Basta dire Via col vento e tutti penseranno subito all’omonimo film vincitore di otto Oscar, ai suoi due principali protagonisti (Vivien Leigh e Clark Gable) ma anche agli altri (Mamy, ad esempio, interpretata da Hattie Mc Daniel), alle espressioni (“perdindirindina!”) come alle battute divenute nel tempo quasi più celebri del film (da “Non soffrirò mai più la fame” a “Francamente, me ne infischio” fino a “Dopotutto, domani è un altro giorno”) con annesse e connesse curiosità, leggende e invenzioni come accade quando si tratta di un successo planetario come questo. Tanti, ma non tantissimi, sanno però che prima ancora del film – che è del 1939 - c’è stato un libro che ha fatto nascere il fenomeno, un romanzo che uscì tre anni prima e riuscì a vendere negli Stati Uniti un milione di copie nei primi sei mesi e trenta nel mondo.

A scriverlo fu Margaret Mitchell (1900-1949), giornalista e scrittrice statunitense che proprio con questo romanzo, oltre a conquistare la notorietà, vinse il Premio Pulitzer e fu candidata al Premio Nobel per la Letteratura. Nata ad Atlanta, amava sin da piccola inventare storie, illustrandole e rilegandole. “A undici anni aveva già una sua casa editrice, a diciassette pubblicò un racconto sulla rivista del Washington Seminar, interruppe gli studi di medicina, nel 1922 fu assunta come giornalista, sposò l’uomo sbagliato, Red Upshaw e l’amore della sua vita John R.Marsh, a cui il romanzo è dedicato, arrivò solo tre anni dopo, i due rimasero insieme fino alla morte di lei, travolta mentre andava al cinema dietro casa sua da un ubriaco che guidava contromano”, scrive Mariarosa Mancuso nell’introduzione al romanzo ripubblicato in Italia da Neri Pozza nella traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani che hanno deciso di lasciare in originale i nomi di personaggi, di istituzioni e i toponimi, utilizzando termini stranieri oramai diffusi nella nostra lingua ed introducendo un cambiamento importante nel modo di parlare degli schiavi (in quelle precedenti, sfiorava a dir poco il grottesco).

Il libro Via col vento - Gone with the Wind conquistò subito i lettori e continuerà a farlo ancora oggi grazie proprio a quella sua trama avvincente e piena di colpi di scena, quelli che conosci e che ti aspetti, ma che ti colpiscono sempre e non ti annoiano mai, perché è questo il grande romanzo americano, quello che aprì la strada a molti altri con disgrazie e fortune, odio e amore, ma soprattutto con lei, Scarlett O’Hara (che da noi venne tradotta il nome in Rossella), la viziata e volubile ereditiera della grande piantagione di Tara che dovette cavarsela mentre l’esercito nordista avanzava in Georgia. Leggere le oltre mille pagine di questo libro senza pensare all’immagine che di lei abbiamo grazie a Vivian Leigh (venne scelta tra oltre 1400 attrici) nell’omonimo film di Victor Fleming, è pressoché impossibile, un’impresa ardua, “un po’ come leggere Il Signore degli Anelli senza pensare agli occhi velati di Gollum nel film di Peter Jackson”, fa notare giustamente la Mancuso come il fatto che il romanzo stesso non aveva però bisogno del film per imporsi, visto che la Mitchell sapeva costruire i personaggi, forte della sua immaginazione e di una madre suffragetta di origini irlandese, da cui vennero la cocciutaggine, la spirito ribelle, l’amore per la terra, senza dimenticare la sua tendenza al flirt.

L'autrice del libro fu coinvolta nella produzione per aiutare a realizzare una versione quanto più vicina possibile al romanzo, ma quando fu ignorato un suo suggerimento sull'impronta da dare a Tara, decise di lavarsene le mani. I personaggi sono basati sulle reali conoscenze: Ashley, per esempio, si ispira a suo cugino John "Doc" Holliday, mentre Melania prende ispirazione da un'amica intima di Doc: Mattie "Sister Melanie". Tante sono poi le curiosità, alcune delle quali a dir poco fastidiose: Vivien Leigh, ad esempio, percepì uno stipendio di 25mila dollari per un impegno di 125 giorni mentre il collega Clark Gable ne percepì 120mila su 71 giorni di riprese. Il fatto più grave avvenne comunque il 15 dicembre del 1939, quando Atlanta fu il centro del mondo, quasi più delle successive Olimpiadi. Nei tre giorni di festeggiamenti decisi dal sindaco William B. Hartsfield, infatti, migliaia di donne e di uomini sfilavano per le strade della città con addosso gonne di crinolina e giacche spioventi con i bordi in rilievo, come i protagonisti del film più atteso di tutti i tempi che sarebbe andato in scena al Loew’s Grand Theatre. Tra gli ospiti, non c’era l’attrice Hattie McDaniel (la prima attrice nera a vincere l’Oscar), proprio per via del colore della sua pelle visto che c’erano ancora le leggi segregazioniste di Jim Crow (vennero abolite solo quindici anni dopo). Clark Gable era diventato molto amico della McDaniel e decise di boicottare l’evento, ma su consiglio dell’amica decise comunque di partecipare a quella che venne definita “una festa di Stato” a cui presero parte anche le attrici “scartate” per la parte della O’Hara, tra cui Norma Shearer Joan Crawford. Tra le curiosità più “leggere”, il fatto che Olivia de Havilland (Melania nel film) muore sì nella storia, ma nella vita reale è l’unica di tutto il cast ad essere oggi ancora viva (ha 103 anni). Vogliamo poi parlare dello storico bacio tra Scarlett/Rossella e Rhett che non fu affatto memorabile come si potrebbe pensare? Al tempo, infatti, pare che Clark Gable indossasse una dentiera al seguito di un’infezione gengivale che gli aveva fatto perdere tutti i denti, ma la stessa gli lasciava un’alitosi micidiale. Nonostante questo, però, e molti altri altri episodi più o meno conosciuti, tutto andò perfettamente, per il libro – uno di più eclatanti casi editoriali mondiali - e per il film, tra i più visti ed imitati, impreziosito dalla colonna sonora di Max Steiner che con l’Ouverture, l’Intermission e l’Exit Music, guida gli spettatori per quasi quattro ore (la lettura durerà di più, ma sarà un piacere) a dir poco indimenticabili.