Su Venezia esistono molti modi di dire e qualche frase fatta. Nonostante il tempo magnifico e la temperatura eccezionalmente mite di questo Carnevale di Venezia 2020, può capitare ancora di sentir dire di sfuggita, da qualcuno che si guarda intorno col naso all'insù: “sì sì, Venezia è bella ma non ci vivrei”. Ma tutti ci vogliono passare tanto tempo, in questa città in perenne pediluvio dalla sua fondazione, che sconta già lo scotto dei ghiacciai che si sciolgono come aspirine e nasconde all’occhio distratto la forza dell’incredibile, quel sortilegio che ti permette di scivolare piano piano sul Rio Novo in barca, alzare gli occhi e ritrovarti a due metri dal piccolo profugo con la torcia che Banksy ha lasciato sulla parete di un palazzo fatiscente, o di passare davanti alla caserma dei pompieri più bella del mondo, con le arcate da cui spuntano le prue delle barche di servizio.

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Linda Pani, l’angelo 2020

Qualcuno deve raccontarlo, per cui meglio esaurire subito la domanda contingente: sì, in questo Carnevale i grandi assenti sono i cinesi. Di quel paio che capita di incrociare si sente uno raccontare all’altro: “a moménti la va a finir che squasi me masso”. Più veneziani del Tiepolo. E comunque i veneziani sono vaccinati contro la paranoia, che di pestilenze ne hanno viste sin dal 1348. Parentesi chiusa. Codice colore: l’arancione. Il mecenate del Carnevale 2020 è Aperol Spritz e nel corso di questo racconto è impossibile omettere di averne sorseggiato una quantità adeguata di coppe, inseguiti dalla saggezza del “bevi responsabilmente”.


A Carnevale, a Venezia, si maschera pure chi detesta mascherarsi, è praticamente impossibile restarne fuori. Le bancarelle che pochi mesi prima hai visto vendere borsette in pelle, collane di vetro e merletti, oggi vendono solo maschere in cuoio e piume. Il leggendario Atelier Stefano Nicolao è uno di quei posti in cui da bambina ci andresti a vivere, forse nemmeno la sartoria di Cinecittà nasconde una tale quantità di riproduzioni di abiti, soprattutto del 1700. “Odora di casa della nonna”, dice rapita Catherine Poulain, influencer da mezzo milione di follower - gattona su Instagram, gattina dal vivo - in fila per trovare un costume “un po’ da vampira, lo voglio un po’ goth”, dice divertita stringendosi nella pelliccia da peluche. In coda ci sono anche, in ordine sparso il giovane fotografo Umberto Buglione (faccia perfetta e 75mila follower lui stesso), Tommaso Zorzi (dal debutto con Riccanza a 561mila follower) e Diego Passoni, punto fortificato storico nella linea difensivo di Radio Deejay e concorrente dell’edizione 2016 di Pechino Express (col suo pacchetto da 225mila seguaci). Nell’atelier è dispiegata una task force di costumisti che ti accolgono, ti soppesano con gli occhi per valutare la taglia, ti chiedono la preferenza di colore e poi spariscono in un antro inaccessibile ai comuni mortali ma di cui intravedi, attraverso il varco, le centinaia di stampelle che reggono abiti opulenti fino ai soffitti altissimi. A me capita l’assistenza del boss in persona, che mi conduce dietro a un paravento.

