Lo slang newyorkese ha regalato al basket una delle espressioni più belle per esprimere il talento sul playground: he got game. Spike Lee ne ha fatto un film a tema, i Public Enemy l’hanno cristallizzata in uno dei loro rap più emozionanti. Nella vita reale, he got game è la quadratura del talento sportivo con le risorse umane: Danilo Gallinari got game, è indubbio. E oltre al game ha pure parecchio heart. 31 anni, l’8 come numero fortunato (per uno nato l’8/8/88 è naturale), cresciuto tra Casalpusterlengo e l’Olimpia Milano prima di decollare verso l’NBA, Danilo Gallo Gallinari è attualmente uno dei pochi giocatori italiani tesserati nel massimo campionato di basket del mondo, dove la magia della pallacanestro diventa spettacolo per gli occhi.

Ma la natura del basket è nella grazia urbana. Prima dei parquet lucidati sul momento nelle grandi arene ci sono i campetti di strada, le palle a due, le “zonette”, la gara dei tiri liberi per sentire il ciaff della palla a spicchi che sfiora retine traballanti tra il frinire inesorabile delle cicale. Ci sono le scarpe da playground, un laccio rosso che passa dalle All Star Chuck Taylor fino alle Air Jordan: ma rigorosamente alte alla caviglia. C'è un immaginario street che continua a resistere e alimenta il mito. Il basket è strategia di fantasia, eleganza, bellezza, tattica, tecnica. E squadra, prima con se stessi poi coi compagni di campetto. Where’s the game in life? Portare questa filosofia aggregativa in giro per le città, regalando spazi di allenamento gratuito. Applicazione pratica a Milano, dove Danilo Gallinari assieme all’amico Michele Ponti ha messo su carta l’idea di We Playground Together: un progetto di riqualificazione di campetti da basket nelle zone periferiche della città di Milano, per avvicinare le persone alla semplicità dello sport di squadra. Uno all’anno dal 2018 al 2020, ché la calma è virtù.

“Uno dei valori che viene trasmesso dalla pallacanestro è la capacità di relazionarsi"

"E capire che per arrivare ad un obiettivo non lo puoi fare da solo, individualmente, ma lo devi fare con i tuoi compagni di squadra" spiega Danilo Gallinari durante la conferenza stampa di presentazione della seconda edizione. Michele Ponti gli fa eco a margine, disseminando qualche sogno futuro: “Siamo partiti un po’ in sordina senza dirlo a troppa gente, al Comune abbiamo promesso i primi tre anni e confermiamo che l’anno prossimo faremo un altro campo. Qualche altro comune si è fatto sentire, tipo “basket city” ovvero Bologna ha bussato alla nostra porta. Però noi facciamo poche cose, e bene, una alla volta” sorride, non senza nascondere la voglia di portare in tour la sua esperienza. L’elezione di Milano e Cortina a città delle Olimpiadi Invernali 2026 ha dato un bel boost alle speranze, ma la prudenza è d'obbligo: “Per il momento chiudiamo questo ciclo di Milano e poi ci pensiamo. Quando ho scritto all’assessore per complimentarmi, mi ha risposto “lo allunghi il progetto?” Milano può diventare la città dello sport. Io la chiamo 'la città del mondo', qui trovi tante cose che in altri posti trovi singolarmente. Parlerò comunque con l’assessore e con il team, arrivare al 2026 è impegnativo anche per gli sforzi economici: è Danilo che si prende in carico tutta la parte operativa del progetto. Siamo sostenuti da partner ma i lavori strutturali sono a carico nostro. Non è una promessa, ma sarà una speranza” conclude Michele Ponti.

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Dopo essersi occupati nel 2018 del playground di Largo Marinai d’Italia (che è ancora intatto ed è stato preservato da vandalismi proprio grazie all’aiuto di chi lo frequenta, racconta ancora l’organizzatore a margine della conferenza stampa di presentazione), per questa seconda edizione in collaborazione con Adidas, Mapei, Garage Italia, Sisal e il contributo della Fondazione Laureus di Milano, We Playground Together ha progettato la riqualificazione customizzata e coloratissima del playground da basket di Viale Sarca, oltre che di un vicino campetto di calcio a cinque, che verranno inaugurati ufficialmente il prossimo 21 luglio. Proprio alla presenza di Danilo Gallinari, che non ha esitato a raccontare, con il suo innegabile aplomb da numero 8, da dove è nato tutto.

Questo è il secondo anno di We Playground Together. Cosa ti ha spinto a idearlo, sceglierlo l’anno scorso, e poi quest’anno a continuare la collaborazione?

È un pensiero che è nato qualche anno fa, perché quando torno vado sempre a giocare con gli amici al campetto. Quando vedi certe realtà pensi sempre “possiamo migliorarle”: non solo la struttura, ma anche le persone che vanno a giocare, i ragazzini che passano le loro giornate estive dopo la scuola al campetto. Era un’idea. Poi ne ho parlato con Michele (che chiama affettuosamente “il Michi”) e da lì è nato tutto.

Portare lo sport a tutti, praticamente?

Esatto. Far sì che non ci debba essere per forza una palestra al chiuso per allenarsi. All’aperto, camminando per strada, si può fare tutti i giorni. Basta il pallone giusto.

La nazionale italiana di basket ha i Mondiali in Cina a partire da fine agosto. Tu come ti stai preparando? Sappiamo che ti stai allenando in palestre vicino Milano…

Mi sto allenando, sì, come altri compagni di squadra che hanno appena finito la stagione. Siamo pronti per cominciare. Tranne uno dei miei compagni di squadra, è una cosa che nessuno ha mai vissuto. Nessuno ha mai giocato un mondiale, quindi siamo molto carichi.

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Uno sport come il basket è di tradizione molto maschile, come il calcio. Ci sono però tante ragazze che vogliono giocare a pallacanestro. Tu che raccomandazione dai a una bambina che volesse giocare?

La stessa che dò ai ragazzi: prendere un pallone e divertirsi, in primis. Per arrivare a risultati importanti e cercare di essere un atleta di un certo livello, bisogna capire che serve fare sacrifici e sudare proprio tanto tanto per arrivare.

Qual è la cosa che il basket ti ha dato di più?

Forse mi ha aiutato a capire cosa significa davvero lo spirito di sacrificio. E come relazionarsi con gli altri per arrivare ad un obiettivo comune.

Se avessi un figlio o una figlia che volesse giocare, a basket o a un altro sport, che faresti?

Gli lascerei fare quello che vuole (sorride). L’importante è che sia contento, o contenta, felice di farlo. Che faccia sport e che si impegni.

Un parere sulle tue colleghe della nazionale femminile, che hanno fatto un cammino impegnativo per gli Europei (le ragazze sono state eliminate nei gironi, ndr).

Non vogliono mettere pressione alle ragazze, spero portino a casa qualcosa. Le seguiremo. Se vinceranno metteranno pressione anche a noi, così saremo costretti a vincere qualcosa (ride).

Sul professionismo c’è un grosso dibattito perché spesso atleti e atlete non sono riconosciuti come tali. Ti sei mai trovato in questa condizione?

Io no, ma ho amici atleti che hanno affrontato e stanno affrontando questo dibattito. C’è da tanti anni, sono cambiate tante regole. Chiaramente siamo e sono dei professionisti, ci deve essere questo tipo di riconoscimento. Per tanti motivi.