L'opera SECONDA CLASSIFICATA del progetto MCBodytelling è “LA MUTA” di Martina Domenici (MOHOLE, Milano)

Homo homini lupus. - Plauto

A gennaio Entracque è un cumulo di neve. Sulla legna accatastata fuori dalle case le ringhiere di ghiaccio sono spezzate dalle impronte dei guanti che ogni giorno la sollevano. La foresta scompare dentro a un cielo grigio come il ferro e le strade ghiacciate rivelano la loro pericolosità affacciandosi sulle cime di alberi bianchi, alcune sono state chiuse e Greta è costretta a passare da sentieri stretti ma meno ripidi.
Ripensa alle parole del medico; Gennaio ruba il suo nome a "Januarius", il dio Giano detto "il bifronte". In fin dei conti è nella sua natura concederci questo tempo per lasciarci la libertà di valutare gli errori e le perdite del passato, conducendoci passo dopo passo nel futuro”.
La strada inizia a salire mentre nell’oscurità si scontornano fiocchi di neve, cadono delicati sul parabrezza per poi essere spazzati via dai tergicristalli della Jeep. Le fanno largo ai margini della strada i faggi nudi con le cortecce rigide per il ghiaccio. Greta alza il volume della radio, su radio Cuore passa Poison di Alice Cooper. Sorride e la canta stonando.
Quando infine varca il cancello dell’area protetta si sente di nuovo piena di energia. Ferma la macchina vicino a un edificio marrone cresciuto intorno alle sassifraghe. In questo mese il centro resta isolato anche per diversi giorni, la neve impedisce lo spostamento di gran parte dei mezzi e spesso sono lei o Paolo a dover fare rifornimento a Cuneo.
Mette i guanti e carica la legna sopra alla catasta vicino all’ingresso, poi la copre con un telo perché non si bagni. Paolo pulisce il pavimento dalla fanghiglia, sono le sette di sera, al centro oggi non si è visto nessun visitatore.
Nella stanza accanto due volontari discutono entusiasti dell’ululato di Ligabue, cercano nel telefono un’applicazione per collegarsi alle telecamere e osservare i lupi in letargo. Mentre parlano Greta non può fare a meno di osservare la ragazza, il color avena della sua pelle, la folta chioma rossa, il petto morbido come quello di un merlo. Paolo le si avvicina e la abbraccia con trasporto, la fa traballare e la trascina con una risata nella stanza accanto.

Ridono ancora quando lei gli chiede:
“Come è andata?”
Paolo si accende una lucky strike.
“Oggi non è venuto nessuno, è la prima volta che la torretta d’osservazione è deserta. Ma del resto con questa neve i lupi non si fanno vedere, se ne stanno al caldo nelle tane come noi. Siamo riusciti a fare un prelievo a Diana, domani abbiamo i risultati.”

Greta ripensa alla lupa che mordicchia i peli di Ligabue. La vede sollevare gli occhi lasciva e zampettare alla sua destra, ha sempre pensato che fossero gli esseri viventi più sinceri, eleganti e disinibiti.
Paolo la osserva, non dice niente, non ne ha bisogno, sa che se vuole sarà lei a parlargliene. Greta ha un nodo alla gola e gioca con le pellicine delle dita, di tanto in tanto guarda la neve attecchire alla finestra, poi sempre senza guardarlo si apre in un sorriso.

“È stata l’ultima seduta dallo psicologo. Mi ha detto che sono pronta.”

***

Decidono di organizzare una festa il giorno dopo. Alcuni amici sono venuti dalla città e si uniscono ai festeggiamenti al centro. Qualcuno ha portato due damigiane di vino rosso piemontese, altri un whisky così forte da far venire le lacrime agli occhi. Uno striscione rosso riporta una scritta rudimentale, le lettere storte riconducano a “Congratulazioni Greta”.
Luce e Claudio, i volontari, ballano vicini mentre dallo stereo esce musica pop. Quando i glutei di Luce le toccano il fianco, Greta finge un movimento del bacino per voltarsi e guardarla.

Invidia le cosce nude che salgono formose fino al sedere, la cintura sottile e i seni rotondi come levigati dall’acqua del fiume. Improvvisamente i suoi movimenti la imbarazzano.
Le vertigini la costringono a fermarsi e a entrare in ufficio dove Paolo la raggiunge.
Ha la camicia sbottonata, dal petto s’intravedono dei peli scuri ricurvi su sé stessi e in mano stringe un bicchiere colmo di vino. Greta è seduta sulla poltrona, nel petto trattiene un respiro.

“Paolo, e se non riuscissi ad avere rapporti soddisfacenti?”
Paolo si blocca, la mandibola di lei è contratta e i suoi occhi evitano di guardarlo.
“Se conoscessi qualcuno più dotato sarebbe soddisfatto lo stesso? Proverebbe piacere?”

Gli occhi verdi di Greta adesso sono fermi nei suoi, è una domanda a cui non sa rispondere. Lui le si avvicina e le cinge le spalle, del vino ondeggia fuori dal bicchiere e cade sulla scrivania.

“Greta. Quello che si vedrà c’è anche adesso.” Glielo sussurra nell’orecchio, poi le dà un bacio sulla testa e la avvicina a sé. Sebbene abbiano la stessa età, Paolo ha una corporatura più robusta. Greta appoggia la testa sopra alla sua spalla mentre con l’indice distende il vino lungo le vene che percorrono il legno della scrivania. E se non si vedesse mai? Se restassi per sempre come Giano, un essere bifronte? Io voglio essere una sola, essere vista come Greta, sentirmi in ogni cellula, flusso, organo, Greta.
I pensieri rallentano mentre si abbandona al sonno.

