Nella mitologia greca, la dea Atena nacque da un mal di testa di Giove. Nella mitologia britannica contemporanea, da un mal di testa da hangover nacque il miracolo dell’ibuprofene. Testandolo su se stesso, nella più totale incoscienza fortunata di cui è costellata la storia della scienza, Stewart Adams inventore dell’ibuprofene scoprì che il principio attivo era la risposta più immediata (e definitiva) per sconfiggere i postumi della sbornia, le emicranie leggere e tutta una serie di piccoli malesseri. Steward Adams è morto a 95 anni il 30 gennaio 2019, come ha confermato uno dei figli, Christopher Adams, alla BBC. Silenziosamente contento per aver cambiato il corso della vita di molti con una scoperta decisamente fortuita, della quale non si è mai vantato troppo. Un understatement da gentiluomo inglese del Northamptonshire, dove era nato nel 1923, che ne ha elegantemente guidato l’esistenza. “Sono più felice di sapere che molte persone hanno giovamento da quello che ho scoperto” rivelò sempre all’ammiraglia dell’informazione britannica anni dopo.

La carriera di Stewart Adams era iniziata per caso a 16 anni, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Un normalissimo apprendistato in una delle farmacie di Boots, il marchio di bellezza e salute più noto della Gran Bretagna fondato nel 1849. Il giovane curioso si appassiona alla chimica farmaceutica e sceglie di votarsi alle catene di composti organici e inorganici per la vita (e la carriera): si laurea in Farmacia a Nottingham grazie al sostegno dell’azienda Boots che lo mantiene agli studi e gli consente di evitare il servizio militare nell’Inghilterra devastata dal conflitto. In un paese in ricostruzione, Stewart Adams lavora perché aumenti la produzione di penicillina. Nel frattempo ha incontrato la giovane insegnante Mary, si è innamorato e l’ha sposata nel 1950. Perché va bene impegnarsi per salvare il modo dai dolori quotidiani, ma per l’amore non c’è farmaco che tenga. Un matrimonio solidissimo che non distrae Stewart Adams dalla sua curiosità di studioso e dal suo impegno: dopo una breve pausa torna a Boots nel 1952, fresco di dottorato in farmacologia a Leeds e pronto a immergersi in uno studio relativo alle relazioni (amorose) tra eparina e istamina nella cura per l’artrite reumatoide, all’epoca trattata soltanto con i corticosteroidi. Che hanno sempre gravi effetti collaterali nei soggetti allergici. Anche l’aspirina, il primissimo FANS scoperto e sintetizzato nel 1897, può avere controindicazioni se assunto in dosi massicce come antidolorifico: reazioni allergiche, emorragie, problemi all’apparato digerente. Quello che serviva era un farmaco in grado di NON causare side effects tali pur intervenendo sul centro del dolore: facile a pensarlo, difficile a farsi.

Ci sarebbero voluti anni, precisamente 6, perché nel 1958 la ricerca di Stewart Adams incrociasse la molecola più tollerata e tollerabile. Partendo proprio dalle proprietà dell’aspirina il giovane farmacologo, il chimico John Nicholson e il tecnico di laboratorio Colin Burrows testarono più di 600 composti chimici alla ricerca di quello definitivo. Il loro laboratorio era la cucina di una vecchia casa vittoriana nei sobborghi di Nottingham, dove Boots aveva dovuto spostare la sede per evitare i bombardamenti della guerra. “Ho sempre pensato che ce l’avremmo fatta. Me lo sentivo” raccontò alla BBC. La lunghezza delle analisi non li scoraggiò: la scienza in linea generale è una questione di caso e di tempi, e più di tante altre la chimica si basa su reazioni che possono essere anche lentissime a completarsi. Testardaggine, è il caso di dirlo. Una capatosta tutta britannica per trovare un antidolorifico ideale, la molecola perfetta per le terapie più leggere di contrasto ai fastidi più comuni, e finalmente rimettere l’Inghilterra sul mercato dei produttori farmaceutici in un momento storico particolarmente competitivo, specialmente nei confronti dei titanici Stati Uniti. Ma la strada del successo scientifico è lastricata di realismo: se non funziona, niente da fare.

