«Quando sei contento devi trovare spazi per piangere per piangere. Felicità e tristezza hanno la stessa importanza. Possiamo anche fingere che non sia così, ma mentiremmo a noi stessi. Bisogna tenerle in equilibrio. Io faccio così: quando l’entusiasmo è alle stelle ogni tanto piango e quando tutto va storto, che è poi è il momento in cui tendo a trattenermi, ogni tanto rido». Secondo Florence Pugh, attrice 24enne alla conquista del mondo, il segreto per una vita serena e consapevole è il criling. Il termine è di sua invenzione, fonde i verbi to cry (piangere) e to smile (ridere) in un preciso rituale che lei stessa, negli ultimi quattro anni di felicità personale e professionale, ha praticato parecchio: «Scelgo musica pura, roba buona che ha il potere di farti piangere e ridere, meravigliosamente, allo stesso tempo. E metto le cuffie. Ho una playlist apposita, pronta all’uso».

Lo spiega da Londra, con quel suo timbro basso che esplode ritmicamente in una risata contagiosa, in una pausa dal girotondo di aeroporti, set e valigie da preparare e disfare. E di incarnazioni e trasformazioni. L’ultima, in ordine di apparizione, quella di Una famiglia al tappeto, deliziosa e umana commedia scritta e diretta da Stephen Merchant, ispirata al documentario The Wrestlers: Fighting with My Family, storia della superstar del wrestling WWE Paige e della sua chiassosa e appassionata famiglia. La prossima è l'attesa trasformazione in Amy March per il film Piccole Donne di Greta Gerwig, al cinema dal 9 gennaio (le altre sorelle hanno i volti di Saoirse Ronan per Jo, Emma Watson per Meg ed Eliza Scanlen per Beth).

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Con la regista Greta Gerwig, in verde, e il cast di Piccole Donne, al cinema dal 9 gennaio. Lei è Amy March.

Per diventare la wrestler Paige si è sottoposta a un duro programma di training. «Ormai sono bravissima. So tenere posizioni - soprattutto se stringo con le gambe, dove ho più forza - dalle quali è difficilissimo sottrarsi. Il wrestling è una danza, devi lavorare insieme al tuo avversario, fidarti di lui, ma è anche una cosa molto seria. Quando blocchi qualcuno in un armlock, se spingi un po’ di più potresti slogargli la spalla», dice divertita. Dal suo primo ruolo, a 17 anni, nell’enigmatico The Falling di Carol Morley, molti hanno usato per lei aggettivi come impetuosa, intensa, terrena, per l’incessante desiderio di sperimentare, di cercare ruoli di donne forti, a loro modo sovversive e lievemente dark, che non hanno problemi ad assumere il potere e dirigere il proprio destino, dalla giovane sposa oppressa e combattiva di Lady Macbeth di William Oldroyd (per cui ha ottenuto un British Independent Film Award e una nomination ai Bafta) alla coraggiosa Charlie di The Little Drummer Girl, fino alla testarda e moderna Amy March di Piccole donne di Greta Gerwig e all’avventurosa Dani di Midsommar, il folk-horror di Ari Aster.

«Un po’ mi guida la ribelle che è in me, è magnifico essere tutte queste donne forti, non necessariamente buone, confuse, che non si piegano e che combattono contro spettri e convenzioni». La Pugh dice sempre ciò che pensa e libera con fierezza la propria unicità. Ha imparato dalla nonna. «Che la presenti a un amico, alla persona di cui sono innamorata o a qualcuno a una festa, la reazione è: ma è fantastica! Si chiama Patricia, ma non le piace e mi ha chiesto di chiamarla Pat. È tostissima. Quando ero bambina le piaceva raccontarmi di tutte le volte che da adolescente andava a nuotare, nuda, al porto di Grimsby. Ho sempre voluto essere lei». E dalla nonna arriva anche il consiglio più prezioso: «Qualche volta imbroglia. Infatti non cambia l’apparecchio acustico da due anni perché le piace il fatto che non può sentire mio nonno».

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Wilson Webb
Le sorelle March del nuovo film "Piccole Donne" di Greta Gerwig.

