In occasione della scorsa edizione del Festival della Comunicazione di Camogli, abbiamo avuto la possibilità di fare due chiacchiere con Mirella Serri, docente di Letteratura e giornalismo e scrittrice affermata. Durante la manifestazione, interviene in un incontro dal titolo Le connessioni dimenticate della storia: italiani fascisti e italiani antifascisti, Islam democratico e Islam fondamentalista noi abbiamo parlato dei temi protagonisti dei suoi libri: donne, amore e immigrazione.

I tuoi romanzi sono ambientati nel passato, i temi sono più attuali che mai. Il tuo ultimo libro ad esempio parla di immigrazione.
Quando ho cominciato a scrivere Bambini in fuga. I giovanissimi ebrei braccati da nazisti e fondamentalisti islamici e gli eroi italiani che li salvarono (edito Longanesi ndr) era appena iniziata la guerra in Siria e i profughi erano milioni, tra cui moltissimi bambini. La storia che intendevo raccontare riguardava 73 ragazzi ebrei dai sei ai diciotto anni che tentano di abbandonare le terre del Reich dove genitori e parenti, che non rivedranno mai più, sono chiusi nei lager. Mi sembrava che questa storia avesse molto a che fare con i nostri giorni ed emblematica anche del nostro presente. Gli italiani che nel 1942 a Nonantola in provincia di Modena accolgono i fanciulli ebrei, incarnano uno straordinario esempio di disponibilità e di umanità a cui far riferimento anche oggi in un momento in cui l'Italia affronta una problematica nuova, l’accoglienza dei profughi. I ragazzi che arrivano guidati dal madric Indig, il loro giovane maestro, trovano un intero paese pronto a mettere a disposizione, in tempo di guerra quando tutto scarseggia, viveri, abiti e suppellettili. Grazie agli italiani i ragazzi si salveranno quasi tutti eccetto Salomon Papo. Gli eroi come il prete Don Beccari e il medico Giuseppe Moreali diventeranno i primi giusti di Israele di nazionalità italiana.

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Immigrazione ed estremismi. Racconti infatti di una figura importante per comprendere i fenomeni contemporanei. Ce ne parli?
La figura di Amin Al Husayni, padre del fondamentalismo islamico, era nota a pochissimi studiosi precedentemente l’uscita del mio libro, eppure ha un importante rilievo culturale e politico nel mondo islamico, per questo ho ritenuto di doverla raccontare. Fu in Italia e a Berlino mentre fuggiva dalla Palestina e sostenne attivamente le politiche di Hitler e Mussolini, al quale chiese di ostacolare l’emigrazione ebraica dall’Europa attraverso l’uso di camere a gas. Uomo colto e raffinato, fu il più grandi animatori dell’estremismo musulmano. Coltivava il mito del Capo, della lotta alla democrazia e alla modernità: tutti i dogmi perseguiti dall’attuale terrorismo di matrice islamica che ancora oggi vuole combattere l'Occidente, la musica, le arti e il mondo colto e moderno.

Nel libro però, la storia è a lieto fine: un lieto fine a cui (purtroppo) non siamo abituati. Che raccontare la storia possa cambiare le cose?
Certo, l'insegnamento storico ci può aiutare e molto. I protagonisti del racconto si sono salvati grazie ai numerosi italiani che li hanno aiutati. Ma non solo. Erano orfani in fuga tallonati dai nazisti eppure in ogni luogo dove sono approdati il loro madric o maestro Indig li ha aiutati a non abbandonarsi alla disperazione e a lavorare per il loro futuro. Li ha organizzati, divisi in classi perché' imparassero le lingue e un mestiere, dall'agricoltura alla falegnameria, dal lavoro di sartoria a quello di muratore. La loro speranza di sopravvivere si fondava sul lavoro e studio. E ce l'hanno fatta: questo è un modello per il nostro presente.

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Ma non solo immigrazione ed estremismi, nei tuoi libri c’è anche l’amore. Un amore scomodo però e pieno di ideali quello protagonista di Un amore partigiano (edito Longanesi ndr).
Il tema del sentimento che lega Gianna e Neri (i protagonisti) maturato in guerra durante la lotta antifascista è qualcosa di universale che ci commuove ancora oggi. Gianna, che insieme a Neri viene torturata e violentata dai fascisti, si fa uccidere perché non si rassegna alla scomparsa dell’amante. Scrivere la loro storia è un atto di giustizia postuma. Gianna e Neri sono stati i valorosi partigiani che hanno catturato Mussolini e Claretta Petacci e i loro nomi sono stati dimenticati, rimossi e continuano ad esserlo: la loro memoria è scomoda e richiederebbe di rivelare il nome degli assassini, partigiani fedifraghi. Pensare che a Dongo (dove fu arrestato il duce) è appena stato aperto un museo dedicato all’antifascismo e i loro nomi non compaiono. Solo il presidente Ciampi ha fino ad ora riabilitato la loro memorie, eppure sono uno dei più luminosi esempi di antifascismo.

E poi ci sono le donne, a cui restituisci il giusto posto nella storia, una soprattutto. È la figura di Claretta Petacci, l’amante del duce, che è passata alla storia come una donna debole, sottomessa e senza opinioni politiche: una donna semplicemente innamorata di Mussolini. Tutto questo in base a un pregiudizio positivo, diciamo così, che la vedeva responsabile solo del suo amore. Al contrario è stata un'appassionata sostenitrice di Hitler e una razzista convinta. E negli ultimi tempi della vita di Mussolini spesso è stata lei a indirizzare le sue scelte. Questa ovviamente non è una rivalutazione della figura della Petacci. Al contrario è un suo ricollocamento storico in una posizione attiva e dunque in realtà più negativa di quella che le è stata attribuita in passato.