Saranno stati i millenni in casa a fare gli angeli del focolare, a rendere le donne esperte (forzate) di affari di Stato. Questo è quello che viene da pensare di fronte alle molte donne in politica e oggi, in particolare, analizzando il successo di Zuzana Čaputová, la leader del partito Slovacchia Progressista che ha vinto il primo turno delle presidenziali nel suo paese. La sensazione è che ormai, quando il gioco si fa duro le donne si rimboccano le maniche, prendono per le orecchie i bambini indisciplinati e ristabiliscono gli equilibri. Zuzana Čaputová lo sta facendo con il comodissimo consenso del 40,5% dei voti, abbastanza inaspettato in uno dei paesi del Gruppo di Visegrád, il sottoinsieme dell’Unione Europea che comprende Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e appunto, Slovacchia, e che negli ultimi tempi ha teso molto verso il sovranismo. Zuzana Čaputová è tutto l’opposto di una sovranista e il suo exploit ha sortito il doppio effetto sorpresa non solo di presentarla al mondo come una delle nuove donne che emergono nella politica internazionale, ma anche la portavoce di una tendenza antieuropea che sembrava inarrestabile. Ma chi è Zuzana Čaputová, e qual è il segreto della sua carriera, che la pone direttamente nel club delle signore da tenere d’occhio, da Alexandria Ocasio-Cortez negli Usa a Katharine Schulze in Germania, dalla prima presidente dell’Etiopia Sahle-Work Zewde alla venezuelana Corina Machado, fra le più accanite oppositrici di Nicola Maduro?

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Madame Zuzana Čaputová è innanzitutto un’avvocata. È nata nel giugno 1973, l’anno in cui finisce la guerra in Vietnam, in Italia viene rapito Paul Getty III e Irlanda, Regno Unito e Danimarca entrano a far parte della Comunità Economica Europea, che arriva così a nove Stati membri, crescendo passo dopo passo. Nel 1996, a 23 anni, Zuzana si laurea in Giurisprudenza all'Università Comenius di Bratislava e lavora subito nel governo locale di Pezinok, prima come assistente nel dipartimento legale, e in seguito come vice del sindaco. Ma la giovane avvocata è da subito un’attivista per ogni causa che reputa sia meritevole della sua attenzione, come la battaglia contro il piazzamento di una discarica inquinante a Pezinok per la quale si è spesa molto aggiudicandosi il soprannome di “Erin Brockovich slovacca”. Tra i suoi cavalli di battaglia, infatti, c’è l’ambiente, argomento ancora fin troppo sottovalutato e considerato roba per signore radical chic (qui il termine abusato ci sta) che cercano un senso nella vita. Zuzana Čaputová, invece, l’ha sempre preso dal lato più autorevole e ha fatto proselitismo. Nel frattempo, si sposa, ha due figli, divorzia. Difende la sua privacy come la maggioranza delle donne politiche di questa generazione.


Nel novembre del 2017, dopo una serie di incarichi istituzionali rilevanti, Zuzana Čaputová è una delle fondatrici del partito europeista Slovacchia Progressista, registrato dopo aver raccolto 13.500 firme, che in uno Stato di 5 milioni e mezzo di abitanti non sono poche. In solo due anni, Slovacchia Progressista diventa così forte da portare la sua eroina a un passo dalla presidenza. Zuzana ha l’immagine perfetta, è una donna di bell’aspetto, che veste anche in rosso, ma in quel modo che non evoca lo spettro della presunta superficialità che perseguita le donne bionde, eleganti e avvenenti. Produce frasi a effetto ma semplici, che suscitano l’invidia di politici che non ci hanno pensato prima di lei, tipo: la giustizia in Slovacchia non è uguale per tutti. E giù applausi. A marzo del 2018, Čaputová annuncia la sua candidatura dopo che l’altro contendente alle primarie Robert Mistrík si è ritirato. Il 30 marzo in Slovacchia si voterà il ballottaggio fra i due candidati rimasti dopo questo primo turno, ovvero Zuzana Čaputová e Maroš Šefčovič, il vice di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione Europea. Lui ha preso il 18,7% dei consensi, contro il 40,5 di Čaputová. Qualcuno, nel quartiere generale di Slovacchia Progressista ha già preparato i bicchieri per brindare.