Come nonna Pat, Florence è sempre stata uno spirito libero. Anche durante i tre anni trascorsi in Andalusia per curare una brutta asma. «Correvo avanti e indietro sulla spiaggia, di solito senza vestiti e di solito battibeccando con il proprietario di un negozio di caramelle per un lecca lecca o un dolcetto gratis. Andavo in bicicletta, attaccavo briga con tutti, mi divertivo un mondo. Quel pezzo di infanzia angelica lo porto nel cuore». E libera si è sentita nella colorata esistenza vissuta a Oxford, la “città delle guglie sognanti”. «Sono cresciuta in una famiglia molto vivace e artistica, con i genitori che hanno sempre sostenuto me, mio fratello e le mie due sorelle, lasciandoci scegliere la strada che volevamo. Mia madre era una ballerina, mio padre un ristoratore, c’era abbondante spazio per la creatività. Naturalmente siamo diventati tutti attori», ammette ridendo.

Da bambina partecipava a ogni recita scolastica e ogni concorso. «Mi facevo da sola i costumi. E provavo ovunque. Mi infilavo un vestito da flamenco e facevo finta di essere la protagonista di una scena importante in cui dovevo morire. Avevo solo sei anni». Da adolescente inseguiva audizioni, chiedendo al padre di farla lavorare in uno dei suoi ristoranti quando aveva bisogno di rimpolpare le finanze. «Recitare era l’unica cosa in cui mi immaginavo impegnata». Eppure la stessa libertà che ha sempre vissuto, anche fisicamente, infischiandosene di non corrispondere agli stereotipi, talvolta si è scontrata con una realtà priva di equilibri.

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Stephane Cardinale - Corbis//Getty Images

Nel recensire Una famiglia al tappeto una giornalista dell’Evening Standard, volendo sottolineare positivamente la scelta di una protagonista femminile non rispondente agli standard fisici hollywoodiani, ha lodato le "cosciotte" di Florence, causando la sua reazione via Twitter. «So che aveva buone intenzioni, ma l’unico modo per voltare pagina e staccarci da questo modo di dissezionare i corpi femminili è smettere di parlarne a “pezzi”: allora forse potremmo cominciare a guardarli senza occhio ipercritico. Sottolineare quanto sia cool che Hollywood scritturi qualcuno con le cosciotte fa andare le persone a cercare le mie foto, analizzarle e decidere se è cool che abbia avuto la parte. È ora di darci una svegliata e capire che anche noi siamo parte del problema». La soluzione? «Normalizzare i corpi che vediamo sullo schermo. E smettere di renderli oggetto di conversazione».

A questa consapevolezza è arrivata per un’esperienza personale. «Avevo 19 anni e sono andata a Los Angeles per girare la puntata pilota di una serie tv (Studio City, con Heather Graham ed Eric McCormack, mai decollata). Mi chiesero di rimettermi in forma in fretta. Rimasi in silenzio. Tornai a casa triste: se quello era il mondo del cinema forse recitare non era il lavoro per me».

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Wilson Webb
Le sorelle March in "Piccole Donne" di Greta Gerwig.

Per fortuna la sua storia ha un finale diverso. «Tre settimane dopo ho ricevuto una telefonata per un’audizione per Lady Macbeth. Che non era, come pensavo, un adattamento di Shakespeare ma il crudo racconto della liberazione di una giovane donna del XIX secolo dall’oppressione del marito. Nel film ho molte scene di nudo che sono state la mia emancipazione, un modo per acquistare sicurezza, consapevolezza del mio corpo e della bellezza di viverlo. In due mesi ho capito che c’è sempre un’altra strada». Bisogna insegnarlo a tutti, fin da piccoli. «Il sistema scolastico non ci prepara alla vita. Ha lacune enormi, non ci fornisce le nozioni e i servizi di cui abbiamo bisogno. Quando andavo a scuola nessuno mi ha mai chiesto cosa mi piacesse fare, se non fosse stato per i miei probabilmente oggi mi dedicherei ad altro. Bisogna aiutare i bambini a sviluppare ed esprimere le loro attitudini. Senza deriderli. Tanti di loro hanno un grande potenziale artistico ma mollano perché non sono presi sul serio o non hanno mezzi propri per coltivarlo». Verrebbe da darle immediatamente un voto di fiducia per un qualsiasi incarico pubblico. Però allora meglio quell’altra se stessa: Flossie Rose, la cantautrice riflessiva, fragile, vulnerabile che pubblicava su YouTube moti del cuore con una voce sottile. Scegliendo un altro tipo di nudo, quello dell’anima. Senza paura. «L’unica cosa che mi spaventa sono i clown. Odio i clown. Sono orrendi». Sarà che con loro non c’è criling che tenga.