Lo scorso ottobre Lady Gaga si è presentata sul red carpet del venticinquesimo Elle Women in Hollywood Awards indossando un completo oversize di Marc Jacobs. Quando, poche ore dopo, è salita sul palco a ritirare il premio che le hanno assegnato, ha spiegato la motivazione dell’insolito look. «Noi donne di Hollywood non siamo oggetti da intrattenimento. Non siamo solo immagini per sorridere. Non siamo concorrenti di un gigantesco concorso di bellezza messe le une contro le altre per il piacere del pubblico. Con questo abito maschile pensato per una donna mi sento finalmente me stessa: una vittima di abuso sessuale che non ha avuto ancora il coraggio di fare il nome del suo assalitore, ma che stasera, qui, sente che si è ripresa indietro il potere che le spetta».

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Lady Gaga, 32 anni, indossa per protesta il completo maschile oversize firmato Marc Jacobs durante la serata degli Elle Women in Hollywood Awards.

Un discorso di grande impatto emotivo, che non a caso arriva a un anno dall’inizio del #MeToo, in un momento in cui è inevitabile tirare le somme, proprio mentre le tre accuse che potrebbero portare Harvey Weinstein (ora in attesa di processo) in prigione stanno cadendo una a una per colpa, pare, della cattiva gestione del caso da parte del Procuratore distrettuale di New York. Si parla infatti di testimoni imbeccati da parte di un investigatore. «Weinstein è destinato a una vita di umiliazione e ridicolo», hanno dichiarato diversi esperti legali alla Cnn, «ma è probabile che non vedrà mai le sbarre di una cella». Da qui la preoccupazione: se l’uomo-simbolo rimane impunito, quali saranno gli effetti sulla credibilità del movimento? La domanda è legittima, ma anche malposta: quello legale e quello sociale sono due fenomeni paralleli che a volte si incrociano e a volte no. E sarebbe sbagliato valutare l’impatto di questi mesi solo in termini di anni di galera.

Quieto e limitato alla rete in Italia (dove ha preso il nome di #quellavoltache), il #MeToo americano è stato, ed è ancora, prima di tutto, un fenomeno culturale di presa di potere e consapevolezza femminile i cui effetti si vedono ovunque, nelle relazioni sentimentali, in quelle lavorative, nel cinema, nella televisione, in ufficio. O in palestra. Nella mia per esempio, dove, oltre ad avere proibito i complimenti, hanno adottato un’altra pratica di sicurezza: il trainer che ti fa fare stretching a fine allenamento deve sempre usare un asciugamano per toccarti, in modo che le sue mani non siano mai a contatto con nessuna parte del tuo corpo. Tutto questo non vuol dire che oggi sia per forza meglio di ieri: gli aggiustamenti sono sempre necessari, ma intanto qualcosa è cambiato. Per un Michael, 43 anni, che lavora nel settore digitale e che ti dice che da un anno, in ufficio, evita accuratamente di rimanere solo in una stanza con una donna, c’è una Helena, 34 anni, assistente manager di un asilo, che racconta come dodici mesi di empowerment femminile hanno fatto effetto anche su di lei, regalandole il coraggio per andare dai suoi capi a chiedere l’aumento che per anni le era stato negato: «Dalla molestia al piccolo sopruso è ora di reagire e farsi valere». Per la cronaca: ha ottenuto l’aumento.

Gary, 38 anni, che lavora in finanza, fino all’altro ieri chiamava la segretaria girlfriend e le diceva che era il primo iscritto al suo fan club. Ora dice: «Ho rivisto le mie interazioni con le donne, mi sono interrogato se non avessi oltrepassato qualche confine, ho parlato con ognuna di loro a quattr’occhi per capire se e dove avevo sbagliato».

Per contro, Emily, 27 anni, che sta cercando di finanziare una startup, sostiene che il #MeToo ha reso ancora più difficile il suo lavoro perché «gli investitori sono persone molto impegnate, e spesso per ascoltare la tua idea ti davano appuntamento in un bar all’ora dell’aperitivo. Tu bevevi e intanto cercavi di convincerli a darti soldi». Ma questo ora non succede più perché nessun uomo d’affari vuole incontrare una donna sotto i 30 da solo in un bar.

Non è solo aneddotica. Le decine di sondaggi sul tema danno risultati contraddittori. Uno condotto da Nbc News su un campione dai 20 agli 80 anni ha trovato una spaccatura a metà lungo i sessi: maschi più spaventati, donne più spavalde. Un altro condotto da YouGov per conto di The Economist ha trovato che, rispetto al novembre 2017, la percentuale di americani che pensano che le false accuse di molestie sessuali siano un problema più grande di quelle vere è passata dal 13% al 18%, mentre quelli che pensano che le donne che denunciano portino più guai che soluzioni è passata dal 29% al 31%.

Hanna, 23 anni, la mia spia nella generazione Y, mi racconta invece di aver notato nei profili Tinder dei maschi under 40 un significativo aumento di frasi che esplicitamente dichiarano rispetto per le donne e sostegno al movimento. «Come se volessero chiarire che sono dalla nostra parte e che comprendono che nulla si fa senza consenso». Julia, 32 anni, vittima di molestie da parte di un uomo più grande, amico del padre, quando ne aveva 18, ricorda quanto bene il movimento ha fatto alle vittime. «Per anni mi sono chiesta se avessi fatto qualcosa per provocarlo, se fosse in qualche modo anche un po’ colpa mia. I racconti di tutte le donne che sono venute allo scoperto quest’anno mi sono serviti a capire che no, io non ho colpe: sono stata la protagonista di una sceneggiatura che è uguale per tante, e di cui siamo tutte ugualmente non responsabili. Il #MeToo è servito a liberarmi dei residui del senso di colpa, pur avendo io superato il trauma anni fa e avendo una vita normale, e non avendo neppure particolarmente piacere a usare il termine “sopravvissuta”. Dirò di più: oggi quando esco con qualcuno, sono molto esplicita su quello che voglio e non voglio fare, non ho paura di definire da subito i confini del consenso. Sono, insomma, liberata e più sicura di me».

Secondo i dati riportati dal New York Times, in questo ultimo anno la National Sexual Assault Hotline ha visto un aumento del 30% delle chiamate, con un picco nel giorno della testimonianza di Christine Blasey Ford, la donna che ha accusato il giudice Brett Kavanaugh di averla assalita sessualmente 30 anni fa, davanti alla Commissione Giustizia del Senato.

Il Fondo di difesa legale Time’s Up, quello fondato dalle attrici di Hollywood per aiutare le donne che farebbero fatica a sostenere i costi legali in seguito alla segnalazione di molestie sul posto di lavoro, dallo scorso gennaio ha raccolto 22 milioni di dollari in donazioni e ha preso in carico 51 dei 3.500 casi segnalati. Certo, si flirta di meno, è un dato di fatto, ma è un prezzo irrisorio da pagare se dall’altra parte ci sono i numeri di cui sopra. E poi siamo in una fase di transizione, gli animi si calmeranno, uomini e donne riprenderanno le misure e il corteggiamento tornerà a essere un’attività normale nelle nostre vite. Catherine Deneuve e le francesi saranno contente, l’insegnante di zumba riprenderà a guardarci il fondoschiena di nascosto e quelli come Weinstein finiranno sicuramente in galera perché questa volta le donne non aspetteranno neanche un giorno a denunciarli.