Prendetevi un minuto per leggere attentamente, perché Facebook potrebbe sparire dai nostri smartphone e, no, non è una ipotesi assurda. Meglio farsi trovare già vaccinati. Avete presente cos’è un romanzo distopico, quelle storie come True Blood, dove si immagina una società in cui i vampiri sono cittadini normali e votano? Oppure dove le persone non muoiono mai perché grazie alla tecnologia la loro “anima” si sposta da un corpo nuovo all’altro, come in Altered Carbon? Diciamo che 25 anni fa in un romanzo distopico avremmo potuto immaginare la società globale collegata tramite un sito chiamato Social Network con cui puoi contattare sconosciuti dall’altra parte del mondo e rimanere in contatto quotidiano con amici e parenti che non hai mai tempo di chiamare. Oggi il romanzo distopico che possiamo immaginare è un futuro opposto, in cui tutto questo non ci sarà più. O almeno, non ci sarà più Facebook. Follia? Non esattamente. L’ipotesi comincia a serpeggiare da quando è scoppiato il mega scandalo Cambridge Analytica, sulla gestione non autorizzata dei dati degli utenti con conseguente crollo in borsa, lancio dell’hashtag #deletefacebook a cui stanno già aderendo le celebrità (la prima: Cher) e intensa ricerca su Google dell'informazione chiudere profilo facebook. E non è ancora nemmeno iniziata l’azione legale.

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Si legge in giro “ma dai, ti pare che Facebook chiude!”. Eppure, basta ricordare la breve storia (triste) di MySpace, di cui Facebook in fondo è stato l'evoluzione alleggerita e che non ha mai chiuso, ok, ma che ora è più deserto del deserto dei Gobi, senza nemmeno bisogno di alcun incidente di percorso vero. È finita così, come un locale passato di moda che viene improvvisamente disertato da chi ci portava gli amici come un’esclusiva. Niente è per sempre, se è scomparsa la civiltà egizia, figuriamoci un social. Pensate a quante pagine satiriche hanno fatto il boom per poi cadere nel dimenticatoio o chiudere a colpi di segnalazioni ingiuste (che fine ha fatto “Sinceri estimatori della melanzana alla parmigiana”?). “Ho cercato sempre di svincolare la mia attività professionale e personale dai social network e da Facebook”, racconta a MarieClaire.it Salvatore Aranzulla, il geek che ha fondato (e reso indispensabile all’italiano medio) il sito aranzulla.it con tutte le risposte a ogni magagna digitale e tecnica. “Questa scelta si è dimostrata vincente a seguito dei cambi di algoritmo di Facebook che hanno penalizzato la visualizzazione dei contenuti pubblicati dalle pagine Facebook, privilegiando i contenuti pubblicati da amici e parenti. Per chi vuole fare business utilizzando i social network, ormai è importante prevedere un budget pubblicitario, oltre che una buona idea virale”. E ha ragione: in questi anni, una decina in Italia, crescere e nutrire una fan page di brand e celebrità è stato per molti un’attività importante e svolta come se non ci fosse un tramonto. Quanti corsi (costosi) si sono visti in giro per imparare a sfruttare al meglio le potenzialità di Facebook, per poi vedere tutte le strategie apprese finire nel cestino dopo un cambio di algoritmo?

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Con Instagram che è fatto solo di immagini e video e poche parole, con Whatsapp riservato alle sole persone che hanno il tuo numero di cellulare, con Twitter dalla forte identità politica, dove per un motivo inspiegabile gli utenti sono persino più aggressivi che altrove, il mestiere di social media manager avrà ancora un senso, se Facebook morisse? (Oddio, non ci vogliamo nemmeno pensare). “Facebook e gli altri social hanno acceso un riflettore sulle connessioni umane, hanno illuminato aspetti del nostro carattere inimmaginabili quando i rapporti di gruppo si limitavano al ritrovarsi a matrimoni e battesimi e si parlava di calcio e del tempo”, racconta Alessandro Galli webmaster professionista, “Difficile immaginare la vita senza Facebook. A dirla tutta, io non mi tiro indietro quando c'è da esprimere pareri o difendere cause ma troppo spesso, negli ultimi anni, esporsi su un tema ha voluto dire avere molta visibilità e conseguentemente critiche e attacchi che poi diventano un volano d'ansia per chi è affetto dal demone della replica. Per cui mi è capitato di prendermi delle pause di detox digitale, a volte forzate perché mi si era rotto il telefono. Per cui una mezza idea di quello che mi devo aspettare ce l’ho. E no, non è la fine del mondo”. Forse sarebbe la fine del mondo per i fan di Gianni Morandi e di Enrico Mentana, detentori delle due fan page che reggono meglio il tempo, forse perché non ci si legge mai niente di insensato. Di sicuro non per gli adolescenti, che neanche lo prendono più in considerazione da almeno due anni.

