Sheryl Sandberg deve essere ancora il nostro modello di vita, o abbiamo preso un granchio? È una domanda imbarazzante sulla figura più rappresentativa di Facebook dopo Mark Zuckerberg, l'autrice del best seller internazionale Lean In, uscito in Italia col titolo Facciamoci avanti: le donne, il lavoro e la voglia di riuscire. Una domanda che si stanno ponendo molte importanti testate oltreoceano, tra cui il New York Times. Probabilmente ce la porremo anche noi da adesso, mentre siamo sempre meno affezionati al social network che negli ultimi dieci anni ha cambiato le nostre vite riunendo vecchie classi scolastiche ed ex coppie di fidanzati, ma che ci ha anche inondato di tanta spazzatura mediatica da costringerci al controllo qualità ogni volta che stiamo per aprire un link condiviso.

Annual Allen And Co. Meeting In Sun Valley Draws CEO's And Business Leaders To The Mountain Resort Townpinterest
Drew Angerer//Getty Images
Mark Zuckerberg, il vicepresidente di Facebook Dan Rose e Sheryl Sandberg

Pare proprio che uno dei divertimenti preferiti del destino, in questo periodo storico, sia quello di togliere certezze umane e sostituirle con altre a una velocità imbarazzante (ci sta succedendo anche con la leader birmana Aung San Suu Kyi). Nel suo articolo, il New York Times fa un passo indietro verso settembre 2017 per rievocare una riunione degli apicali di Facebook a Menlo Park all’indomani dello scoperta di sospette attività sul sito legate a una possibile interferenza russa sulle elezioni presidenziali. La compagnia era nei guai e lady Facebook Sheryl Sandberg era furiosa nel sentire il capo della sicurezza informatica interna confessare che il problema non era ancora sotto controllo. Per molti, quello è stato il giorno della resa dei conti, in cui sia lei che Zuckerberg si sono ritrovati davanti a un tribunale con il mondo intero (il social network aveva collegato già 2,2 miliardi di persone) come giuria.

Business Leaders Meet In Sun Valley, Idaho For Allen And Co. Annual Conferencepinterest
Kevork Djansezian//Getty Images
Sandberg col marito David Goldberg scomparso nel 2015 in un incidente domestico.

Secondo il NYT, né lei né Zuckerberg hanno affrontato questo primo disastro nel modo giusto, sottovalutandone i sintomi quando era ormai chiaro a tutti che IL social network era diventato un’arma impropria in grado di condizionare, diffondendo odio e fake news, i destini del mondo. A più di un anno di distanza, quando altri problemi relativi alla sicurezza dei dati continuano a filtrare un po’ ovunque nell’impalpabile tessuto dei legami digitali, la situazione di Facebook è critica e i commentatori più saggi si chiedono chi dei due abbia di più da farsi perdonare. Quartz non si pone esattamente questa domanda, ma si chiede più che altro chi ne stia uscendo peggio nel danno di immagine. Probabilmente è Sheryl Sandberg. Tutto per colpa del suo curriculum, la sua età più matura (ha 49 anni), l’esperienza che ha portato in dotazione quando nel 2007, lo scaltro Zuckerberg l’ha conosciuta durante un cocktail natalizio e, dopo pochi scambi di chiacchiere l’ha convinta ad abbandonare Google, per cui lavorava senza ottenere i giusti riconoscimenti. Sandberg non sfondava il tetto di cristallo a Mountain View, nonostante sia stata lei a convincere il portale America On Line ad adottare Google come motore di ricerca, e sia stata lei a inventare AdSense, il sistema di pubblicità mirata verso le preferenze del consumatore che vediamo in ogni sito che visitiamo. Zuckerberg, invece, ha fatto di lei la direttrice operativa.

US-IT-MEDIA-POLITICS-INTERNET-COMPUTERS-ESPIONAGEpinterest
JIM WATSON//Getty Images

Ma prima di questo Sheryl Sandberg laurea ad Harvard, aveva lavorato con un pezzo da novanta come Lawrence Summers alla Banca Mondiale, e poi lo aveva seguito alla Casa Bianca quando era capo dello staff del Presidente Clinton, che poi lo ha promosso Segretario del Tesoro. Per molti - compreso Zuckerberg -, questo avrebbe dovuto rendere Sandberg più consapevole del rischio di manipolazione del social durante la campagna elettorale. Per fortuna, in questo caso non si può proprio parlare di sessismo. A nessuno è venuto in mente di accusare l’opinione pubblica di attacco alla Sandberg "in quanto donna", perché sarebbe una cantonata clamorosa. Semplicemente, come fa notare Quartz, Sheryl non si sta comportando come ci si aspettava. Un sospetto di finto spessore si era già insinuato nel 2015, all’interno di Facebook al momento di discutere se chiudere o no l’account del candidato Donald Trump che violava le regole del social sull’hate speech razziale. Lei praticamente non disse una parola. Molti ammiratori vicini a Sheryl Sandberg oggi dicono di faticare a riconoscere la “competente leader che si batte per la parità di genere e i diritti civili”, mentre le sue ultime mosse e parole lasciano pensare a una “manager manipolatrice, per nulla preoccupata di ideali come la democrazia, dedita solo alla crescita dei profitti di Facebook e a proteggerne il nome”. Condanna netta, o dobbiamo darle ancora qualche chance per dimostrare che non ci siamo sbagliati? Una seconda possibilità non si nega a nessuno...