Il volto di Andrea Carpenzano è già un film a sé. O forse una quadrilogia scomposta, affilata, sarcasticamente riassuntiva dell'essere capitolini. Estetica, anima, linguistica. Prima i riccioli definiti, rasati per esigenze di copione o lunghi nel riservato quotidiano che Instagram non riesce a raccontare, e le labbra sottili perennemente tagliate in una smorfia scettico-cinica. Seguono gli occhi attenti, scuri e sfacciati, macchiati di una malinconia atavica che li rende fatali ad ogni focus di camera. E poi c'è il naso di Andrea Carpenzano, una linea netta che si ammorbidisce in una punta dolce, un fendente che squarcia le inquadrature e segna inevitabilmente le espressioni di uno dei visi più riconoscibili (e schivi dal gossip) del cinema nostrano. Massima concessione, Instagram aggiornato quando gli va. Vita privata volutamente sconosciuta. Agli atti: Andrea Carpenzano classe 1995, nato a Lugo in Romagna ma cresciuto a Roma, segno zodiacale giallorosso, ex bad boy paraculo come non ha mancato di definirsi, è un alieno di mistero vintage e genuinità. Non sfigurerebbe in un lookbook neogotico o 70's, ma al tempo stesso sembra vivere già in un futuro esclusivo. Parla poco, (auto)ironizza molto: nella lingua fatalista e dissacrante del romano doc, ripete incessantemente di non sapere ancora che lavoro fa. Ma cinque lungometraggi, un corto, una serie tv amata (Immaturi - La serie), due premi, una menzione speciale (ai Nastri d'Argento), potrebbero sbugiardare comodamente questa sua scaramanzia.

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La carriera è appena avviata, ma nei film Andrea Carpenzano ha già mostrato la sua personale visione del ruolo di attore. Mestiere che, è vero, gli è capitato addosso quasi per caso, nella più classica delle leggende: accompagnare un'amica alle audizioni per un film. Altrettanto vero, non sapeva cosa avrebbe fatto nella vita: da bambino avrebbe voluto giocare a calcio, ma gli fu impedito dalla madre che lo iscrisse a scherma per non infilarlo in un mondo troppo piatto ("diceva che sennò diventavo cojone" ha ripetuto Carpenzano in diverse interviste: schiettezza sempre, panegirici mai). Ed era pure diventato bravo, tra campionati cittadini e regionali. L'amore per il calcio lo ha sublimato nel tifo, con tanto di abbonamento in Curva Sud per un paio di anni, ha smesso di andarci "per pigrizia". Il romanismo però non si spegne per i contraccolpi di accidia. D'altronde Andrea Carpenzano è cresciuto tra i quartieri di San Giovanni e Ostiense, il raccordo fatale non è quello anulare ma la via del mare che fa da bisettrice tra il quadrante di Porta Metronia (Francesco Totti) e quello salmastro di Ostia (Daniele De Rossi). Un predestinato. Se non al gioco, almeno al tifo: "La mia fede è inversamente proporzionale alla mia tecnica, sono romanista da sempre, il tifo è come una malattia, quando ti assale c’è poco da fare" confessò all'AGI.

Ma il calcio sarebbe arrivato comunque nella sua carriera, meno di un anno dopo il debutto nel 2017 ne Il permesso - 48 ore fuori di Claudio Amendola, dove ha una piccola parte come amico del protagonista Giacomo Ferrara (lo Spadino di Suburra). Già qui si era intuita la freschezza della sua recitazione raw, slegata da metodi e tecniche, una spontaneità che quasi infastidisce per quanto gli venga tutto bene. Talmente convincente che Francesco Bruni lo esalta nella parte del giovane Alessandro di Tutto quello che vuoi, siglando uno strepitoso duetto di contrasti tra Andrea Carpenzano e Giuliano Montaldo. Il suo anno rivelazione è il 2018, due versanti distinti e collegati: il film La terra dell'abbastanza dei fratelli D'Innocenzo, dove interpreta il protagonista Manolo accanto a Matteo Olivetti nei panni di Mirko, e il progetto sulle famiglie contemporanee di Roma 25 Ways To Gucci. Voluto da Alessandro Michele, Andrea Carpenzano per Gucci posa insieme alla sorella Livia, illustratrice e sua prima fan.

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Ma il calcio, appunto, torna. Sotto forma di finzione cinematografica: il ruolo del turbolento calciatore romanista Christian Ferro, metà Antonio Cassano metà Mario Balotelli, epitome del giovanissimo talento smisurato che non ha disciplina e misura della realtà. I campetti e gli spogliatoi (veri) di Trigoria inglobano la naturalezza di Andrea Carpenzano Il campione, in pochi attimi emergono ira, menefreghismo e sensibilità, dolcezza e fragilità. Niente impostazioni predefinite, tutto istinto. Convogliato intelligentemente nell'uso di corpo e silenzi che riempiono cuori e schermo. Dopo è arrivato Guida romantica a posti perduti nel ruolo del fidanzato di Jasmine Trinca, premiata a Venezia 77. Fermati i lavori dalla pandemia, un irrequieto di natura come Carpenzano si può incrociare girando Roma a piedi: "Mi piace camminare perché osservo le persone, i matti che urlano, i suoni della città" aveva raccontato. La fama la dribbla a modo suo: "Mi fermano, mi fanno complimenti, è vero. Ma ho scoperto che in molti mi scambiano per Damiano, il frontman dei Måneskin, e io glielo lascio pure credere. Così tornano a casa pensando 'In tv è tanto bello ma dal vivo è molto più cesso' e magari smettono pure di seguirlo sui social". Mancava solo lei, la presa in giro (cojonella in romanesco). Ora sì che Andrea Carpenzano è il vero film su Roma.

andrea carpenzano attends the photocall ahead of the nastri dargento 2019 nominees presentation at maxxi museum on may 30, 2019 in rome, italy photo by luca carlinonurphoto via getty imagespinterest
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