"L'aborto non è illegale in Texas. È solo praticamente impossibile". Il titolo asciutto del Washington Post ad agosto 2019 ha esemplificato come il diritto di aborto non sia tale nello stato del petrolio USA, ma venga calpestato aggiornando le leggi con condizioni sempre più restrittive. L'aborto in Texas è un tema bollente da quando alcuni paesi dello stato stanno diventando "sanctuary cities for the unborn", letteralmente città santuario per i non nati. Traduzione non letterale: la legge federale regolamenta l'interruzione volontaria di gravidanza, ma di fatto la campagna Texas Right For Life, guidata dall'attivista antiabortista Mark Lee Dickson (che in una delle sue dichiarazioni più oscene paragonò l'aborto all'Olocausto), mira a far diventare totale il numero delle città dove è impossibile abortire.

Di fronte alla spinta aggressiva della campagna, che iperbolizza l'aborto a "murder with malice" e lavora a stretto contatto con le cliniche antiabortiste (chiamate crisis pregnancy centers) un numero crescente di consigli comunali ha accettato il divieto di interruzione di gravidanza dichiarando la propria città abortion free. Come riporta Texas Tribune, a ottobre scorso erano cinque le città che hanno scelto la restrizione massima, con tanto di messa al bando della contraccezione d'emergenza e multe fino a 2.000 dollari ai medici che praticano aborti. Una sesta città si era mantenuta più indulgente. A gennaio 2020, si sono aggiunti altri tre paesi, alcuni anche con una popolazione consistente: e a minare i diritti delle donne texane arriva anche l'eventualità che le famiglie delle stesse donne, o "qualsiasi parente sopravvissuto del nascituro abortito", possano fare causa civile a chiunque aiuti le donne ad abortire, fosse anche un'amica che le accompagna in ospedale. Le ordinanze non hanno eccezioni in nessun caso: stupri, violenze, incesti, malattie. A causa di questi movimenti locali molto criticati, il numero delle cliniche dove poter esercitare il proprio diritto all'interruzione di gravidanza è calato drasticamente in tutto lo stato. Il WP segnala che per il 90 percento degli 8 milioni di donne che vivono al di fuori delle maggiori aree metropolitane (Dallas-Fort Worth, Houston, San Antonio, Austin ed El Paso), una consulenza imparziale sul controllo delle nascite e l'aborto stesso sono praticamente un'utopia. La percentuale aumenta quando si parla delle donne latine o nere che popolano il Texas, per le quali l'assistenza sanitaria a volte non è nemmeno un diritto di base.

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Il Texas possiede una delle legislazioni sull'aborto meno semplici di tutti gli USA, nonostante sia stato parte in causa nella prima legge sull'interruzione volontaria di gravidanza negli Stati Uniti. Nel 1972 alla Corte Suprema degli Stati Uniti approda il caso della giovane Jane Roe, una donna di 21 anni incinta di un marito violento. Jane Roe, il cui vero nome è Norma McCorvey, non vuole tenere il bambino: con l'uomo sposato quando lei aveva 16 anni ha già avuto due figlie, ed entrambe sono state date in adozione perché non riusciva a crescerle. All'epoca l'aborto in Texas era possibile solo in caso di rischio per la vita della madre, decidere di interrompere una gravidanza solo perché non si voleva non rientrava nella casistica. Con la rappresentanza legale degli avvocati Sarah Weddington e Linda Coffee, Jane Roe trascina il Texas di fronte alla Corte Suprema. Lo stato si fa rappresentare dal procuratore distrettuale di Dallas Henry Wade, già celebre per aver discusso le accuse a Jack Ruby nell'omicidio di Lee Harvey Oswald, il presunto killer di John Fitzgerald Kennedy. La lotta per l'autonomia delle scelte delle donne texane passa dai fronti civili alle aule giudiziarie con il caso Roe v. Wade, e il 22 gennaio 1973 la Corte Suprema, con 7 giudici a favore e 2 contrari, promulga la prima sentenza storica sul diritto di aborto negli USA. Ogni donna ha il diritto di abortire e l'interruzione di una gravidanza può essere determinata da diverse ragioni personali, sulle quali nessuno stato (e i suoi rappresentanti) ha alcun diritto di intervenire. In più, la privacy di chi abortisce va protetta in ogni caso. Ciononostante non mancano le contraddizioni: nel 1976 il Congresso ha votato l'emendamento Hyde, che vieta l'utilizzo di fondi federali per le procedure di interruzione di gravidanza, a meno che non sia stata causata da stupro, incesto, o minacce la vita della madre. L'emendamento, riporta il TIME, viene rinnovato ogni anno da allora e impedisce la copertura sanitaria federale dell'aborto negli Stati Uniti.

