Lapa, Rio de Janeiro. Lo sfondo di libertà del documentario Queen Of Lapa, girato in tre settimane da Carolina Monnerat e Theodore Collatos e dedicato alla reale regina della zona, la trans Luana Muniz. Secondo Wikipedia, Lapa è solo una deliziosa zona bohémien della città carioca, avvolta a nord dal Centro, a ovest dalle colline di Santa Teresa e a sudest dalla vista sul mare di Glória. Ma il mare, da Lapa, non si vede proprio. Sotto gli Arcos da Lapa, la doppia fila di archi dell’acquedotto carioca, si balla il samba con le bande dei blocos, si beve liberamente, ci si corteggia accostandosi progressivamente sui gradini coloratissimi della escadaria Selarón. A volte ci si apparta, tanto nessuno ti giudicherà mai per aver mescolato le lingue contro un muro di Lapa. È Rio de Janeiro, la città troppo eccitante secondo Ruy Castro, che a Lapa diventa incendio primordiale di sensazioni. È un’area a sé, i confini tra legale e illegale sono spesso cancellati. Qui albergano e lavorano le sex workers brasiliane, moltissime donne trans, la minoranza tra le più bistrattate. Loro preferiscono la dicitura travesti, più neutrale ed inclusiva, che elimina col colpo linguistico il problema di riferimento di genere.

La storia di Luana Muniz è il focus principale, ma è solo il particolare che porta al generale argomento della vita delle sex workers. Non c’è nulla di recitato o di messo in scena: la telecamera segue i racconti di Luana sulla vita che ha vissuto dagli 11 anni in avanti, quando iniziò a prostituirsi durante l’epoca della dittatura militare in Brasile. Le operazioni, le decisioni prese, le sfide al potere: durante i 21 anni del potere dell’esercito terminati nel 1985, oltre alla censura e alla repressione (per omicidio) dei dissidenti politici, c’era proprio una lotta durissima contro i transgender. Agli uomini era vietato travestirsi da donne e truccarsi, si impediva di fatto la possibile transizione e scoperta di un’identità diversa. Crescere come sex worker nel Brasile di allora era N volte più difficile: nella storia di Luana Muniz e delle sue battaglie, però, non c’è l'agiografia tipica dell'avercela fatta. È lei a spiegare le sue battaglie e la loro importanza. Perché il Brasile oggi, con l'arrivo alla presidenza di Jair Bolsonaro, non è di certo un posto migliore per chi non è maschio/etero/bianco. Vale a dire donne, trans, travesti, gay.

Queen Of Lapa è una narrazione di umanità. Dettagli quotidiani, fragilità, coscienze, sentimenti, scoperte. E sostegno a tutti i costi, a volte persino contraddicendosi, o usando maniere più forti per difendere quanto si è guadagnato. Non ci sono compromessi, per la rainha da Lapa Luana Muniz. Un’attivista reale: dopo aver vissuto in Europa per qualche tempo, è ritornata in Brasile con una coscienza fattiva. Consapevole di doversi impegnare, lei per prima, per garantire uno status di sicurezza alle trans come lei. Ha fondato un hostel, una casa di accoglienza e lavoro per le travesti di Rio de Janeiro, ha partecipato a novelas, soap opera e dibattiti pubblici, si è battuta per il riconoscimento dei diritti LGBTQ. Sempre mettendoci la faccia, consapevole del fatto di essere una rappresentante di categoria più inquadrata di altre, e di avere l’inclinazione a farlo. È stata a lungo presidente della Associação dos Profissionais do Sexo do Gênero Travesti, Transexuais e Transformistas do Rio (associazione dei professionisti del sesso di genere travesti, transessuale e trasformista di Rio de Janeiro) e del progetto Damas da Prefeitura per dare sostegno, anche medico e psicologico, a chi ha scelto questo tipo di vita. In una città come quella carioca, dove la sanità pubblica è carente e non sempre le assicurazioni private accettano una stipula di contratto con una donna trans, Luana Muniz ha offerto anche questo alle sex workers del suo hostel. Una protettrice, ma non nel senso sinistro di sfruttamento che il termine ha acquisito in italiano.

