Chi fermerà l’ondata di donne politiche americane che scalano progressivamente tutte le posizioni di potere? Nessuno di questo passo, soprattutto ora che anche Chicago ha la sua nuova sindaca Lori Lightfoot. Oltreoceano qualcuno proporrà quote azzurre per garantire equità di presenze maschili e femminili? Si scherza, perché il giorno in cui il numero di donne al potere supererà quello degli uomini è ancora molto, molto lontano. Per il momento Alexandria Ocasio-Cortez e le altre colleghe si accontentano di farsi sentire alzando molto bene la voce. Certo, forse il giochino di guardare fuori dalla finestra e lamentarsi perché l’erba del vicino è più verde comincia a essere un po’ noioso. Ma fino a quando il prato altrui sarà più brillante, confrontarsi tra noi e loro - e stupirsi - è inevitabile. Per cui, situazioni come quella di Chicago meritano attenzione. Sintetizzando in breve: il 26 febbraio scorso si è votato per la carica di sindaco di Chicago e dallo spoglio sono rimasti in corsa due candidati che andranno in ballottaggio il 2 aprile. Il fatto è che i due “candidati” erano candidate. E nere. Okay, comincia a essere noioso anche stupirsi che due donne mature e nere, che si chiamano Lori Lightfoot e Toni Preckwinkle, siano state in corsa in una città così importante. Pare quasi un voler confermare l’odioso concetto “nonostante siano”, che è anche una delle polemiche intorno al film Oscar Green Book, che parlare ancora di amicizia fra un bianco e un nero come se fosse strano lo rende strano. Sarà pure vero ma lasciateci godere solo un attimo al pensiero che – ripetiamo – due donne mature e nere, che fino all’abolizione dello schiavitù in America, con il proclama di Lincoln del 1865, sarebbero state solo “merce scaduta”, ora possono aspirare a qualsiasi carica importante. Poi, per spirito di normalizzazione, cambiamo discorso e ci si può soffermare su altri fattori più interessanti. Ad esempio: perché erano in lizza proprio loro? Come hanno convinto la gente a votarle? E perché una Lightfoot era data per vincente dai bookmaker?

Cominciamo con la candidata che ha ricevuto meno preferenze fra le due, Toni Preckwinkle. IL 17 marzo compirà 72 anni, che negli Usa è un’età di considerevole seniority. È la presidente del Cook Count Board, un importante organo legislativo della contea di Cook che comprende anche Chicago. Per i maliziosi dalle facili battute da parcheggi di astronavi in mano a Samantha Cristoforetti: la cucina non c’entra nulla. Il Cook Count Board stabilisce le politiche e le leggi per la contea in materia di proprietà, servizi di sanità pubblica, sicurezza pubblica e manutenzione delle autostrade della contea. Amen. Toni Preckwinkle è una di quelle donne che non entra in politica solo per occuparsi di tematiche femminili ma di tutto, anche se il lavoro è doppio perché di politici maschi in grado di accorgersi dei problemi che affrontano le donne, specie se madri, sono davvero pochi (okay Barack Obama, è uno di questi). Il suo programma era abbastanza basic e comprendeva un cavallo di battaglia valido in qualsiasi stato: aumentare i posti di lavoro. Chicago è una città in boom economico che non ha però incluso tutti nel suo benessere. È normale che qualcuno resti sempre fuori perché mancante delle competenze più richieste sul mercato del lavoro, per cui Preckwinkle ha proposto, fra le tante cose, di istituire nelle scuole pubbliche della città corsi di formazione per adulti disoccupati, che tornerebbero così a studiare nelle aule attigue a quelle dei loro figli per ritrovare un lavoro. Non era male.

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Lori Lightfoot (nella foto in apertura), invece, è più giovane della sua contendente, ha 55 anni, è avvocata, e a Chicago ha coperto diverse cariche tra cui quella di presidente del Consiglio di polizia della città. Fra i suoi dati sensibili si può aggiungere che è sposata con una donna di nome Amy Eshleman, con cui ha una bambina. Madame Lori Lightfoot (sì, piede leggero) era la super favorita ed è la prima donna nera Lgbtq a governare la città del vento. Certo, questo non bastava per accattivarsi tanta popolarità in pochi mesi dall’annuncio della candidatura. Infatti, dalla sua parte ha avuto anche il merito di essere l’unica candidata, fra i dodici, della quale non è uscito fuori nemmeno uno scheletrino piccolo piccolo dall’armadio. Messaggio per chi dice che il mondo va in peggio: appena qualche decennio fa il fatto di essere una lesbica sarebbe stato uno scheletro di elefante, non nell’armadio, ma direttamente nel cortile di casa. Oggi non importa a nessuno. Certo, anche lei nel suo programma ha teso la mano ai disoccupati etc. Ma pare che a commuovere l’elettorato sia stata una proposta quantomeno inusuale. Lightfoot ha intenzione di far diventare Chicago una città dell’arte e della cultura in competizione con New York e Los Angeles. E per fare questo aveva annunciato che in caso di elezione alzerà le tasse sulle camere d’albergo per destinarle a un fondo che (sembra un sogno ma è vero) manterrà economicamente gli artisti in erba in città per scoraggiarli dal cercare fortuna in NY e LA. Insomma, sapendo che il comune finanzia i tuoi studi o ti foraggia mentre ti prendi tutto il tempo necessario per dipingere/scolpire/comporre l’opera del secolo, perché traslocare? È bello pensare che in questo particolare periodo storico in cui arte e cultura vengo disprezzate come roba da “radical chic”, gli americani diano fiducia proprio a chi invece le vuole rivalutare come un salvagente. Lori Lightfoot ha avuto un po’ di tempo per convincere ancora di più la gente della bontà delle sue teorie, che poi in altre città hanno già funzionato. Molti sindaci di città statunitensi hanno applicato la teoria delle finestre rotte di James Q. Wilson e George L. Kelling, secondo cui mantenendo puliti e ristrutturati a oltranza i quartieri problematici, la criminalità finisce per abbassarsi drasticamente. Figurati che miracoli può fare un aumento di arte. Il vento che soffia forte a Chicago porterà anche l’aria fresca della ritrovata consapevolezza che il bello non è solo estetica, ma anche nutrimento fondamentale per l’anima.