Far parlare una donna come Isabelle Huppert, è un'impresa ardua e complessa. Da vera e grande attrice, lo fa con i suoi film, più di 120 e quasi sempre d'essai quelli interpretati fino ad oggi. "Il cinema – spiega quando la incontriamo alla 13esima Festa del Cinema di Roma - è diventato una finestra sul mondo ed è sempre più politico. Per molto tempo è stato puro intrattenimento e in parte lo è ancora, ma è oramai anche pieno di domande stimolanti per gli spettatori, qualcosa che resta e che spinge a cercare risposte in ciascuno di noi". Il suo, di cinema, ha attraversato epoche lontane e diverse, un po' come le donne da lei interpretate: eroine letterarie (Madame Bovary) o cattive insegnanti (La Cérimonie), donne fragili (Ma mère), sensuali (Eva) o ossessionate da un certo tipo di sessualità (La pianiste), desiderose di vendetta, ad esempio il recente Elle di Paul Verhoeven, con cui ha rischiato di aggiudicarsi anche l'unico riconoscimento che fino ad ora non ha mai ricevuto, tra Palme d'Oro, Orsi, Cesar e Leoni: un Oscar.

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Isabelle Huppert in Giorgio Armani Privé e gioielli Pomellato

Capelli rossi e lisci, sguardo di fuoco, minuta ed esile ma solo in apparenza, la Huppert ha conquistato negli anni tanti registi, soprattutto italiani, da Ferreri a Bellocchio, da Bolognini ai fratelli Taviani, ed è stato proprio Paolo, in rappresentanza anche del fratello Vittorio scomparso qualche mese fa, a consegnarle a Roma il Premio alla Carriera, ma l'attore Toni Servillo, durante l'Incontro Ravvicinato condotto dal direttore artistico Antonio Monda, ha trovato per lei la definizione più esatta: “è un'equilibrista capace di guidare gli spettatori alla scoperta di quello che conosciamo e non conosciamo degli altri e di noi stessi”.

In effetti Isabelle Huppert è proprio così e recitando si diverte a tenere incollati gli spettatori su un filo immaginario di emozioni che può attrarre, respingere, sconvolgere, far innamorare, allontanare di nuovo o tutte queste cose insieme. "Alla mia professione – ci spiega - mi sento vicina e non vicina allo stesso tempo. Nulla di quello che interpreto ha a che fare con la mia storia, ma a livello segreto sono vicina e mi appartiene. Non dico mai che un ruolo che interpreto è il mio opposto perché non sarebbe possibile, non è me stessa, ma è qualcosa di me”. “I personaggi – continua - si dividono in più vicini a espressioni quotidiane della mia vita o in prossimi alle fantasie che si hanno su se stessi, ma poco cambia: entrambi sono finzione e il cinema è l'arte di restituire sentimento e verità a qualunque storia". “Tra il teatro e il cinema, ciò che conta è andare in scena”, precisa. “Da tempo, oramai, teatro e cinema si assomigliano sempre di più dal punto di vista estetico. Ho sempre pensato che essere un'attrice è dare un'intensità alla performance, ma è necessaria la concentrazione”. Necessaria e fondamentale è la luce, e lo ripete ben due volte durante il nostro incontro, poco prima del red carpet, fasciata da un aderentissimo abito di Giorgio Armani. “Noi attori dipendiamo dalla luce, è un elemento fondamentale per noi interpreti; possiamo apparire insignificanti o dire tutto a seconda di come siamo illuminati”.

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Sulla sua posizione del #MeToo, come di tante altre situazioni, preferisce non parlare. Due suoi film, La pianiste ed Elle, proponevano un'immagine femminile vittima della violenza maschile, poco importa se al di fuori dell'ambiente cinematografico, non hanno a che fare con la situazione attuale. “Le questioni al centro di quel film, soprattutto di Elle sono poste in maniera molto più aggressiva rispetto al passato. Non ho nulla a che vedere con loro, ho provato empatia, ma non è detto che le abbia amate”, dice lei. Il cinema è anche questo: un continuo confronto con se stessi, ma anche raccogliere sfide e trasformarsi in qualcuno di diverso. Il cinema emoziona, non ci sono dubbi, ma durante l'incontro pubblico, un'ora di ricordi che avrebbero fatto piangere anche la matrigna di Cenerentola, lei non versa neanche una lacrima. Sembra commuoversi, ma forse è stata solo una nostra allucinazione, quando viene ricordato Michael Cimino, che la volle a tutti i costi in I cancelli del cielo, “un'avventura incredibile con un regista geniale, un'opera concettuale che non è stata capita, perché andava vista come un sogno”. In un secondo, cambia di nuovo volto, l'attrice che è (in) lei ha di nuovo il sopravvento, inizia a parlare in italiano della bellezza del paesaggio toscano, ma il saluto finale è solo ed esclusivamente in francese: au revoir.