Luana Muniz, la trans protagonista del documentario Queen Of Lapa pinterest
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La rete di contatti creata nei confronti della comunità di quartiere ha protetto anche i due autori del film durante le riprese: “Abbiamo filmato durante le preparazioni per i giochi olimpici. Le possibilità di essere derubati, drogati, o semplicemente presi di mira per l’attrezzatura tecnica che avevamo, era altissima. Ma Luana voleva essere sicura che l’intera comunità della zona… anche i ladri, tutti, sapessero che eravamo lì e non dovevamo essere toccati” ha rivelato Carolina Monnerat a No Film School. Anche la lingua è importante per farsi avvolgere dai racconti delle ragazze, e uno dei problemi è stata proprio la traduzione e la comprensione del loro modo di parlare. “La terminologia che usavano, i vari dialetti e slang, ci hanno messo in difficoltà perché non avevamo idea di cose stessero parlando. Abbiamo chiesto aiuto alla giornalista Viviane Faver, che abita a New York, per aiutarci a tradurlo in inglese. Anche lei ha avuto problemi. Poi abbiamo capito che le ragazze parlano in pajubá, il dialetto inventato dai travesti” ha raccontato la regista e produttrice Monnerat a Lulacerda.


La ricerca dei due registi non si basa sulla frenetica durezza dei fatti da dimostrare o sbattere in faccia allo spettatore, ma sulla normalità delle persone. È come aver trasposto in immagini il genere letterario della "cronaca", il racconto tipico di Rio de Janeiro per narrare fatti apparentemente insignificanti, quotidiani, che vengono dalla strada e si insinuano dietro le finestre. La delicatezza con cui le riprese svelano i sogni delle 32 ragazze dell’hostel, e quelli che ancora animavano Luana ai tempi, è una carezza gentile: si esce raramente dal casarão, ma sembra che un piccolo universo abbia compiuto il big bang dentro quattro mura. “Abbiamo fatto tutto senza fingere, senza sceneggiatura. Così le persone guardano e si sentono dentro la casa, capiscono che tutto il mondo è uguale, fa sogni, soffre. Non importa il genere o se si vive in una villa, un hotel, uno studio, siamo tutti umani” ha dichiarato la Monnerat. Liberando il linguaggio dalle pastoie della freddezza neutrale, dei contrasti bellici o dalla spettacolarizzazione della negatività del dolore a tutti i costi, il racconto della vita delle travesti e trans in Queen Of Lapa è un rosario pagano e quotidiano di speranze ed eventi normali. Certo, è la normalità di una zona particolare di Rio de Janeiro, dove la discriminazione è quasi a zero ed essere trans non fa notizia sui gazzettini bigotti di quartiere. Sono le persone ad essere protagoniste, al di là di ogni categorizzazione di generi. Senza vittimismo ma con la consapevolezza di ciò che si è affrontato. “Nella mia vita ho sofferto, ed è sempre difficile tenersi sulla strada giusta” confessa Gaby, una delle ragazze ospiti dell’hostel, senza riuscire a trattenere una lacrima di umana consapevolezza. Fa intuire l’abisso nel quale ha rischiato di sprofondare.

Gaby, una delle donne trans ospiti della casa di Luana Muniz a Lapapinterest
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Anche quando l’equilibrio è costantemente messo in discussione dalla spietata violenza che Luana e le sue ragazze si trovano quotidianamente a fronteggiare, c’è una forza sovrumana e comune. È il magnete Luana ad alimentarla, non senza contraddizioni e decisioni ostative. “Cos’è la rappresentazione se noi, come donne trans, non la abbiamo per le attività più tranquille? Siamo persone fatte di molteplicità, non punti singoli della trama" ha scritto la giornalista trans Sessi Blanchard nella sua recensione su Mic. "Al di là di questo, i comportamenti di Gaby o Emilly durante i loro soliloqui improvvisi spiegano come la violenza che vivono ogni giorno sembra essere nella media per loro. È integrata nella loro vita di tutti i giorni, sia come fatto in sé, sia come pensiero laterale da condividere. È un documentario sull’umanità che vale la pena esaminare al di fuori delle tragedie”. Queen Of Lapa ha già vinto due premi importanti al Rhode Island International Film e al Sidewalk Film Festival: varie presentazioni stanno contribuendo a cementare il suo valore. In Italia ancora non si trova, purtroppo, mentre in Brasile i due autori stanno tentando di farlo arrivare al Rio de Janeiro Film Festival. Un omaggio tardivo a Luana, che se ne è andata nel 2017 per complicazioni polmonari senza riuscire a vederlo finito. “Abbiamo ancora un suo messaggio in segreteria che non abbiamo ascoltato. Non sono pronta a farlo, mi emozionerei troppo. Eravamo molto legate. È stato come avere una famiglia”.