Bill Murray riesce a sorprendere sempre. Non lo fa apposta, o forse sì, ma tra i personaggi che interpreta sul grande schermo e la sua vita di tutti i giorni c’è una linea di confine talmente sottile che, quando lo si incontra da vicino, della stessa non c’è più traccia alcuna. Tra il Murray pubblico, quello di film molto diversi tra loro, ma indimenticabili - da Ghostbusters a Tootsie, da Le avventure acquatiche di Steve Zissou a Grand Budapest Hotel, ma la lista è assai lunga – e il Murray privato, non ci sono differenze. Lui è così come si vede ed è forse per questo che piace così tanto a tante e diverse generazioni di pubblico. Da vicino, poi, quando ti parla, ti osserva, si distrae e ti distrae per un particolare che ha notato solo lui o addirittura sbadiglia se qualcosa lo annoia, sembra di avere affianco il Bob da lui interpretato in Lost in Translation di Sofia Coppola, altra pellicola cult, con la differenza, però, che nella vita vera lui non è una star hollywoodiana in declino, ma tutt’altro, e non pubblicizzerebbe mai una marca di whisky, “anche se mi piace bere, per carità”, ci dice quando lo incontriamo in serata alla Festa del Cinema di Roma.

Se durante una Berlinale di qualche anno fa, alla conferenza stampa si presentò in ciabatte, qui a Roma, la mattina, non si presenta affatto. “È ancora in pigiama e sta ancora dormendo”, ci dice tra l’imbarazzato e il divertito Antonio Monda che l’ha voluto qui per premiarlo alla carriera. Con Wes Anderson, l’amico di sempre, il regista con cui ha lavorato a ben nove film, arriva all’Incontro Ravvicinato con quaranta minuti di ritardo – giacca color senape, camicia rosa e cappello Borsalino blu – e non gli importa di nulla e di nessuno se non di se stesso. Basta una sua frase, un suo saluto, un suo gesto che il pubblico – lo stesso che si era lamentato ad alta voce per la lunga attesa – dimentica presto quel “prima”. Sì, perché con Bill Murray oggi come ieri c’è sempre un “durante”, un momento o più momenti in cui lui dice, fa e sorprende con un savoir faire tra il tragico e l’ironico, persino comico quando cerca di mettere l’acqua nella borraccia o interrompe la brava traduttrice (Olga Fernando) che cerca di fare il suo lavoro. "Siamo dei veri americani aggressivi, dice lui scherzando, se volete, vi fate dire la traduzione dal vostro vicino". Quando, poi, uno tra il pubblico si alza e se ne va per la mancata traduzione in italiano (l’inglese, questo sconosciuto), lui fa spallucce e dice: “Vai via? Ti auguro una grande vita”.

Lo salva Anderson che sembra uscito da un suo film - completo a righe bianche e rosse come i calzini che fa scendere (non) volutamente facendo intravedere la caviglia – e che ricorda il loro primo incontro in un’università e una sua frase detta sul set: “Vorrei rimanere per sempre qui con voi”. “Non c’è niente di più rassicurante per un regista nel sentire una frase del genere pronunciata da un suo attore”, dice Anderson, e Bill Murray ridacchia, bacia e abbraccia nel frattempo Frances McDormand, attrice e moglie di Joel Coen che sale sul palco ribadendo, seduta sulle sue ginocchia, che non poteva non esserci. Intervengono, poi, ma via video, amici, attori e registi di Murray, da Angelica Houston a Tilda Swinton (da un campo da golf in Scozia, (in)consapevole omaggio al film “Palla da golf”, da lui interpretato nel 1980?) fino a Jim Jarmush che lo ha diretto nel delicato Broken Flowers. Ha ragione lui quando ricorda che “ha rinvigorito il cinema indipendente americano” e quando dice che uno come Murray andrebbe premiato “per il solo fatto di essere se stesso”, “un attore straordinario che potrebbe fare qualsiasi cosa (e vi aggiunge pure, “caro Bill motherfxxxxr Murray")”.

La conversazione prende a questo punto una deriva inaspettata, ma nessuno si meraviglia più di tanto. Bill Murray passa nel giro di pochi secondi dal serio al divertito - quando ricorda alcuni episodi sui set (sul quello di Moonrise Kingdom lavoravamo come pazzi e mangiavamo solo a mezzanotte") - per poi tornare a farsi serio quando parla di Roma. "Roma è una città bellissima, ma la parte più bella della sua storia l'hanno fatta gli altri, quelli che sono venuti prima. I romani oggi – continua - devono avere cura di questa città, amarla. Io mi sento oggi così, come loro". Prima di andare via, annuncia che farà un nuovo film con Anderson, “deciso a tavola”, spiega lui, “come tutti gli altri”. I due hanno tempo, perché sarà fatto a primavera. “Nel frattempo, precisa, continueremo a bere insieme per poterlo realizzare completamente. Solo così ci vengono le idee migliori”.