Non c’è niente di clamoroso né particolarmente innovativo negli otto titoli candidati all’Oscar 2021, 93esima edizione. C’è scarsità di “filmoni” e troppe uscite d’autore sono state rimandate a causa della pandemia, basti pensare al West Side Story di Steven Spielberg o all’ultimo film di Wes Anderson che avrebbe dovuto aprire il festival di Cannes, cancellato, dello scorso anno. Chi non ha bloccato la distribuzione e ha scelto di arrivare comunque sul mercato, ha dovuto usare le piattaforme streaming perché i cinema erano chiusi. Gli otto titoli sono tutti buoni, per carità, ma non c’è un titolo davvero polarizzante. E tutto è stato condizionato dalla situazione anomala in cui si è trovato il mondo negli ultimi mesi.

Ci si domanda, per esempio, se un film complesso e non completamente riuscito come Mank di David Fincher avrebbe avuto lo stesso successo in termini di nomination (ne ha dieci) se fosse uscito al cinema e si fosse confrontato anche con il pubblico impaziente e superficiale delle multisale. Ci si domanda se, comunque vadano le cose, l’era Covid cambierà l’industria del cinema e la sua grande messa cantata, cioè la cerimonia degli Oscar 2021, per sempre.

Intanto, in attesa della notte di domenica, noi possiamo praticare il gioco antico come gli Academy Award, cioè: le previsioni su chi vincerà come miglior film.

Non credo abbiano chance per il premio più grande né Sound of MetalMank, usciti troppo presto in questa lunghissima stagione pre-Oscar (li potete vedere rispettivamente su AmazonPrimeVideo e su Netflix) e nemmeno l’ultimo titolo entrato in competizione, Judas and the Black Messiah, visibile su diverse piattaforme on demand.

Al momento, il superfavorito è Nomadland, già Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia e vincitore di un mucchio di altri premi pre-Oscar. Frances McDormand interpreta una vedova rimasta senza lavoro e senza casa che, da sola, a bordo di un camper, si mette a vivere in viaggio, unendosi ai molti “nomadi” americani. Crisi economiche, disastri familiari, forse solo insofferenza per una vita stanziale li hanno portati lì, “on the road”. Sono storie vere, l’unica parte “recitata” è quella di McDormand, è un po’ un film neorealista e un po’ un documentario parzialmente ingannevole. Ma al momento, grazie anche alla regia di Chloé Zhao (candidata anche lei) e alla fotografia commovente di certi paesaggi, è il film dell’anno, quello che più rispecchia il sentimento del tempo. Lo vedremo anche in Italia, sulle piattaforme a partire dal 30 aprile.

Sarebbe sorprendente se non vincesse.

Alternative? Forse, potrebbe vincere come miglior film Il processo ai Chicago 7 (Netflix) secondo film da regista del re degli sceneggiatori Aaron Sorkin e, francamente, non avrei niente in contrario: c’è il “courtroom drama”, c’è la ricostruzione di un’epoca, ci sono i diritti civili e attori uno più bravo dell’altro. In altri tempi, tempi in cui gli Oscar erano più convenzionali, Il processo ai Chicago 7 non avrebbe avuto come rivale il minimalista Nomadland ma in questi anni abbiamo imparato che gli Oscar li possono vincere anche piccoli film come Moonlight.

Ma, al di fuori di Nomadland e del film di Sorkin, l’outsider di quest’anno potrebbe essere Minari (da non perdere, quando arriverà in Italia, ai primi di maggio sulle piattaforme) storia di immigrati coreani in Arkansas, vicenda di affetti familiari e radici, un piccolo gioiello.

Gli altri candidati, come Promising Young Woman o The Father probabilmente porteranno a casa i premi per i migliori attori, Carey Mulligan e Anthony Hopkins. Entrambi meritati, per due performance da fuoriclasse: Mulligan nei panni di una ragazza che vuole vendicare l’amica stuprata e Hopkins in quelli di un uomo affetto da demenza senile.