L’Università di medicina di Tokyo ha falsificato i risultati dei test di ammissione, per fare sì che il numero di donne iscritte rimanesse molto più basso di quello degli uomini, solo il 30 percento. Niente di nuovo sotto il sol levante. Nonostante sia un paese fortemente all’avanguardia tecnologica, il Giappone non riesce a liberarsi del pregiudizio contro le donne e nella classifica mondiale del Gender Gap, su 135 paesi in cui svettano i paesi scandinavi, si trova sempre intorno al 100esimo posto. Una cattiva tradizione tanto dura a morire da arrivare a barare, come in questo caso, cancellando le prove che non esistono differenze intellettuali tra uomini e donne, pur di confermare convinzioni vecchie e ormai ingiustificate. La direzione dell’ateneo ha dovuto ammettere le sue colpe dopo che un’indagine interna aveva portare alla luce documenti che provano come questa pratica fosse in atto dal 2006. Ad esempio, nell’ultimo test sono stati sottratti 20 punti a ogni esaminando e poi, prima di rendere pubblici gli esiti, erano stati risommati solo ai candidati maschi che non avessero già tentato di passare il test per più di quattro volte. L’inchiesta è partita proprio perché un candidato figlio di un funzionario governativo è stranamente stato ammesso con buoni voti dopo il quarto tentativo (il padre aveva promesso un finanziamento all'istituto), ma ora si espanderà per verificare se questo metodo è stato applicato anche in altre strutture meno prestigiose dell’Università di medicina di Tokyo. Non è difficile prevedere che qualche altro rettore dovrà porgere le sue scuse, visto che quello dell’ateneo incriminato, pur di salvare la faccia, è arrivato a ipotizzato una surreale ammissione delle studentesse penalizzate ingiustamente, a distanza di 12 anni dalla bocciatura.

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Photo Fancycrave per Unsplash

Ma da cosa deriva la diffidenza verso le donne giapponesi che vogliono laurearsi? Le basi sono più o meno quelle che anche in Italia, e nel resto del mondo, spingono a volte i datori di lavoro a dare la precedenza alle assunzioni maschili: le donne partoriscono. E quando partoriscono diventano, secondo il luogo comune, "inefficienti". Per cui è meglio investire sulle risorse umane maschili. In alcuni paesi dell’estremo Oriente esiste la convinzione che a prendersi cura del neonato debba essere solo la madre, e che lo debba fare annullando ogni suo esigenza personale. Per fare un esempio, nella provincia della Cina, l’anno scorso, una neomamma è morta di infarto durante un’ondata di caldo estivo molto superiore alla media perché ha seguito alla lettera la rigorosa tradizione cinese secondo cui, per un mese, bisogna solo pensare a mangiare, allattare e stare a letto sotto un piumone. Che le è stato fatale.

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Photo Linh Nguyen per Unsplash

Le donne giapponesi che invece fanno carriera nell’economia e in politica, quando annunciano una gravidanza si trovano a dovere subire sui social i rimproveri di perfetti sconosciuti che le pongono davanti al dovere di scegliere tra carriera e figli. Entrambi non si può. Eppure, in Giappone esiste il congedo paterno, istituito proprio per non scaricare solo sulle donne il peso dei doveri genitoriali. Ma come accade da noi, sono pochi gli uomini che vi ricorrono perché il congedo paterno è percepito da molti come una devirilizzazione. Molti uomini sono convinti che essere immaginati dai colleghi mentre cambiano pannolini o danno il biberon danneggerà la loro autorevolezza. Le donne giapponesi stanno cercando di scalare i vertici della politica proprio per cambiare l’immaginario collettivo sbagliato. Ad esempio, quando nel 2012 un rappresentante del Partito Democratico Liberale, Masako Mori, è diventato ministra “Per le misure di declino del tasso di natalità, uguaglianza di genere, tutela dei consumatori e sicurezza alimentare”, una delle prime cose che ha fatto è stato annunciare che avrebbe promosso i membri dello staff maschile all'interno dei suoi ministeri solo se avessero preso il congedo paterno. Non ha funzionato, perché la carriera politica è effimera e gli uomini del suo staff hanno preferito assecondare il gradimento generale degli uomini che invece intraprendono percorsi più duraturi nella società civile. E in Giappone gli uomini sono statisticamente favorevoli al Gender Gap. Sono quelli che, sempre secondo le statistiche, trascorrono con i loro figli più piccoli di 6 anni solo 39 minuti al giorno di media. Sarà una guerra durissima, quella delle donne giapponesi. Ma questa inchiesta che ha smascherato l’Università di medicina di Tokyo è un piccolo passo avanti che speriamo porti alla fine di un percorso agognato.