Sul suo profilo Instagram, a un certo punto salta fuori una foto in bianco e nero. C’è Piero Piazzi in posato sgualcito, di quelli per cui ti mettevano seduto su una poltrona e ti spalmavano i capelli di brillantina Linetti, come Carl Switzer in Simpatiche canaglie. La didascalia dice: «Qui, quando ero un bambino brutto e tutti mi chiamavano Dumbo per le orecchie a sventola». Se è vero che il più visuale dei social network ha diviso il mondo tra chi è capace di condividere le proprie emozioni e chi invece le rifugge, Piazzi è un simbolo vivente del moderno manager dal volto umano: 55 anni, ex modello bello bello in modo assurdo, come dice Ben Stiller in Zoolander, 283 mila follower su Instagram, oggi è presidente worldwide di Women Management, solida agenzia di modelle del gruppo Elite World.

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Piero Piazzi durante una sfilata quando faceva il modello

Fare la modella è ancora una grande aspirazione?
Se guardiamo l’età è difficile pensare che si tratti di scelte ponderate. Ho visto troppe ragazze spinte dalle mamme. Mi batto da tempo perché le modelle abbiano superato i 18 anni. Ora vedo effetti positivi. Per molti giornali e marchi i casting prevedono età superiori rispetto agli anni scorsi e niente interferenze con la scuola.

Quante sperano ancora di farne una professione?
Fare la modella è un momento professionale, una parentesi, magari non una carriera. E deve lasciare un bel ricordo. Io ho ricordi bellissimi, ho visto posti da fiaba, come il Tibet, quando nessuno ci andava. Ho conosciuto Andy Warhol e ho scoperto l’arte. Oggi i piani delle ragazze sono diversi. Non è colpa loro, ma tutto è facile. Viaggiare, vedere, consumare.

Cioè non hanno ambizioni?
Forse si tratta di una sorta di rassegnazione davanti a un problema generale di rispetto che le donne non hanno ancora ottenuto. Nonostante le battaglie di persone come Anna Finocchiaro o Emma Bonino, non si vedono nei posti chiave delle aziende come delle istituzioni.

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Piero Piazzi e Carla Bruni

Lei ama le donne?
Io amo le donne. Quelle coraggiose, e soprattutto le donne normali. Ne ho sposata una, Silvia (Giusfredi, ndr) che ha 10 anni più di me e che non è mai stata una modella. Con lei è iniziata 28 anni fa. Era sposata, aveva tre figli e si occupava di pubbliche relazioni. L’ho incontrata per lavoro, a pranzo. L’ho guardata e ho perso la testa. Sudavo e mi
mancava il respiro. Avevo una casa grande e tutto l’amore possibile. Però la storia è finita perché lei non se la sentiva.

Come l’ha riconquistata?
Dieci anni dopo mi ha chiamato perché aveva bisogno di un favore. L’ho invitata a cena, poi siamo andati a casa mia. Ho tirato fuori le audiocassette con i messaggi che mi aveva lasciato nella segreteria telefonica e tutte le sue lettere.

L’aggravante della premeditazione è evidente.
Più che altro della predestinazione. Da allora non ci siamo più mollati. Ho letto Molte vite un solo amore di Brian Weiss, un libro che mi ha aperto gli occhi sull’eterno incontro delle anime gemelle. Forse ci siamo incontrati nel passato.

Per imparare ad amare si va dall’analista?
Ci si deve andare per lavorare su se stessi. Prima di andarci compravo l’amore. Facevo tanti regali per essere amato. Una mancanza di autostima totale. Oggi continuo a essere generoso ma la psicoterapia è stata portentosa. In particolare la tecnica Emdr (che porta a una rielaborazione di ricordi rimossi, ndr) è stata molto efficace. Del resto sono cresciuto in una famiglia medio-borghese a Bologna, ho avuto un padre che si comportava da madre e una madre capofamiglia. Terzo e ultimo di tre figli maschi, i miei mi mettevano in competizione con i miei fratelli. Mio papà, imprenditore, scherzando mi chiamava sopravvenienza passiva, come fossi un imprevisto in un budget aziendale. I miei doveri erano chiari: uscire con 60 alla maturità dal Collegio San Luigi, imparare perfettamente l’inglese all’Istituto Italo Britannico e infine raggiungere lo status che una città provinciale esige. Quando ho lasciato Bologna, a 17 anni, ero in fuga.

Ed è finito a Milano a occuparsi di corpi perfetti.
Io odio la perfezione. E non ho mai valutato le donne per la perfezione del loro corpo. Anche tra le modelle, ho amato quelle problematiche, con gli attacchi di panico, quelle ossessive ed emotive. Quelle che si mettevano in discussione più di quelle concentrate sulla loro immagine. Il fatto è che se fuggi da genitori che ti vogliono perfetto non riesci e non vuoi chiedere a qualcuno di esserlo.

