Come cantano i Ricchi e Poveri, “che confusione!”. Che confusione questo Sanremo, però è il Sanremo che ci meritiamo, non tanto perché il festival, come si usa dire, sia lo specchio del Paese: è l’atto di guardare Sanremo da 70 anni che fa di noi il Paese che siamo. Un Paese immobile, divanato per sempre, morto che cammina.

Abbiamo visto pezze di politicamente corretto applicate alle solite cose, abbiamo visto maschi che si divertono molto (il “bromance” di Amadeus e Fiorello meriterà una fiction di RaiUno tra un paio di decenni), e abbiamo visto donne che ancora si dividono in categorie assurde: le “impegnate” e le “decorative”. E poi, su tutto, la coltre vintage di nostalgia, soprattutto, ovvio, nella serata delle cover.

C’è la mitologia delle canzoni arrivate ultime ma che poi hanno venduto milioni di dischi che, come lo dice Amadeus sembra una bella storia di riscatto, in realtà è un in memoriam dell’industria discografica defunta.

Poi ci sono quelli che stravolgono, modernizzano, inventano pure troppo

In segno di rispetto cimiteriale ci sono quelli che non toccano palla (un po’ come Cristiano Ronaldo seduto in prima fila, un cartonato muto) e rifanno i pezzi identici all’originale. Re del sepolcro è Piero Pelù che duetta con l’originale defunto Little Tony, un po’ come Natalie Cole fece con papà Nat King (ma era il 1991, accidenti, avevamo appena scoperto i trucchetti digitali). Poi ci sono quelli che stravolgono, modernizzano, inventano pure troppo, come Diodato e Nina Zilli che hanno trattato 24mila baci in stile performance di arte concettuale. A questo punto l’anno prossimo all’Ariston voglio Marina Abramović che guarda negli occhi Toto Cutugno.

Ieri sera votavano i musicisti dell’orchestra e, meno male, hanno giustamente fatto vincere la versione “fado” di Piazza Grande interpretata da Tosca e una cantante spagnola (il fado è portoghese, ma insomma, stiamo nel grande folklore del Mediterraneo).

Sono tempi in cui le photo opportunity vanno colte al volo, altrimenti il giorno dopo chi ti si fila

Achille Lauro vestito da Ziggy Stardust/David Bowie per me è un po’ un sacrilegio estetico ma capisco che questi sono tempi in cui le photo opportunity vanno colte al volo, altrimenti non sei nessuno e il giorno dopo chi ti si fila. Il rapper “cattivista” Junior Cally ha tirato fuori Vita spericolata di Vasco solo per farci sapere che non solo non è filonazista (come il look della sera prima aveva fatto pensare) ma anzi, teneramente, comunicarci “in mezzo ai pesci grossi preferisco le sardine” e anche “meglio rischiare che diventare come quel tale che scrive sul giornale”. Junior, ti dico una cosa che forse non sai: quando Edoardo Bennato cantava “non potrò mai far carriera nel giornale della sera” (Sono solo canzonette, 1980) i giornalisti contavano ancora qualcosa. Oggi, caro ragazzo, stai sparando su una Croce Rossa a gomme sgonfie.

Tra giovani che non sanno quello che vogliono (Riki, tesorino, 28 anni ma ne dimostra la metà, il Robert Pattinson di Segrate che canta L’edera) e pezzi di pregevole antiquariato (Ornella Vanoni), Raphael Gualazzi guardava Simona Molinari come Lady Gaga guardava Bradley Cooper l’anno scorso agli Oscar: non è finita bene per Gaga, auguro più fortuna a Gualazzi.

Infine, un’amara verità: dopo 70 anni, Sanremo resta il luogo in cui c’è ancora gente che stona da bestia. Tipo quella Elettra LamborCHI? La canzone si intitolava Non succederà più. Ecco, speriamo.