“Sono come un medico, ormai, davanti a me si possono spogliare tutte”, mi spiega Stefano Nicolao mentre mi mostra due abiti, uno rosa e uno dorato. Indico il secondo e inizia la vestizione. Prima la gabbietta rigida che esaspera i fianchi, poi la gonna pesante come il sipario del teatro de La Fenice, poi il corsetto pieno di stringhe e gancetti, tutto da portare strettissimo. “Questo è stato usato sul set de I pirati dei Caraibi”, mi informa il sior Nicolao. Provo il cappellino tricorno e un choker in tinta. Si portano via la gonna per aggiustarne la lunghezza e dieci minuti dopo sono all’aperto con il costume in una busta enorme e pesantissima. Servirà la sera, per il dinner show al Casinò. La lancia taxi arriva all’hotel Hilton dell’isola di Giudecca. È un’imponente costruzione color mattone con molta storia alle spalle, un ex mulino costruito tra l’Ottocento e il Novecento poi restaurato senza snaturarlo, facendone un affascinante esempio di architettura industriale. Dopo pranzo non c’è neanche molto tempo da perdere. Se la mattina impieghi un’ora a prepararti, il sentore è che per indossare da sola un costume complicato, truccarti e acconciarti ne occorreranno almeno due. E invece, per eccesso di zelo, finisce che alle 18.30 sei già pronta e usi le due ore restanti, prima, per pavoneggiarti allo specchio ed eccedere in selfie, poi, per aiutare le altre invitate, che non hanno la fortuna del corsetto con chiusura anteriore come il tuo. Alle 20.30 sono tutti pronti, influencer e star tv comprese. “Ma come fate voi donne, a sopportarli?”, si lamentano i ragazzi per appena due dita di tacco a rocchetto sotto i talloni.

Indossare un costume che ti fa pesare come se avessi due corpi e affidare la propria stabilità ai tacchi a spillo è impresa eroica. Saltare in quelle condizioni da una barca al molo, e viceversa, è indimenticabile lezione di vita. Ma si fa, e sei anche contenta di farlo, che già pensi a quanto potrebbe costare quel costume e se accetteranno di vendertelo a rate, nel caso fosse una cifra ingente. Al Casinò c’è la coda per entrare alla festa e se nei night club prestano la giacca a chi ne è sprovvisto, qui alla biglietteria forniscono maschere per coprire almeno il viso di chi è arrivato in abiti borghesi. I costumi dell’atelier Nicolao, inutile negarlo, sono i più luxury e prendono le distanze dall’effetto carta di cioccolatino stropicciata di alcune mise in fila. Ma l’importante è mascherarsi e divertirsi. Dopo due rampe di scale sul tappeto di velluto rosso si accede al paese delle meraviglie di Alice come lo avrebbe concepito Stanley Kubrick, dove luci colorate e bolle di sapone che spuntano ovunque sono una mixology fra realtà e sogno. Su di un letto fatto di soffice prato sintetico c’è una ninfa dallo strascico di tulle color Spritz e vicino a lei un Cupido sosia di Achille Lauro. Gli animatori sono ovunque, un angiolessa bianca passeggia ad ali spiegate come se fossero le sue dalla nascita (come il costume che hai addosso, che deve diventare tuo). I vassoi carichi di coppe di Aperol Spritz, satinate dalla condensa e luccicanti di cubetti di ghiaccio circolano per la sala con la frequenza dei giri di giostre ad Ellis Island. Arriva in costume anche Clarice Pinto, direttrice marketing del gruppo Campari, una di quelle persone che collezionano inconsapevolmente una sfilza di recensioni entusiastiche su Linkedin e rinforzano, altrettanto involontariamente, l’empowerment femminile in settori tradizionalmente maschili come l’alcoholic beverage. È lei che, insieme al manager director Lorenzo Sironi ha scelto, ad esempio, Greta Scarano e Alessandro Borghi come brand ambassador al Festival del Cinema di Venezia 2019.


