Oltreoceano tutti parlano di lei: si chiama Rashida Tlaib e diventerà la prima musulmana degli Stati Uniti eletta al Congresso dopo aver vinto le elezioni primarie democratiche come rappresentante del 13esimo distretto del Michigan. Un’avanzata quella di Tlaib, insieme a tutte le donne in politica in America, che sembra quasi una sfida del popolo al sentimento di xenofobia e maschilismo di cui è circondato il presidente Donald Trump, che i sondaggi indicano ormai come il più impopolare presidente degli ultimi 70 anni. Non è facile datare la nascita dell’espressione con gli uomini, ma di certo è stato coniato dalle femministe di prima o seconda generazione e indica l’impossibilità per le donne di accedere ai vertici di qualsiasi organizzazione, privata o istituzionale, a parità di qualifiche e capacità. Motivo: il pregiudizio. Il concetto, negli anni, è stato esteso a parecchie altre categorie tra cui gli stranieri, peggio se musulmani. Rashida Talib è entrambe le cose, donna e musulmana. Eppure è una delle tante, preparatissime signore che, dopo la sconfitta di Hillary Clinton, stanno scalando i ruoli apicali della politica americana in numeri inediti. Tra cui la sindaca di San Francisco London Breed, l’ex Miranda di Sex and The City Cynthia Nixon, e Alexandria Ocasio-Cortez, la vincitrice delle primarie democratiche nel 14esimo distretto del Congresso di New York. Ma la novità è che anche i musulmani stanno iniziando a far sentire la loro voce e a candidarsi nel melting pot culturale degli Stati Uniti. E anche le donne musulmane.

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Ma chi è Rashida Tlaib, la prima musulmana che con il 33,6 percento dei voti ha battuto un’altra candidata molto più famosa? Rashida ha 42 anni (è nata il 24 luglio 1976) ed è figlia di immigrati palestinesi. Appena giunta negli Usa la sua famiglia è entrata subito a far parte della classe operaia di Detroit, una città dove la popolazione è composta all’82 percento di afroamericani e l’economia si regge soprattutto sull’industria automobilistica. Il padre infatti, nato a Beit Hanina, un sobborgo di Gerusalemme, ha lavorato alla catena di montaggio in uno degli stabilimenti della Ford Motor Company. La madre è nata a Beit Ur El Foka, vicino alla città di Ramallah, in Cisgiordania, e ha invece cresciuto i quattordici figli di cui Rashida Tlaib è la maggiore. No, non è un refuso: Rashida ha trascorso l’infanzia aiutando la mamma a tirare su tredici fratellini come se fosse la loro seconda madre. Le modeste possibilità della famiglia non le hanno impedito di seguire tutto il percorso scolastico (ottenendo borse di studio?) fino alla laurea alla Southwestern High School di Detroit, nel 1994. Ha poi conseguito un baccalaureato in Scienze Politiche nel 1998 e poi una seconda laurea, in giurisprudenza, alla Thomas M. Cooley Law School nel 2004. Tasso di ispirazione: altissimo.

Ma Rashida Tlaib non ha perso tempo: da quel momento ha capito che la politica è il suo mestiere. Ha iniziato uno stage col rappresentante di Stato Steve Tobocman e quando questo, nel 2007 è diventato Majority Floor Leader col Partito Democratico, l’ha reclutata nel suo staff. È stato lo stesso Tobocman ha incoraggiarla a candidarsi al suo posto quando lui ha raggiunto il limite massimo dell’incarico e Rashida ha vinto con uno stupefacente 90 percento di preferenze. Quando il membro decano della Camera dei Rappresentati del Michigan John Conyers ha dovuto dare le dimissioni, travolto da uno scandalo di molestie sessuali, Tlaib ha annunciato l’intenzione di candidarsi al suo posto. A luglio del 2018 aveva raccolto circa 900 mila dollari di fondi, una cifra molto superiore a quella dei suoi cinque avversari nelle primarie democratiche del 7 agosto e stupefacente, se si pensa che i suoi sostenitori sono gli ultimi della società. Visti i consensi quasi da unanimità che ottiene a ogni votazione popolare - il profilo Twitter Rashida Talib di è pieno di selfie con gli elettori che la fermano in strada - tutto fa pensare che niente si opporrà, a novembre alla sua elezione come prima musulmana ad impreziosire la struttura del Congresso americano. Ma soprattutto, come prima palestinese-americana al Congresso. Un grosso, grossissimo cambiamento.