Quando si parla di Oriana Fallaci (1929-2006), una grande intellettuale prima ancora che una giornalista e una scrittrice, molti – soprattutto chi non l'ha conosciuta – finiscono quasi sempre per cadere in banalità, in cose ripetute e dette troppe volte. La Fallaci “terribile” e “irascibile”, la Fallaci “aggressiva”, la femme fatale impulsiva che dal lusso della sua splendida townhouse newyorchese poco lontana da Central Park guardava il mondo e lo giudicava vivendolo a suo modo senza ben sapere come stavano realmente le cose. La Fallaci era sicuramente una persona non facile, una donna diretta ed impulsiva capace di uccidere con la sua penna e il suo computer soprattutto i primi e i più potenti della terra, figuriamoci tutti gli altri, ma aveva – come tutti noi – le sue fragilità ed incertezze. I suoi lunghi articoli e i suoi libri, numerosissimi, da Insciallah a La rabbia e l'Orgoglio, da Intervista con la Storia a Lettera a un bambino mai nato, sono pieni di parole scritte con coraggio e spesso con una rabbia e un'intensità tali di cui solo lei era capace.

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Nulla le sfuggiva se non se stessa, colpita da un cancro - “cancro è una parola che bisogna ripetere e dire ad alta voce senza avere paura”, dichiarò più volte Oriana Fallaci, uccisa dallo stesso nel 2006. Dopo aver scoperto, studiato, rivissuto, ascoltato e scritto di vite non sue (memorabili le sue interviste ai grandi della politica del suo tempo), si rinchiuse nella sua casa di Manhattan perché malata, perché “incazzata” (la citiamo) con quella stessa vita che tanto amava e che, da un momento all'altro, le poteva essere tolta. “Sono sempre stata contenta di essere nata, perché la vita è bella anche quando è brutta e quando mi succede qualcosa di positivo c'è in me una gratitudine pazza”, dichiarò nel 1993 nella sua ultima intervista. Il suo nemico era appunto il cancro, “una creatura viva, un animale di un altro pianeta”, che decise di combattere con la sua arma più potente, il cervello, perseguendo una sfida mentale, “un dialogo muto tra me e lui”, soprattuto nei momenti in cui si accendeva una sigaretta (il fumo fu un vizio che non abbandonò mai), senza però trasformarlo in un rapporto di paura. Iniziò da quel momento a dare un valore diverso al tempo, perché “in quelle condizioni ci si sente dei condannati a morte”, “cambia la lunghezza dello stesso come la preoccupazione di usarlo bene e il timore di sprecarlo”. Oriana Fallaci si ritirò a vita privata, volendo vedere solo le persone a lei più care e tornando in Italia, Firenze compresa, raramente. I suoi figli erano i libri che scriveva, tanto che quando scoprì di essere malata, decise di finire di scrivere il libro che stava ultimando (Insciallah) e poi di iniziare a curarsi, scatenando critiche di italiani e non solo (Susan Sontag, che aveva avuto lo stesso male, la definì “molto stupida”), quasi di più di quelle dovute alle sue prese di posizione sui rapporti tra l'Islam e l'Occidente. "Tra la propria vita e quella di un figlio, quale madre sceglierebbe la propria?", rispose alle critiche. Quel corpo a lei estraneo, quell'alieno, non le faceva paura, ma era il suo nemico, voleva che si parlasse di lui, ma cercò con tutta se stessa di distruggerlo.

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Raccontò di altri presunti alieni sul finire degli anni Sessanta sulle pagine dell'Europeo, quando fu chiamata a seguire come inviata le vicissitudini del programma spaziale americano raccontando i lanci passati alla storia, ma soprattutto le storie degli uomini che ne furono protagonisti: gli astronauti. Fu Oriana Fallaci, per prima, a raccontare agli italiani la corsa americana allo spazio intervistando scienziati, medici, scrittori, fisici, tecnici e poi loro, gli astronauti appunto, “queste creature di fantascienza che dalla provincia volano direttamente nel cosmo”. Quel che ne venne fuori fu una galleria di ritratti a dir poco unici di alcune delle personalità più note come Neil Armstrong e Buzz Aldrin, ma soprattutto di coloro che con lei strinsero un'amicizia duratura nel tempo. E di cui possiamo avere un assaggio nel libro La Luna di Oriana, che raccoglie quegli scritti, e che è stato appena pubblicato in Italia da Rizzoli. Oggi vogliamo immaginarla lì, su quella superficie da lei descritta come “ricca di pianure desertiche e crateri, ma anche vallate e spartiacque, paesaggi variati che ricordano quelli terrestri”. Un astronauta speciale che dimostra sempre, anche così distante, che il vero coraggio degli uomini - come sosteneva Isaac Asimov, da lei molto amato - è quello morale, e che il vero progresso consiste nel superare la noia alla quale è stato condannato il mondo.

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Vittoriano Rastelli//Getty Images