C’è poi chi da Facebook ha avuto molte rogne anche senza bisogno di essere posseduti dal demone della replica. L’ex presidente della Camera Laura Boldrini è stata una delle vittime più colpite da insulti e condivisioni di fake news che la riguardavano, salvo poi trovarsi davanti, quando provava a convocare ufficialmente gli haters, delle persone assolutamente normali che nella vita reale non avrebbero mai ucciso una mosca. Tornare al no-Facebook sarà anche la fine di quella che lo scrittore Piersandro Pallavicinichiama “sindrome da parabrezza”, quella ferocia che ti sale dentro solo quando tra te e l’altro c’è un vetro, che sia quello dell’auto (da cui si urla di tutto) che lo schermo di un computer. Anche Francesca Barra, giornalista e moglie di Claudio Santamaria da pochi mesi, è stata uno dei bersagli preferiti dagli “odiatori” di Facebook. A bersagliarla era un gruppo variegato di sconosciuti composto da chi non approvava la sua relazione con l’attore, iniziata quando l’ultima figlia avuta dall’ex marito era ancora piccolissima, e fan di Santamaria un po’ invidiose (la percentuale minore). Eppure, Francesca Barra non ce l’ha con Facebook: “Mi dispiacerebbe molto perdere il contatto diretto con i miei lettori”, ha raccontato a MarieClaire.it. “Consulto poco altre bacheche, ma ci sono profili che reputo interessanti e stimolanti. Più di tante opinioni televisive concentrate in pochi minuti o di editorialisti che riciclano pensieri. Ma troverei altri modi per mantenere il legame con loro. Diciamo che non farei un dramma”.

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Portfolio di Jaap Arriens/NurPhoto da GettyImages.com

In realtà i personaggi famosi avevano già modo di mantenere il contatto con gli ammiratori, era l'essenza stessa del loro essere famosi. Certo, unilaterale, ma dalla possibilità di leggere cosa la gente comune dice di loro, forse hanno avuto solo da rimetterci? Gli utenti abituali che non sono né addetti ai lavori, né celebrità, invece, come lo prenderebbero? “Se domani, svegliandomi, non trovassi più Facebook la primissima reazione sarebbe di panico”, dice Carla Mannocchi Traini, addetta alla gestione clienti spagnoli di un’azienda metalmeccanica. “Mi sembrerebbe di dover iniziare da capo in un mondo diverso da quello a cui sono abituata senza una ‘sicurezza’, perché anche se ci è difficile ammetterlo, io credo che ciò che più ci attira su Facebook è quel senso di sicurezza nel sapere che ci basta scrivere una qualsiasi sciocchezza per avere subito un riscontro. Virtuale, certo ma che si è reso quasi 'necessario' per molti di noi”.

La morale della favola? È riassunta in quello che hanno detto a MarieClaire.it la scrittrice fantasy Licia Troisi e Simone Arcagni, Professore Associato di Cinema, Fotografia e Televisione all’Università degli Studi di Palermo – Younipa, autore dell’avveniristico saggio Visioni Digitali (Einaudi). Licia Troisi, con la saggezza e la lungimiranza tipica di chi immagina storie, dice: "Credo che se Facebook chiudesse, semplicemente la comunità si trasferirebbe su un altro social, che andrebbe a colmare quel vuoto. Facebook è ormai uno strumento di lavoro, ed è dunque imprescindibile per moltissime persone. Non credo sarebbe possibile farne a meno". Della stessa idea Arcagni, che a tutta la faccenda dedica una alzata di spalle virtuale: “Non riesco a essere visionario su questa evenienza perché sono realista: se Facebook dovesse chiudere, arriverebbe subito un altro social network più bello e più di moda a sostituirlo. Ormai questo tipo di tecnologia è radicata nella nostra carne, è come una bioprotesi, è come se rimuovendo un rene se ne potesse impiantare uno artificiale. Facebook è la rappresentazione ideale di questa convivenza. Tranquilli, non ve ne libererete".