“Arrivi ad un punto, prima o poi, in cui ti limiti a tenere le dita incrociate e a sperare che i composti siano efficaci. La prima volta resti speranzoso, mano mano che vai avanti non perdi la speranza ma di certo non lo guardi come se fosse la prima volta” aveva ricordato Stewart Adams al Telegraph nel 2007. La speranza si rinfocolò definitivamente nel 1961, dopo i primi quattro test fallimentari. Era il turno del (RS)-acido 2-[4-(2-metilpropil)fenil]propanoico, questo il nome scientifico del composto chimico che poi sarebbe diventato ibuprofene. Che iniziò a rispondere positivamente alle prime prove. “Era ben tollerato dal corpo ed era quello che cercavamo: che non avesse effetti collaterali eccessivi”. Arrivano i trials clinici qualche anno dopo: tutto bene, le controindicazioni restano sempre basse e sotto controllo. Ma manca ancora il test decisivo, la prova definitiva che il nuovo composto sia in grado di eliminare il dolore più comune. E Stewart Adams l'ibuprofene lo prova da cavia approfittando di una situazione che più stereotipo inglese non si potrebbe: una sbornia colossale dopo aver festeggiato l’approvazione del Regno Unito per la commercializzazione del nuovo principio attivo, la possibilità di prescrizione, uso e consumo della scoperta di Stewart Adams e John Nicholson (resteranno colleghi e firmeranno altri studi insieme) con il tecnico Colin Burrows.

“Ero stato a festeggiare con i colleghi di una conferenza europea nel 1971 e dovevo essere il primo della mattina successiva a parlare. Ero in hangover e ho preso 600mg di ibuprofene. Era un test estremo ma speravo che facesse la magia” ha ricordato Stewart Adams anni dopo al Telegraph. E la magia avviene: il mal di testa evaporò, i postumi spariti. Prontissimo per la conferenza, Adams si rende conto che la sua drug è davvero rivoluzionaria. Ma lui resta un uomo d’altri tempi: continua le sue ricerche sui farmaci per l’artrite reumatoide, non solo sugli antidolorifici che alleviano i disagi quotidiani. Resterà nei laboratori di ricerca di Boots per tutta la vita, a capo della divisione di scienze farmaceutiche fino al 1983, e verrà onorato con un dottorato honoris causa e con due blue plaques, il massimo riconoscimento della Royal Society of Chemistry. Stewart Adams è stato anche glorificato dalla Regina Elisabetta II con il riconoscimento dell’Ordine dell’Impero Britannico nel 1987, per i suoi servizi resi alla Corona. Niente Nobel per lui, ma al merito potremmo anche conferirglielo. D’altronde l’ibuprofene ha realmente cambiato l’approccio a disturbi comunissimi come febbre, mal di testa, mal di schiena, mal di denti, dolori mestruali, infiammazioni in condizioni di artrosi… Le pillole di principio attivo in vario dosaggio sono le migliori amiche di tantissime persone. Già negli anni 70, agli inizi della sua libera circolazione, l’ibuprofene è stato uno dei farmaci da banco più venduti al mondo: lo stesso Stewart Adams aveva notato che persino nei più remoti, solitari villaggi dell’Afghanistan dove era andato in vacanza negli anni 70, c’erano piccoli spacci dove veniva venduto il magico antidolorifico. Oggi le case farmaceutiche ne producono tra le 15 e le 20mila tonnellate complessive l’anno, tra pillole e gocce per andare incontro a tutte le esigenze incluse quelle dei bambini. Eppure Stewart Adams inventore ha sempre sostenuto che il successo non lo abbia scalfito più di tanto. “Non mi è cambiata la vita” raccontò in un’intervista di qualche anno fa. A lui forse no. Ma quell’intuizione di sconfiggere il mal di testa da sbornia con l'ibuprofene, di certo l’ha cambiata a tutti noi.