È nelle sale (18 ottobre) nella commedia Nessuno come noi di Volfango De Biasi, ambientata negli anni 80, nell'atteso Il primo re di Matteo Rovere e ne Il mangiatore di pietre di Nicola Bellucci. E al momento Vincenzo Crea è impegnato in un altro film ma non ne può parlare. Lo raggiungiamo al telefono, ma «sta cominciando a piovere un sacco a Roma!». La sua voce sfarfalla e tremola mentre cerca di corsa un androne dove ripararsi. Sarà l’unico momento esitante dell’intervista a distanza al determinatissimo 19enne . Nato nel 1999, l’ultimo anno valido per definirsi un figlio del Novecento, ha in effetti una faccia che sembra un campionario di linee del secolo scorso, però così concentrato da risultare iper moderno: per forza è stato notato dal mondo dello stile («Vedere Alessandro Michele di Gucci all’opera è stato incredibile, la moda è un linguaggio artistico con cui si possono superare più limiti che con altre forme creative») e, grazie al successo di Appartamento ad Atene e I figli della notte, anche dai registi.

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Claudio Iannone
Vincenzo Crea e Sarah Felberbaum in Nessuno come noi.

E cosa hai imparato facendo questi tre film?
Dal primo la leggerezza. Come tutti gli adolescenti non sapevo cosa fosse. Di solito per impararla ci vuole il tempo che ci vuole, ma se devi fare una commedia è come frequentare un corso accelerato. Dal film di Rovere a usare l’ascia e muovere il corpo come un atleta, a sfidare il gelo. Per l’ultimo, al fianco di Luigi Lo Cascio, a fare il contadino in Piemonte a meno venti gradi percepiti... Ora che ci penso le intemperie saranno una costante del mestiere. Non fai mai una scena nella stagione per cui ti hanno vestito.

È vero che ti fai seguire da una trainer dell’Actors Studio da quando hai 14 anni?
Sì, a 11 sono andato da mia madre e le ho detto che volevo fare questa cosa. Mi ha risposto: «Stai tranquillo e poi vediamo».

Che è un modo gentile per dire «ma pedala!». O no?
Be’, sono stato insistente. E poi ho dimostrato che potevo farcela. A 14 anni riuscivo a rimanere in uno studio con questa coach fino alle due di notte, e l’indomani andavo a scuola. Ma se i miei non avessero capito il valore che davo a ciò che volevo fare... Sta quasi tutta lì la grandezza di un genitore, alla fine.

Cosa ci dici di nuovo e interessante sui ventenni?
A volte ci lasciamo un po’ convincere da quello che sentiamo in giro su di noi. Pensavo che la mia generazione non avesse un’identità forte, né ideali e valori, perché ci veniva detto così. Ma da poco ho capito che siamo veramente il cambiamento: non perché ci stiamo impegnando alla rivoluzione, ma perché da bambini abbiamo giocato coi cellulari, siamo nati che il cambiamento era già iniziato. E senza averlo scelto, ora lo stiamo testando. Da come impareremo a gestirlo dipende il futuro di tutti. Intanto, credo che abbiamo la capacità di accettare l’altro, in tutte le sue forme, come nessuno delle generazioni precedenti. E questo ci dà un senso di libertà infinito.

Ma ce l’avrete anche voi un tallone d’Achille!
Abbiamo mezzi semplici da usare, che ci danno tante possibilità in maniera immediata. E questo ci fa pretendere poco sia da noi stessi che dagli altri. Forse ci basterebbe capire che non possiamo limitarci a un’immagine su Instagram, dietro quella figura c’è una profondità da indagare, cercare.

E il vostro rapporto col sesso com’è?
I modelli estetici e le regole dell’attrazione stanno cambiando. Più che i corpi perfetti hanno importanza quelli strani, e anche questo ci rende liberi: di essere come siamo. Però devo ammettere che sul sesso tra i miei coetanei c’è una disinformazione che fa paura. Se ne dovrebbe parlare a scuola dalla quinta elementare, così tra l’altro si eliminerebbe il fattore tabù. Ognuno può fare sesso con chi vuole, perché dovrebbe interessarmi? A meno che per caso io non mi voglia unire al gioco, non si sa mai...