Nell'America incarnata da Donald Trump il contesto è ingarbugliato di complessità su più piani. Nonostante il diritto ad abortire sia disciplinato dalla legge federale, ogni stato intreccia lacci e lacciuoli legali per limitarne l'applicazione soltanto ad alcuni casi molto specifici. Solo nell'ultimo decennio, dal 2011, sono state varate più di 400 restrizioni all'interruzione volontaria di gravidanza, di cui 25 solo nel 2019, come riporta uno studio del Guttmacher Institute. Il caso dell'aborto in Alabama, stato guidato dalla repubblicana Kay Ivey, è emblematico: dal 2019 si più abortire solo in caso di pericolo per la vita della donna incinta. Sostanzialmente lo stato ha annullato le norme federali in merito all'aborto. Dopo l'annuncio dell'Alabama Abortion Ban e superato l'entusiasmo per la vittoria in consiglio (criticatissima), persino i vertici repubblicani hanno riconosciuto di essere andati un filino oltre. Ciononostante, il divieto continua a persistere.

Il rischio di una delegittimazione del diritto all'aborto è labile, eventuale ma non improbabile. I 9 giudici che siedono alla Corte Suprema sono nominati a vita dal Presidente degli Stati Uniti, e nonostante la sua fama di autorevolezza imparziale anche la Corte è esposta alla possibile influenza delle ideologie di chi la compone. Dopo la nomina dei giudici Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh (indagato per abusi e molestie sessuali nei confronti della psicologa Christine Blasey Ford quando erano molto giovani, in un caso che ha fatto scalpore), entrambi di stampo fortemente conservatore e particolarmente apprezzati da Trump, molti attivisti hanno visto una netta ombra sul diritto all'aborto. "Siamo in un momento pericoloso, di minaccia imminente per il Paese" ha commentato sempre al TIME Alexis McGill Johnson, direttore e CEO di Planned Parenthood. È già difficile garantire la possibilità di interrompere una gravidanza in tutti i casi, al momento, e con i movimenti antiabortisti la situazione si sta trasformando in maniera preoccupante: proprio gli attivisti texani hanno apertamente dichiarato che l'organizzazione Planned Parenthood è "criminale", e in molti municipi più radicalmente esposti si sta pensando di arrivare a negare la vendita di contraccettivi di ogni tipo, oltre che di quelli di emergenza.

Il lavoro aggressivo dei movimenti abortisti e la creazione delle "sanctuary cities" sta mirando, secondo la direttrice esecutiva del Texas Equal Access Fund Kamyon Conner, a una distorsione dello stato di diritto. "Sono state fatte per confondere le persone sui loro diritti, far vergognare incolpare chi ha bisogno di abortire, e intimidire le organizzazioni che aiutano ad avere accesso all'assistenza. In sostanza dicono "Non approviamo questo nella nostra città"" ha spiegato a The Cut. La disinformazione sull'aborto, sulle procedure di interruzione o sulla stessa possibilità di esercitare un proprio diritto disciplinato dalla Costituzione, è totale: gli antiabortisti spingono per far credere che l'aborto in Texas sia illegale, ma non è affatto così. Nelle fasce più povere della popolazione, con difficoltà estreme di accesso alle informazioni reali, rischia di solidificarsi in una convinzione completamente errata: una pietra tombale sull'autonomia del corpo delle donne. "Le persone privilegiate con i soldi possono spostarsi per andare ad abortire, se ne avessero bisogno. Le donne che non sono così fortunate probabilmente rinunceranno e basta" ha concluso la Conner.

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In uno scenario texano sempre più fosco per quanto riguarda l'autodeterminazione femminile nella scelta di non avere un figlio, ci sono però delle fiammelle positive: avvocati e giudici hanno fatto notare che la maggior parte dei punti delle ordinanze comunali per lo status di le città santuario dei feti non partoriti sono chiaramente incostituzionali. La divisione texana della ACLU, American Civil Liberties Union (una delle organizzazioni attiviste per i diritti civili più radicata e celebre negli USA) ha già avviato i lavori per far ritirare tutte le ordinanze, e in tre città non si è riusciti né a presentarle né tantomeno ad arrivare al voto in consiglio comunale. In tutto questo, c'è stata anche la furba mossa di Donald Trump: il 22 gennaio 2020 il presidente ha annunciato in pompa magna il ripristino dei fondi per l'assistenza sanitaria alle donne del Texas. Fondi che erano stati sospesi di Barack Obama nel 2012 per la mancata inclusione di Planned Parenthood nel programma Healthy Texas Women, promulgato dalla legislazione texana l'anno precedente. Applausi? Decisamente no. È una mossa trumpesca per confondere ulteriormente le donne e gli uomini dello stato più repubblicano di tutti: i fondi federali sostituiranno solo i soldi che spende lo stato e non miglioreranno affatto i servizi sanitari per le donne del Texas, sostiene Stacey Pogue del Center for Public Policy Priorities. L'ennesima dimostrazione che la politica continua a speculare sulla pelle delle donne.