Capri in autunno è il contenitore dell’estate nella sua versione finale, quella rifinita. Fa caldo, ma non troppo. Ci sono molte persone, e tutte molto belle. Ci sono molti fiori, i limoni pendono dai rami, ma tutti i colori della natura si mantengono vivi senza il sole torrido che li morde. Ci sono eventi culturali ma senza peccati di superbia, come il Premio Malaparte, arrivato alla XXII edizione. È toccante persino il momento in cui al molo Beverello, la sera, attendi il traghetto che congiunge Napoli all’isola. Che poi arriva all’attracco sbagliato e nessuno ti avvisa, ma questo fa parte del kit di sopravvivenza di una città che fa di tutto per mantenerti l’attenzione alta, dove il cervello non dorme mai, altro che New York. L’occasione per cui vale la pena di attraversare il Golfo di Napoli è la premiazione di Colm Tóibín, lo scrittore irlandese autore di Brooklyn, il romanzo da cui nel 2015 è stato tratto il film con Saoirse Ronan che si guadagnò tre candidature all’Oscar, compresa quella alla sceneggiatura che inaspettatamente Tóibín chiese di affidare a Nick Hornby.

A Hollywood non frega niente a nessuno di chi scrive il romanzo da cui è tratto un film

A tavola da Paolino, il famoso ristorante caprese in cui, appena arrivati, si cena sotto rami carichi di limoni maturi, Colm Tóibín racconta quella notte della cerimonia degli Oscar con autoironia e un filo di sarcasmo. Era fra gli invitati, ovvio, ma incredibilmente non ha fatto alcun red carpet ed è passato dall’entrata posteriore. “A Hollywood non gliene frega niente dell’autore del romanzo da cui è tratto un film”, svela ridendo. Non contava nulla. Quando l’editore gli ha messo a disposizione una macchina con autista ai suoi ordini, a lui è sembrato che non ci fosse niente di straordinario perché ce l’avevano tutti, voleva quasi farsi portare in Messico. Al Dolby Theater si è avviato verso il backstage per andare a salutare il regista John Crowley e gli attori, ma un “cristone” della sicurezza - e ripete più volte, divertito, la parola cristone, dopo averla sentita dall’interprete - lo ha bloccato. Quando lui gli ha detto il nome e gli ha spiegato chi fosse, quello lo ha guardato male e lo ha invitato a levarsi di mezzo, e in fretta. “Ho cercato in tutti i modi di farmi inquadrare per essere visto dai miei familiari", rammenta con le lacrime agli occhi dal ridere, "ma niente, non mi ha visto nessuno!”. Si dice che essere uno scrittore ti renda abbastanza noto da avere il tavolo migliore al ristorante, quando prenoti a nome tuo, ma senza l'assillo dei fan che chiedono gli autografi. Almeno, durante le pause per la pubblicità filava al bar e aveva tutti i drink che voleva dal barista irlandese. E poi è stato invitato a un megaparty (“una festona”, ripete ancora sentendolo dall'interprete, rollando le parole sulla lingua) dove ha cercato di farsi riconoscere da Elton John, che lo ha snobbato. Quando ha visto una ragazza circondata da un sacco di gente di cui non sapeva nulla, ha chiesto chi fosse e qualcuno gli ha risposto scandalizzato: "è Lady Gaga”.