È di nuovo bambina. Ha disfatto le valigie nel Garage dei suoi genitori, è lì che tengono i vestiti estivi nell’attesa che il freddo si sciolga. Greta si avvicina allo specchietto retrovisore della macchina, è sulla punta delle scarpe e si osserva ondeggiare sui tacchi fino alla porta grigia. Tocca gli orecchini e fa moine con le mani come ha visto fare a Nicole Kidman al cinema. Ha l’aspetto di una vera bambina e non deve fingere mettendo le parrucche che la mamma usa per uscire. Gli occhi però sono i suoi e anche il viso sembra appartenerle, con le lentiggini rosse e la gobba sul naso. Suo padre apre di scatto la porta, la guarda senza capire, poi con disgusto la prende per i capelli gridando: “Dove è mio figlio?”

Il panico di suo padre le fa paura. Si concentra allora sullo scandire del muscolo cardiaco, lo percepisce in gola, nella cavità toracica. Lo sente pulsare lungo il pizzo del reggiseno, nella pelle che trema, nel pube. Ascolta con concentrazione l’aria filtrare dai polmoni, diventare altro, diventare vento. Il corpo incarnarsi, correre selvaggio. Andarsene dalla famiglia, unirsi a un branco, il suo branco, dove sente l’identità viva insieme ad altri come lei. Percepire il suono di un temporale, l’odore del latte, un rifugio per difendere l’anima che le urla di scappare.

***

Delle strisce di cielo indaco si specchiano sul muro avorio dello studio. Greta si sveglia con il sapore acido della nausea in bocca. Sono passati cinque anni, ma le parole pesano nei polmoni come le rocce che a volte vede cadere in lontananza dalle Alpi. È un chiodo. Conficcato nelle vertebre, assorbito come un veleno e ricomposto dalla pelle, ma non brucia e non provoca più infezione o turbamento.

Esce dal centro dopo qualche ora. Paolo è alla torre di osservazione ricurvo su un taccuino mentre scrive dati e valori nutrizionali, peso delle prede e il comportamento osservato. Dall’alto Greta riesce a intravedere delle macchie scure muoversi nel sottobosco. L’incidere dei passi nel legno la annuncia prima che possa parlare,
Paolo la guarda gettando la penna sulla trave e, sollevandosi, tira fuori dalla tasca un foglio che passa a Greta. Gli occhi dell’uomo creano una mezzaluna mentre sul volto si distende un sorriso.

“Ieri sera sono arrivati i risultati degli esami. I cuccioli nasceranno fra venti giorni.”

Greta risponde goffamente balbettando, sulla lingua ha ancora una patina di acidi gastrici e alcool. La lupa intanto è stesa sul manto erboso, Ligabue le lecca il muso e le lucida il pelo che le cade a ciuffi, poi si sdraia accanto a lei nascondendo il muso tra le zampe. Pensa alla rinascita, a quel miracolo che la fa sentire così ingiustamente vicina a Diana. Lei, lontana dalla sua famiglia, determinata a creare un nuovo branco, una comunità di simili in cui crescere, farsi carne, cacciare. Cambiare.

“Tutti hanno diritto a vivere non credi, Greta?”

***

Undici giorni dopo, al reparto di chirurgia plastica ricostruttiva, Greta si guarda le ginocchia a punta mentre aspetta che il chirurgo la chiami. Paolo è con lei in sala d’attesa, nella noia sfoglia qualche giornale, mentre su uno schermo scorre ininterrottamente lo stesso filmato dove medici e infermieri sorrido parlando della ristrutturazione al seno. La situazione per un attimo le sembra grottesca, forse è stato per il sogno della notte prima, o per la maternità imminente di Diana. Paolo ha comunque intuito che qualcosa non andasse e ha deciso di accompagnarla. Dopo pochi minuti la chiamano, l’infermiera controlla il suo nome e la fa accomodare nello studio medico. Infermiera e chirurgo le si presentano, vogliono metterla a suo agio prima di farla stendere sul lettino, poi proseguono con le domande di routine.

“È venuta da sola?”
“No fuori c’è un mio collega…un amico.”
L’infermiera fa un sorriso. Forse è abituata a vedere donne e uomini soli. Lei ha la fortuna di avere Paolo, ma per la sua famiglia esiste solo come dispetto.
“Non c’è bisogno di spogliarsi, va bene anche se si abbassa i pantaloni.”

Quando esce dallo studio medico Paolo sta ancora leggendo le riviste.
Il chirurgo le ha detto come avverrà l’intervento, l’asportazione dei testicoli e dei corpi cavernosi, la creazione delle piccole e delle grandi labbra con lo scroto, la realizzazione di quella cavità di quindici centimetri tra retto e vescica e l’introflettersi della pelle del pene per creare la vagina. Greta ne parla con vigore.
“Il clitoride lo si costruisce con una parte del glande”, dice, “Pensavo mi togliessero tutto! A quanto pare l’unica cosa noiosa sarà il mantenimento della lubrificazione all’interno della vagina.”

Paolo la abbraccia, sente qualcosa di bagnato scivolargli sul collo mentre si stringono in modo primitivo, forte, animale. Ha sempre pensato che le mancasse armonia, di essere grottesca e ridicola, non intera, di essere sola. A mano a mano che si abbandona a quell’abbraccio si rende conto di quanto le sue preoccupazioni fossero ingiustificate. Lei ha il suo branco.
E anche nei suoi sogni, faccia a faccia contro i suoi sogni, contro tutta la rabbia e il dolore, contro tutte le cose che per gli altri non esistevano, solo perché non le vedevano, perché non le sentivano, e per questo, solo per questo, non esistevano.
Lei è sempre stata donna.

Fine.

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