Era la scena che mancava in Contagion: una notte degli Oscar nel corso di una pandemia mondiale. Deve essere per questo che la regia della cerimonia degli Oscar 2021 il prossimo 25 aprile a Hollywood è stata affidata proprio a Steven Soderbergh, autore di quel film del 2011 così profetico che, infatti, ha promesso che lo show non avrà nulla a che vedere con quello che abbiamo visto negli ultimi 92 anni. Intanto, ci saranno due location: il Dolby Theatre dove si svolgeranno probabilmente canzoni e balletti e la Union Station di Los Angeles che è stata prenotata per l’evento dalla Academy e che garantisce ampio distanziamento sociale. Soderbergh non ha anticipato nulla, se non che “sarà qualcosa di più simile a un film che a uno spettacolo televisivo”. L’unico dettaglio che si è saputo è che i vincitori non potranno cavarsela con un’apparizione su Zoom. Dovranno esserci.

Bella intenzione ma, a parte gli abitanti di Los Angeles, ci sono decine di possibili premiati sparsi in giro per il mondo, molti stanno lavorando su un set in Australia o a Londra, ci sono i candidati italiani, Laura Pausini e il costumista Massimo Cantini Parrini, ci sono i greci e i coreani. Per quanto, siano previste le precauzioni che si usano ora su tutti i set cinematografici (tamponi, mascherine, eventuali certificati di vaccinazione avvenuta), l’impresa non è semplice. È un po’ come Sanremo, ma mille volte più complicata. E ancora non si capisce come se la caverà Soderbergh.

Per esempio, potrà Olivia Colman, candidata come miglior attrice non protagonista, impegnata sul set di una serie che interpreta e produce, lasciare l’Inghilterra in largo anticipo per fare dieci giorni di quarantena a Los Angeles ritirare (o magari non ritirare) la statuetta, tornare a casa e farsi un’altra quarantena mentre i soldi della produzione escono dalla finestra? E quali autorità sanitarie dei diversi governi considereranno la gita a Hollywood un’imprescindibile necessità lavorativa? Chi non si presenta rischia di non prendere il premio? (E comunque, come ci si vestirà per questo Oscar della pandemia? Eleganti ma non troppo? In tuta per simulare empatia con il popolo dello smart working?)

Si vedrà. Intanto le molte premiazioni di categoria (quelle della Directors Guild Award, Writers Guild Award, Producers Guild Award) anticipano le intenzioni dei giurati, visto che, alla fine, sono praticamente gli stessi. La maggior parte degli iscritti alla Directors Guild sono registi che votano anche agli Oscar, idem per sceneggiatori, produttori e così via. In questo momento, il film che sta raccogliendo più consensi è Nomadland, anche se il titolo che ha più nomination è Mank. Nomadland (che ha vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia, unico festival tenuto in presenza in questo annus horribilis e che vedremo in Italia solo a fine aprile) è diretto da Chloé Zhao, una delle due registe, insieme a Emerald Fennell candidata al premio. Le candidature 2021 sono più inclusive del solito e non poteva essere altrimenti. Da almeno un paio d’anni l'Academy ha allargato le braccia, aumentato il numero di donne, giovani, neri, asiatici e latinos e gli effetti si vedono, soprattutto nei volti degli interpreti: nella categoria miglior attore, accanto a Gary Oldman per Mank e a Anthony Hopkins per The Father ci sono l’asiatico-americano Steven Yeun, l’afromericano Chadwick Boseman (scomparso nei mesi scorsi) e Riz Ahmed, inglese di origini pakistane, il primo candidato musulmano della storia degli Oscar. Inoltre, nella categoria “supporting actor” gli attori afroamericani sono tre su cinque candidati.

Siamo ancora lontani dalla messa in atto delle quote obbligatorie che saranno valide dal 2024, quando per partecipare agli Oscar ogni film dovrà rispettare alcune regole che garantiscano l’inclusione di donne e di rappresentanti di diversi gruppi etnici, sia nell’ambito delle storie che si raccontano sia in termini di posti di lavoro davanti e dietro la macchina da presa.

Chi vincerà? Vedremo, la campagna è ancora in corso, l’ultimo voto sarà registrato il 20 aprile, cinque giorni prima della cerimonia. Nel frattempo ci sono ancora molti premi di categoria da assegnare, a cominciare dai SAG Awards (Screen Actors Guild) sempre molto significativi soprattutto per il premio collettivo al “miglior cast”. Per esempio l’anno scorso, da lì, si capì subito che il coreano Parasite non avrebbe avuto rivali.

Alla fine, quest’anno conteranno di più i presenti in sala dei vincitori, conterà moltissimo, almeno per me, che cosa un regista come Soderbergh saprà inventare per farci sognare una notte di glamour e magari ridarci un filo di speranza, alla fine di questa stagione cinematografica così sballata.