numero di Marie Claire di aprile.