Un uomo, prima dell’artista, che smuove le emozioni e sa quello che vuole. Luca Guadagnino non è più soltanto il regista del momento, da Io sono l’amore al successo internazionale di Chiamami col tuo nome (vincitore dell’Oscar per la sceneggiatura non originale di James Ivory e uno dei migliori film della stagione passata): al Festival di Venezia 2018 ha spiegato ulteriormente chi è e dove può spingersi, sia che si parli di vita, sia che appunto si affronti la morte come nel suo nuovo film Suspiria. I suoi colpi di fulmine visivi, però, profumano d’esperienze lontane, geografiche e letterarie.

Che percorso è stato il suo nuovo Suspiria?

Non tematizzo mai quando faccio i film, che di solito parlano in maniera indipendente da chi li fa. In questo caso convive l’elemento del terribile nei rapporti interpersonali, del femminile e della storia, in un viaggio di conoscenza, scoperta e curiosità. A me piaceva l’idea di rimanere in Germania, nella Berlino divisa, simbolo forte rispetto al concetto di inclusione/esclusione, scontro generazionale, colpa e memoria.

Quando decido di preparare un film scopro però ogni volta sempre qualcosa di me stesso, che magari non ero consapevole di poter essere in grado di fare. È un percorso di conoscenza e consapevolezza dei propri limiti, che premono dei tasti riguardo anche una certa emotività.

L’emozione paga però, se la si sa creare, no?

È il risultato di un compromesso tra la brutalità del reale, che si scontra con l’idea che hai di mettere in scena, e la volontà di molte persone. Fare cinema è un costante corpo a corpo, però cerco sempre di mettere in atto i miei desideri.

Il 1977, anno in cui si svolge anche la sua pellicola, fu un anno importante per diversi ragioni

La rivoluzione femminista su tutto, in Europa, in Francia, Italia. Non era una questione di cercare un luogo dove vi fosse uguaglianza, ma nel cercare la differenza.

Suspiria Red Carpet Arrivals - 75th Venice Film Festivalpinterest
Vittorio Zunino Celotto//Getty Images

Qui la colonna sonora di Thom Yorke ha un valore cruciale, quanto lo è per lei?

Io non so suonare, però mi nutro di musica da sempre: Ravel, Bach, Sakamoto, Giorgio Moroder, Franco Battiato rispecchiano ciò che amo. Thom è l’eccezione alla regola di non dover mai incontrare i miti che potrebbero deluderti: in questo caso è vero il contrario. Per me era fondamentale che fosse lui a dare la voce musicale a tutto: rappresenta la mia generazione. Siccome la colonna sonora dei Goblin ha inciso in maniera così radicale partendo dal progressive rock, influenzando 40 anni, volevamo che ci fosse un approccio altrettanto forte e immediato. È la prima volta che un musicista compone una colonna sonora originale in un mio film e ne sono profondamente orgoglioso.

Riguardo invece al suo rapporto con la danza, altro elemento importante della pellicola, cosa può dire?

Non sono un esperto, mi piace godermela a teatro, o rivedendo i grandi coreografi, come Pina Bausch. La danza in Suspiria è un linguaggio, protagonista a tutti gli effetti, della trascendenza della magia.

Parlando di grandi maestri, Dario Argento è stato ovviamente uno dei maggiori.

Dopo aver visto Suspiria, iniziai a vedere tutti i suoi lavori. Un giorno, avevo 15 anni forse, ero a Palermo, dissero a mia madre che lui sarebbe venuto in città. Mi misi a cercarlo, trovandolo in un ristorante. Lo fissai tutto il tempo, scatenando la sua paranoia nel sapere di quel giovane, io, così affascinato (ride, ndr).

Se ripensa al periodo dell’adolescenza, quali altri riferimenti le vengono in mente allora?

I romanzi di Thomas Mann e, soprattutto, i libri di cucina di Paul Bocuse.