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Lo scrittore irlandese a Capri

Una delle condizioni poste agli autori che accettano il premio Malaparte consiste nello stare tre giorni a Capri coccolati da una combriccola di intellettuali, per lo più i membri della giuria, che sa cosa vuol dire divertirsi. Ci sono passati Elizabeth Strout e Donna Tartt (che vietò di scattarle foto), Emmanuel Carrère, Saul Bellow e Isabelle Allende e molti altri, tutti alle condizioni dettate prima dalla fondatrice Graziella Lonardi Buontempo e poi dalla nipote Gabriella Buontempo, che ne ha ricevuto il testimone. Le occasioni di incontro con gli scrittori, quindi, sono molte. Il giorno dopo la cena sotto i limoni c’è una tappa classica, il pranzo all’Hotel Quisisana dove ha alloggiato praticamente tutto il mondo che conta dalla metà del 1800. Nella hall c’è lo stesso arredamento da qualche generazione, compresa la statua del moro. Ma uno dei punti di forza di Capri sta proprio nel mantenere le cose come sono e conservarle come nuove. Quando la sera si rientra nel proprio albergo, in genere si ha la sensazione di dormire a casa della vecchia zia benestante che in salotto ha la plastica sulle sedie dal 1970.

Dall’infelicità ricavi l’immaginazione letteraria, dalla felicità, per la scrittura, quasi niente


Per combinazione, Tóibín ha invece un rapporto drastico col passato: “Quando si torna indietro si pensa agli anni della scuola, la famiglia, la nostalgia di un mondo scomparso, che sembrava fisso e immutabile ma oggi non c’è più semplicemente perché le persone muoiono, il tempo si muove. La nostalgia dell’infanzia forse è, in fondo, nostalgia di cose che neanche ci piacevano”, spiega nel padiglione vicino alla piscina del Quisisana in cui stanno per servire il pranzo, mentre fa il suo ingresso Raffaele La Capria, il presidente della giuria. L'autore di Ferito a morte e della sceneggiatura di Cristo si è fermato a Ebolia ha 97 anni, ha perso da poco la moglie Ilaria Occhini, ma non vuole mancare. Viene accolto da una standing ovation e applausi dei commensali. "Non credo ci sia qualcuno che ha un’infanzia pienamente felice", riprende Tóibín, quando il grande collega italiano ha preso posto e Andrea Kerbaker, lo scrittore che modera (ce ne sono uno stuolo, a tavola), gli ridà il via. "L’infanzia è quella fase della vita in cui sei sempre in giro a chiederti cose e a osservare il mondo. Ma è dall’infelicità che ricavi l’immaginazione letteraria. Dalla felicità, per la scrittura, trai molto poco, giusto qualche ricordo".

Quando ho stretto la mano alla regina ho pensato: 'mio nonno ha cercato di ucciderti'

Colm Tóibín è veramente molto irlandese. Durante il pranzo dice la sua sulla Brexit: "Da sempre c’è una sorta di idea un po’ mitologica sul rapporto fra Irlanda e Inghilterra. Gli inglesi hanno sempre pensato a noi come gente irrazionale, emotiva, affetta da un nazionalismo incurabile e nel complesso, inaffidabile. Adesso ci troviamo in una situazione nuova e dalla nostra isola osserviamo con costernazione quello che accade nell’isola vicina", dice "ma non vogliamo tornare ai tempi in cui al confine si contrabbandavano a vicenda le merci più convenienti nell'uno e nell'altro lato". Lo scrittore ha avuto anche occasione di incontrare la regina Elisabetta, in udienza da lei quando è andata a visitare per la prima volta l'Irlanda nel 2015. "Devo dire che la regina ha parlato di questa bizzarra situazione con equilibrio, e lo dico senza sarcasmo: si è comportata perfettamente". E racconta un aneddoto caustico. Il nonno di Colm, Patrick Tóibín era un membro dell’IRA, l’organizzazione militare indipendentista. "C’è stato un bizzarro momento quando mi hanno portato a stringerle la mano, e ho pensato: 'mio nonno ha cercato di spararti'. Beh, questo io lo chiamo 'progresso' ", ammette aggiungendo: "Però, una volta ho stretto la mano anche a Borges".

