La Jugoslavia e il Kosovo, la presidenza di Bush e quella di Obama, la Libia e l’Afghanistan, François Hollande e Isabella Rossellini. Ma anche la “sua” America, quella delle proteste Black Lives Matter, delle metropolitane newyorchesi, dei repubblicani, dei nazionalisti, del white trash e della White House. Scorri il cv, le foto, il profilo Instagram di Christopher Morris e pensi che non basterebbe una vita per viverlo e nemmeno per raccontarlo. Eppure, è stato tutto scritto, vissuto ma soprattutto fotografato dalla stessa persona. Il fotogiornalista californiano classe 1958 in grado di scattare insurrezioni civili e servizi moda con la stessa freddezza (apparente), con la stessa verve (indomata), con una molteplicità di obiettivi (non solo “tecnici”) da instillarti quel timore reverenziale che si ha di fronte a coloro che sono storia in movimento. Incontro Christopher Morris in occasione della presentazione di “Dal tramonto all’alba”, il progetto realizzato da Samsung Italia per Milano Photo Week, in collaborazione con gli studenti delle scuole di fotografia milanesi. Insieme a loro ha guidato un vero e proprio tour de force di fotografia notturna, scattando unicamente con il nuovo Samsung Galaxy S9+. Il risultato? "Coglie l'essenza di una società, in fondo è questo il mio lavoro, no?".

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Ma secondo te oggi scattiamo troppe foto?
Beh, ormai siamo tutti fotografi. Dai bambini agli anziani, hanno tutti uno smartphone con la fotocamera. Non che sia per forza qualcosa di negativo… ognuno ha la possibilità di mostrare agli altri ciò che vede e come lo vede. Che sia anche un selfie, ma è un modo per fermare il tempo e ricordare.

E voi fotografi per davvero, come la prendete questa cosa?
Noi proviamo a spingerci verso altri e sempre nuovi livelli, e in questo la tecnologia ci aiuta moltissimo. Cioè, la fotografia esiste dall’Ottocento e tutto è già stato detto, fatto, scattato. Ma utilizzare degli strumenti che ti permettono di fotografare al buio, da lontano o di vedere meglio dei tuoi stessi occhi… è questo quello che rende entusiasti e instancabili noi fotografi, ancora oggi.

Guerra, politica, moda: come cambia il tuo sguardo dietro l’obiettivo e cosa, invece, rimane identico?
Non nego che ci siano delle controversie a cui prestare attenzione quando si scatta per fini politici o commerciali, ma per me la fotografia è semplicemente fotografia. È provare a rendere tutto cinematografico, strutturato, quasi uno studio antropologico.

Hai sempre saputo che volevi farlo?
Ho sempre saputo di voler diventare fotografo di professione. La moda e la politica sono arrivate in modo spontaneo.

In che momento, esattamente, la paura si trasforma in necessità di raccontare storie attraverso le immagini?
La paura fa parte del gioco: la trasformi in emozione per agire e reagire. In caso contrario, non riesci nemmeno a sistemare l’obiettivo, a scattare, a inquadrare ciò che hai sotto il tuo stesso naso. La paura è una di quelle emozioni che ti consumano, un po’ come la gelosia. Ma quando riesci a padroneggiarla e incanalarla verso la giusta direzione, allora puoi persino saltare da un elicottero e scattare i compagni che sono saltati insieme a te.

Ricordi la tua prima “missione”?
Come scordarla. Filippine, 1986, Rivoluzione del Rosario. I manifestanti avevano preso possesso della torre di trasmissione del Paese, e l’esercito stava arrivando a fermarli. Io ero lì in quel palazzo insieme a 12 persone, e in quel caso vincere la paura non è stato proprio facilissimo.

Il luogo che non hai ancora fotografato.
Non ci ho mai pensato. Viaggio talmente tanto che non ci ho mai pensato: sarà mica un controsenso? (ride) Ci sono sicuramente dei posti in cui tornerei subito, come la Russia, la Corea del Nord - affascinantissima -, il Sud della Francia e, oh sì, l’esatto punto in cui la Francia incontra l’Italia. Per 27 anni ho lavorato in così tanti luoghi, così difficili da raggiungere e scattare, che adesso ho solo voglia di posti tranquilli.

E se… adesso uscissimo da qui e andassimo in giro per Milano a far foto? Cosa mi insegneresti?
Prima di tutto ti chiederei: cosa ti piace? Cosa guardi quando cammini per strada? Cosa cattura la tua attenzione? E perché cattura la tua attenzione? Ti aiuterei a “riassumere” in una foto quello che vuoi trasmettere, per fare in modo che la gente smetta di fare quello che sta facendo e resti ipnotizzata da quella immagine.

Un arduo obiettivo, visto il momento storico devoto allo scrolling…
Esatto, è proprio questo il problema. Non facciamo altro che scrollare su Instagram o stancarci di tutto e subito. E se una foto avesse il potere di fermarci, anche solo per un minuto?

È questa la definizione di una “foto di successo”?
È quella foto che ti fa fermare, riflettere, emozionare. Anche se è sfocata, troppo scura o bruciata. E non è solo una questione di bellezza fine a se stessa, per quello esistono le cartoline. Io voglio che una foto sfidi lo sguardo di chi la sta guardando, che arrivi dritta alle sue emozioni più intime.

E tu, quando smetti di scrollare su Instagram?
Per un servizio di moda stupendo, per un video di un animaletto buffo… non prendo Instagram così seriamente. È più un’attività mattutina per svegliare la mente.

Perché ami far foto di notte?
Perché c’è qualcosa di magico, nella luce tra le 2 e le 4, che è impossibile da ricreare in studio. Poi la città è vuota, si sentono solo gli uccellini e i passi scanditi di qualche persona.

Hai detto che preferisci scattare un’attrice e non una modella. Come mai?
Perché la modella può darmi bellezza e grandi pose, ma io cerco qualcuno che mi dia odio, paura, amore, tristezza.

Dove voli domani?
Ritorno a Los Angeles, sto lavorando ad un progetto ancora top secret ma rivoluzionario.

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© Christopher Morris / VII
Dal tramonto all’alba. Un progetto Milano PhotoWeek realizzato con il supporto di Samsung Electronics Italia, curato da ArtsFor_Didascalia: Milano PhotoWeek 2018