Perché uno come Renato Zero continua a piacere così tanto? Chi scrive se lo è chiesto diverse volte prima di incontrarlo, a Roma, la sua città - quella che ama e di cui si vergogna “per le condizioni in cui versa”, come ci dirà – alla presentazione in anteprima del suo nuovo album Zero il folle, e dell’omonimo tour nelle principali città italiane al via da novembre, ma già sold out. La risposta potrebbe stare proprio in quella sua follia, in quel modo di essere che ha permesso a Renato Fiacchini di diventare Zero, “nonostante i fischi dei così detti maschi”, come canta nel brano che dà il titolo all’album. “Ero nato per essere niente/il mio io non piaceva a nessuno/ ho cercato, ho cercato, ho cercato e mi sono trovato”, aggiunge. Ha avuto sì quei fischi, ma se n’è fregato, come ci ribadisce a voce, indossando paillettes, piume e abiti tra i più stravaganti e creativi, trucco e parrucco inclusi, dicendo cantando - o solo dicendo – sempre quello che pensava. Lo fa ancora oggi con un linguaggio vincente, perché comprensibile da chiunque, un po’ come ha fatto Totti nel calcio. “Penso a Gesù Cristo come a Paolo Poli, a Van Gogh come a Beethoven, a Mozart e a Lady Gaga: loro hanno dimostrato che stravaganti si nasce, cioè desiderosi di espandere questa gioia di vivere come la sregolatezza che possono essere travolgenti”. La follia deve esserci, dice più volte, ma deve essere “bella, sana e contagiosa”, soprattutto in questo mondo che

“non è più tondo, ma troppo quadrato e impostato”.

Gli anni che ha – 69, compiuti proprio oggi – non gli pesano, perché è riuscito a dominarli. “Sono gli altri che li temono, non io che invece sono riuscito a confonderli, a indossarli e non deluderli”. In Ufficio reclami, uno dei brani più apprezzati, ricorda di aver molto peccato “offrendo il peggio che c’è”, ma adesso rivuole la pace, ribadendo sempre l’importanza del sesso (“la vita è così avara quaggiù/non privatemi di quelle scappatelle”). “Sono stato un peccatore eccellente e non mi aspetto certo grandi cose dal piano superiore, ma di certo il perdono, perché so che esiste”. Nelle cinque immagini/copertina scelte per l’album, tutte realizzate da Roberto Rocco, è un fauno, un animale con le corna, una geisha come un santone indiano. In un’altra ancora è una sorta di Dio a cui dedica Quanto ti amo perché lo ama più di se stesso, “in ogni momento e in ogni espressione”. Dire “Ti amo” dovrebbe essere la cosa più facile, ci spiega, ma in realtà non è così. Lui lo dice continuamente, “perché è una forma di protezione per comunicare agli altri i loro potenziali e le loro credibilità, un’alta forma di tutela e preservazione che va spesa non necessariamente per una forma di amore a due”.

Dire “Ti amo” dovrebbe essere la cosa più facile

Nel nuovo disco in uscita il 4 ottobre prossimo prodotto da Trevor Horn (lo stesso di Paul McCartney, Rod Stewart e Robin Williams), pubblicato da Tattica e registrato negli studi londinesi di Sarm Music Village, spara a zero (è il caso di dirlo) anche sui social (dammi un profilo credibile/che dietro ci sia tu”), sul nostro Paese (“qualcosa qui non quaglia/ripopoliamola”) e denuncia il nostro vivere spesso sospesi alla ricerca di un like “sotto un cielo di stelle che non ci emoziona più”. Il destino è amaro, non bisogna fare sempre tutto di fretta, la musica “è il carburante”, viaggiare, soprattutto senza bussola, “è fondamentale e più importante che leggere”, come osare, perché tanto il cielo – “che non è più quello di quando ero bambino” – offre sempre una soluzione. “La natura – canta in Viaggia – è sempre con noi, “se la rispetterai, se avrai cura di lei quanti frutti vedrai”. L’ecologia, ci dice a voce, è il nostro nutrimento. “Il panorama incide sul nostro temperamento”. La vita è una sola e bisogna preservarla, ma soprattutto “viverla fino in fondo senza avere dei ripensamenti, dei pregiudizi o pentimenti”, perché questa barca “è di tutti” e dunque la traversata “deve essere morbida e lieve”.

“Non sono social”, ribadisce, ma nella mia giungla ci sto benissimo”

Il mondo si è fatto piccolo, canta in Mai più soli, e c’è troppa tecnologia, è il tempo dell’apatia, non c’è nessuna curiosità, la gente prosegue pigramente e siamo tutti sospesi in attesa di un giudizio. C’è sempre fretta ed “è tutta una vetrina, con la nostra vita esposta come se fossimo dei trofei. “Non sono social”, ribadisce, ma nella mia jungla ci sto benissimo”. Scuotere le coscienze: ecco cosa ha fatto e continua a fare questo “eccellente peccatore” nei suoi oltre 50 anni di carriera, oltre 500 canzoni e oltre 45 milioni di dischi venduti. È quindi anche per questo che piace così tanto. Non ha mai voluto dare delle risposte, questo è vero, ma ha cercato sempre di dare agli altri la possibilità di potersi fare delle domande. E non è certo una cosa da poco.