L’ultimo libro di Tóibín, uscito ora in Italia, è La casa dei nomi e non ha niente a che fare con Brooklyn, o Nora Webster, o i suoi tanti saggi. Non ha niente di irlandese. Il romanzo è ambientato nella Grecia mitologica e racconta i dettagli e le conseguenze della storia che si dipana nel momento in cui Agamennone sacrifica agli dei la figlia Ifigenia per far alzare il vento che porterà le sue navi in guerra. La mitologia greca non è mai stata noiosa già di per sé, ma lo scrittore irlandese, dando ai personaggi una forma così umana che pare di sentirne l’odore e udire il respiro, la rende una sorta di thriller, uno di quei libri che ti porti a tavola o che cerchi di leggere di nascosto sotto la scrivania, al lavoro. Un capolavoro dell’immedesimazione. “Ho 64 anni, e qualche volta, mentre scrivevo questo libro, mi svegliavo la notte. Alle persone della mia età capita di perdere la cognizione di se stessi e di non capire neanche più bene a quale genere appartengano, e in quelle veglie notturna mi sentivo Clitennestra, la moglie di Agamennone”.

Il cancro è come una barzelletta venuta male, una battutaccia

Di recente, Colm Tóibín ha vissuto l'esperienza del cancro. "Credevo che il cancro ai testicoli riguardasse solo i giovani, fra i 28 e i 30. Invece l’ho avuto anch’io ed è stato un momentaccio perché era curabile. Vuol dire che mi hanno riempito di chemioterapia fino agli occhi, mi hanno riversato dentro qualsiasi tipo di farmaco chemioterapico perché il tumore ai testicoli si può curare. Ma questo ha significato che per tutto quel tempo non sono riuscito a fare la maggior parte delle cose che amo. Mi dava fastidio ascoltare musica, non avevo appetito, e comunque non ne sentivo il sapore, non riuscivo a dormire. Finita la terapia, mi rimetto a lavorare come se niente fosse successo, con l'idea che il cancro non mi abbia insegnato proprio nulla. Un giorno di marzo, invece di piangermi addosso mi viene in mente una frase, l’inizio di una nuova vita: 'tutto cominciò dalle mie palle' (ride). Da allora ho scritto sempre di più e ho pubblicato un racconto su questa vicenda molto triste come una barzelletta venuta male, una battutaccia. È capitato a me, prendiamola a ridere”. A quel punto, lo scrittore Diego De Silva si alza e gli dice: “Caro Colm, siamo compagni di tumore alle palle”. Toibin ride. E gli offre in prestito una delle sue.

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Nel Sud Italia l'ospitalità è sacra e il cibo un culto. Per cui la tappa successiva dell'evento è una cena a casa di quello che tutti chiamano familiarmente "il signor Ferrarelle". È Michele Pontecorvo Ricciardi, il giovane vicepresidente di Ferrarelle che con la moglie, l'architetta Carolina Caccioppoli, riceve lo scrittore, la giuria, i giornalisti, gli inevitabili infiltrati, tutti a casa sua (di cui non si calcolano i confini) senza troppi fronzoli, pane al pane. Anzi, fritto al fritto, vista l’ondata di vassoi che cominciano a girare subito fra gli ospiti che più rilassati di così non potrebbero essere. Ferrarelle è l’azienda che finanzia il Premio Malaparte e se già la coppia non fosse di una bellezza commovente (gli occhi sono tutti rivolti a loro due) il fattore mecenatismo avvolge entrambi in un’aurea di gratitudine generale e palpabile. Dopo che tutti, Tóibín compreso, si sono saziati di alici panate e verdurine in tempura, viene annunciato a sorpresa: "arriva la cena!". Benvenuti al Sud.


