Sono italiana, vivo a New York, sono figlia di un toscano e una caraibica delle isole francesi. Ho doppia nazionalità ma mi sento italiana dentro e fuori anche se sorrido quando qualche newyorkese mi chiede "ma sei italiana? Non ho mai visto un italiano nero!". Mi stupisce di più quando un mio connazionale invece di dirmi “sei meticcia?” se ne esce con un “come parli bene l'italiano”: forse dovrei sottolineare che, anche se sono nata a Firenze, ho un accento milanese molto forte. Ho lasciato l’Italia nel 2009 per l’Inghilterra dove avevo bisogno di non sentirmi più un’eccezione ma parte di qualcosa. E poi, quando sono arrivata a New York, cinque anni fa, mi sono sentita a casa. Una città multietnica, pazza e piena di colori e priva di regole rigide. Nonostante tutto questo ho sentito che vi erano differenze. Se non sei afroamericano senti comunque una differenza molto grossa. Le radici di dolore, di discriminazione, nonostante possano essere silenziose sono molto più profonde qui.

In Italia non ho mai avuto veri problemi di razzismo ma ho costantemente avuto a che fare con sua sorella, l’ignoranza.

Mai come in questi mesi credo fortemente che ci si debba focalizzare sulle generazioni a venire, i nostri figli e nipoti, e trasmettere loro l'amore incondizionato verso ogni forma di vita che ci circonda. In questo momento protestiamo per quello che rappresentano le parole Black Lives Matter ma siamo consapevoli che in ogni angolo del mondo c'è un bambino che muore atrocemente o un adulto che non conosce la parola Freedom. Ho il cuore in mano per quanto riguarda un'altra condizione, che non rappresenta solo il colore della pelle bensì il senso del significato letterale di civiltà. Parliamo di terzo mondo ma quando cammini per strada e vedi un uomo steso per terra nel suo bagaglio di abbandono e tu sei felice e vai al cinema... a me si ferma il cuore. E sono parte di ciò, faccio parte di tutti coloro che camminano e che vanno avanti, che vanno al cinema. New York è un simbolo, la più grande capitale al mondo, che convive ancora oggi con esseri umani affogati nel loro affanno e persi nelle nostre disillusioni. New York per me è casa. Come quando ami qualcuno c'è odio e c'è amore. Qui c'è tutto. E l'amore non è mai perfetto. Così è New York City. Vi è la bellezza della multiculturalità e lo scontro violento al tempo stesso del razzismo silente e palese ignoranza.

Il più marcato episodio di razzismo che ho subito è stato a New York da parte di italiani. Non voglio raccontare l'episodio ma voglio sottolineare quanto mi sono sentita ferita da persone che come me fossero partite dall'altra parte del mondo con la loro sacchetta sulle spalle di cattiveria e ignoranza invece che di amore.

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Rebecca in una foto scattata da sua mamma dopo due anni di distanza.

Qualche tempo fa avevo percepito di essere arrivata a un punto della mia vita dove riuscivo finalmente a vedermi e a definire di essere diventata una donna. E così, visto che ho una sorella più piccola per la quale vorrei essere un esempio e un luogo emotivo a cui tornare, avevo iniziato a scrivere su Black Italian Woman. Questo perché sono nata in Italia ma mi sono sempre sentita diversa dalle persone con le quali vivevo e crescevo, ho sentito il bisogno di mandare un messaggio a tutte le ragazze italiane "diverse" come me, per far sapere a loro che non erano sole. Noi esseri umani spesso dimentichiamo che siamo animali, nel senso buono del termine. Abbiamo gli stessi istinti perché l'istinto di appartenenza e la continua ricerca interiore per capire le nostre radici è un istinto condiviso.

Il movimento Black Lives Matter è una voce, che in alcuni momenti si strozza e non ha aria nelle corde vocali per parlare. E in altri momenti, nonostante il dolore, urla come una cantante gospel la domenica mattina nel pieno di una messa.


Barack Obama per me era, è, un filosofo. Una persona con un gigante cassetto di sogni e amore ma il blocco costante di poter realizzare una volta per tutte ciò per cui si sta protestando oggi, per le vite e per il significato della frase Black Lives Matter. Il presidente di oggi? Ti guardo negli occhi e dico, che possiamo solo sorridere e pregare in meglio. Se vivo nella paura? La paura la vivo quando non conosco qualcosa e non so in caso necessario come potrei difendermi. Con il tempo ho imparato a capire cos’è: si chiama ipocrisia. Non ho paura di questo sentimento perché non credo nel suo valore. E quando non credi nel potere di qualcosa che possa in qualche modo affliggerti, non hai paura di lottare.