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Piero Piazzi e Naomi Campbell

Quali sono oggi le sfide del suo lavoro? Che opinione ha delle influencer?
Devo guardare avanti, è inutile rimpiangere i tempi d’oro delle top iconiche. Oggi le modelle devono per forza essere selezionate anche sulla base dei follower che hanno sui social network. I clienti lo pretendono. Al netto di questo il mio obiettivo è sempre quello di formare e promuovere professioniste. Far vincere la qualità sulla quantità di aspiranti a un po’ di fama. Significa puntare a una preparazione rigorosa.

Chi, tra le sue scoperte recenti, rappresenta al meglio le attuali esigenze dei marchi? Rebecca Longendyke è l’ultima scoperta del nostro network. Ha iniziato a 18 anni, quindi “tardi” per una modella. Però questo spesso vuol dire avere la maturità per aderire a un progetto di vita che le consenta di comprare una casa e farsi una famiglia.

Quanto è importante la famiglia per lei?
Non ho avuto figli ma sono legato a quelli di mia moglie. Adoro la mia nipotina Talita (figlia di Vittorio Mango, primogenito di Silvia Giusfredi e Veronika Logan, ndr) che ho visto nascere e crescere.

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 Piero Piazzi con la moglie Silvia Giusfredipinterest
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Piero Piazzi con la moglie Silvia Giusfredi, animalista appassionata.

L’infanzia infelice alla fine l’ha resa felice.
La merda in agricoltura è un concime prezioso. E lo è anche nella vita.

Oggi che cosa non sopporta?
Le persone adulte che trovano sempre un colpevole tra i genitori, i capi, il cibo, rifiutando di affrontare le loro magagne. Non sopporto la parola colpa da quando mi sono liberato dai sensi di colpa.

Paure?
Ho paura di invecchiare. La combatto cercando la bellezza, ripescando i ricordi più belli della mia carriera. Alcune persone mi mancano molto, come Franca Sozzani (direttrice di Vogue Italia scomparsa nel 2016, ndr). Ma più di tutte ho paura che mia moglie muoia prima di me. Ha dieci anni di più, ma non accetto l’idea.

Se un uomo lavora per una vita tra le donne lo deve al karma o alla capacità di adattamento?
Non è un adattamento, l’uomo è un agente riequilibrante negli ambienti femminili. Il mondo non è rosa o azzurro, è arcobaleno. È scandaloso non volere matrimoni gay e lo è anche rifiutare le scelte di chi non è a suo agio in un corpo.

Parla di modelli che diventano modelle e viceversa?
Ho seguito la trasformazione da uomo a splendida donna di Lea Cerezo. È stata una lezione di vita. Cerchiamo il marcio anche quando abbiamo davanti la bellezza. Questo Paese rischia di rimanere indietro. Ci manca amore, fisicità, lisciarci i capelli, stringere a noi donne, uomini, bambini, animali.

Piero Piazzi con Lea T Cerezopinterest
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Piero Piazzi con Lea T Cerezo

Intanto lei è diventato un manager sentimentale. È difficile al lavoro mostrare il lato
umano?
Sono romantico, ma sono tosto. Al vertice faccio valere il principio della meritocrazia. Affronto i problemi e cerco soluzioni. Chi si lamenta perché non ha lavoro, a volte è viziato.

Le aziende di moda sono meno dure?
La moda è spietata. Si è visto con il caso “cinese” di Dolce e Gabbana. Un attacco immeritato a una coppia di stilisti che da sempre sostiene l’italianità, dalle modelle alle location delle campagne.

Prendiamo troppo seriamente i social network?
Rappresentano un severo tribunale senza appello, pieno di mitomani.

Il narcisismo dei selfie però aiuta l’autostima?
Se una ragazza allo specchio si piace con il naso storto e le orecchie a sventola, sono il primo a gioire. Ma il punto è che lì non si parla. Si urla. Tutto è chiassoso, dalla musica al ritocco estetico esibito come antidoto a un divorzio.

Piero Piazzi e Mariacarla Bosconopinterest
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Piero Piazzi e Mariacarla Boscono

Moda curvy, fondoschiena alla Kardashian, i social portano “nuovi” canoni estetici?
Sì, anche noi bolognesi abbiamo la nostra piccola Kardashian, Elettra Lamborghini (ride). È un messaggio positivo sul corpo femminile. Ma spesso ha anche un risvolto commerciale.

C’è un modo “giusto” di condividere i post?
Condivido ciò che è autenticamente bello, o faccio post per ringraziare o aderire a delle cause. Instagram risveglia l’attivista: puoi parlare di ambiente e fare adottare cani e gatti.

Quello che fa sua moglie, vero?
In effetti… sì (ride). m