Sud che ha vissuto molta emigrazione, un fattore in comune con gli irlandesi. "I luoghi molto sassosi, pietrosi hanno sempre qualcosa in comune. Una volta ho fatto un viaggio a San Giovanni Rotondo, sulle tracce di Padre Pio, e il paesaggio mi ha ricordato casa mia: i campi aridi, l’importanza della Chiesa, l’abbigliamento conservatore, il culto delle tradizioni". Brooklyn è un libro che descrive a meraviglia la homesickness, la nostalgia di casa di quando sei lontano, tipica degli emigranti. "La storia dell’Irlanda è stata una storia di emigrazione per un secolo e mezzo", conferma Colm Tóibín, "In ogni famiglia c’è stato almeno un membro che ha attraversato il mare per raggiungere l’America, l’Australia o il Canada. Ma non c’era un romanzo che si concentrava su questo, a quel tempo la gente aveva troppo da fare a cercare di sbarcare il lunario per scriverne. C’era da trovare i soldi per il viaggio, cercare una casa e un lavoro quando si arrivava lì. A un certo punto, invece, abbiamo visto arrivare tanti stranieri dall'Africa, dai paese arabi e pensavamo: 'ehi, le cose non vanno così, siamo noi quelli che emigrano!'. È quello è stato il momento in cui ha provato a immaginare la storia di Brooklyn. Ho pensato che raccontare le vicende di una singola persona, invece che di una comunità, sarebbe stato più efficace".

L'Irlanda ha prodotto tanti scrittori perché scrivere non costa nulla


E qui si arriva a capire perché l’Irlanda abbia generato tutti questi scrittori. "In Irlanda non c’è mai stato un compositore celebre, non abbiamo uno Schubert, non c’è nemmeno un Rembrandt. Immaginate un talento irlandese senza un soldo, alle prese con la spesa di colori e tele. L’unico modo per un irlandese di uscire dalla povertà era l’alfabetizzazione: prendi una madre irlandese ambiziosa che vuole far uscire il figlio dalla miseria nera e l’unico modo è fargli imparare a leggere e scrivere in modo da poter andare a Londra e diventare impiegato, sacerdote, qualsiasi cosa". In Irlanda i libri non c’erano, per chi aveva le tasche vuote, ed ecco perché ora in quel paese c'è molta attenzione per la cultura: "Le storie si raccontavano a voce e il silenzio su temi come la sessualità era pesante. Joyce ha fatto quello che ha fatto parlandone; suo padre era povero in canna e ha speso quel poco che aveva per mandarlo in collegio dai Gesuiti. Tanti scrittori irlandesi si spostarono a Londra: Bram Stoker, Oscar Wilde, George Bernard Shaw. Londra è molto ricettiva nei confronti degli scrittori irlandesi. Gli inglesi ci hanno dato la lingua inglese, e noi glielo abbiamo restituita".

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Come si diventi scrittore, dice, è un mistero. Lui ha iniziato a scrivere versi dopo la morte del padre, a 12 anni. A volte un lutto importante può essere la scintilla che accende il motore, un po’ come nel suo romanzo Nora Webster, in cui tutto parte dalla morte di un padre e ciò che succede dopo. “Chissà, magari se non fosse morto, ora farei un lavoro utile”, dice. Viene contestato e insiste: “un pompiere è utile, un’infermiera, non uno scrittore. I libri non si mangiano”. Tutti cercano di spiegargli che un libro è utile, può salvare una vita. “Ok, ero ironico. In fondo la civiltà è iniziata quando un cavernicolo ha cominciato a disegnare nella caverna”, ammette. La serata è finita, non si va a letto troppo tardi perché il giorno dopo c'è la cerimonia di premiazione del vincitore del Premio Malaparte. In tempo per scoprire che il premiato capisce molto bene l'italiano, e meno male che tutti ne parlavano solo bene. Il guaio di incontrare le persone per intervistarle è che, quando ci si saluta, se ti sono piaciute tanto, non puoi dirgli "non perdiamoci di vista" o "scambiamoci i numeri di telefono". Per fortuna, il contatto con gli scrittori si può mantenere per sempre con un modo infallibile. Entrando nelle librerie, comprando i loro libri. Leggendoli. E leggere Colm Tóibín non sarà mai tempo sprecato.