Durante la cena (di pesce), in una grande tavola unica esattamente come in un banchetto del 1700, ogni tanto ci sono incursioni degli animatori che distolgono l’attenzione dai cellulari. Una tavolata fitta di influencer è l’unica al mondo in cui stare al cellulare non è maleducazione. Le ingombranti imbottiture degli abiti delle dame si rubano lo spazio vitale a vicenda, ma ci si sta. I maschi invece, tutti agilmente abbigliati da Casanova, a parte due Enrico VII, si alzano dalla tavola indisciplinati e ballano. Qualcuno nella foga strappa anche una cucitura al cavallo dei calzoni, ci sarà lavoro per l’atelier Nicolao dove sono abituati a molto peggio. Se è vero che niente dura per sempre, figuriamoci una notte arancione in cui ci si diverte e si mettono da parte per un po’ tutti gli altri pensieri. Il temuto momento di uscire dal vestito si avvicina. Arrivano i taxi che, scivolando sulle acque buie, ti riportano al mulino trasformato in hotel. La mattina dopo c’è ancora del carnevale da onorare, ma la folla sarà troppa per pensare di arrivare a Piazza San Marco indossando un costume pratico quanto le manovra di un autotreno in un vicolo. Nonostante qualche segno dei lacci sui fianchi fai persino un progetto mentale di dormirci. Ma poi ti arrendi e devi fare come quando ami tanto una persona da non opporti quando vuole rompere con te: lasciarla andare al suo destino, ossia rendere felice qualcun'altro.

La mattina dopo, l'evento che apre ufficialmente il carnevale: il volo dell’Angelo, o della Colombina, come viene chiamato in alternativa perché l’evento ha subito variazioni nel tempo. La tradizione risale alla metà del 1500, quando un acrobata turco provò per primo a camminare sulla fune legata a una barca al molo fino al campanile di San Marco, e al ritorno fino alla balconata del Palazzo Ducale per porgere gli omaggi al Doge. L’esibizione venne ripetuta per qualche anno, ma le misure di sicurezza di qualche secolo fa non erano eccellenti e quando una volta andò decisamente male si decise di far semplicemente volare una colomba di legno su un cavo dalla cima della torre. Da qualche anno l’appuntamento si è evoluto e un solidissimo sistema di cavi d’acciaio permette di far librare a 80 metri di altezza una ragazza scelta della Festa delle Marie, l’anno prima. Al centro di piazza San Marco, alla quale si accede dopo essere stati ispezionati da cima a fondo per sacrosanti motivi di sicurezza, c’è una sorta di villaggio Aperol Spritz. I cavi che partono dal campanile terminano giusto sul palco all’interno del village, in cui circolano – manco a dirlo – coppe di spritz come se ci fosse una fontana che lo eroga. Il palco è ispirato al costume di Arlecchino e l’ha progettato lo scenografo del teatro La Fenice e direttore artistico del Carnevale di Venezia Massimo Checchetto. Quando il campanile manda l’ultimo rintocco del mezzogiorno la prescelta in costume, anche quello disegnato e realizzato dall'Atelier Nicolao, comincia a volare giù con lentezza. Esasperante, per chi si aspettava una sorta di zip line.

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Linda Pani e Massimo Checchetto

La figurina rossa e arancione che volteggia e lancia coriandoli da lassù, accompagnata dalla musica, si chiama Linda Pani e ha solo 20 anni. Non soffre di vertigini anzi, ama l’altitudine e attendeva questo momento da un anno. D’altra parte, qui la speranza di diventare l’Angelo del Carnevale risiede nel cuore delle adolescenti con la stessa intensità del sogno del ragazzino medio italiano di giocare in serie A. Le vertigini vengono invece a chi la osserva, e dal basso si sente mormora più di un “che coraggio”. La ragazza atterra sana e salva e, disinvolta come se avesse appena fatto un giro sulla bicicletta con le rotelle, comincia a rilasciare interviste a raffica. Qualcuno, mentre lei è impegnata, fa domande anche alla mamma. La festa ha inizio per i veneziani, è finita per chi deve partire. Il pranzo è al Grancaffé Quadri osservati dai buffi volti stampati sulla tappezzeria murale che per un effetto ottico sembra antica, ma da una valutazione più attenta risulta un composizione di facce, astronavi e altre modernità estreme. È la forza dell’incredibile di Venezia che, come un'amante geniale, si diverte ad alimentare i luoghi comuni su di sé, con gli uomini privi di immaginazione.