L’hanno già chiamata l’anti Kamala Harris e in effetti, anche se la democratica è candidata alla vicepresidenza e lei no, Nikki Haley è nettamente la sua antagonista. Haley ha preso la parola alla Convention Nazionale dei Repubblicani a Charlotte, vestita in rosa rassicurante, proprio per dimostrare che i repubblicani di Trump non sono "malvagi" come i loro contendenti, i Democrats, stanno insinuando. “L'America non è razzista” ha detto Haley, ex ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, in un discorso in cui ha esortato gli elettori a continuare a sostenere "l'attuale" America nonostante i suoi difetti, e nel suo discorso ha accusato gli opponenti di aver usato a scopo di propaganda la questione razziale in America e la brutalità della polizia, scatenando in tutto il paese la rivolta della comunità nera.

Nikki Haley, nata Randhawa, è nasce nel 1972 a Bamberg, nella Carolina del Sud, è figlia di immigrati indiani sikh del Punjab e per questo rappresenta la “carta etnica” della campagna elettorale di Trump. Si è laureata alla Clemson University e ha preso un master in Science della contabilità. Il suo primo lavoro è nell’azienda di import di abbigliamento della madre, Exotica International, che con il suo arrivo ha avuto un balzo di fatturato multimilionario. È così che, grazie alle sue evidenti capacità imprenditoriali, nel 1998 Haley è stata nominata membro del consiglio d'amministrazione della Camera di commercio della contea di Orangeburg, nel 2003, in quello di commercio di Lexington, e poi presidente della National Association of Women Business Owners nel 2004.

È entrata in politica molto giovane e ha aderito subito ai Repubblicani. Forse anche per questo si è convertita al cristianesimo ma, in segno di rispetto per la cultura dei suoi genitori, frequenta ancora i servizi sikh. Dopo una rapida e accurata carriera politica, nel 2010 ha vinto le elezioni come governatrice nella Carolina del Sud. Due record: è stata la prima donna e la prima indoamericana a governare uno stato complesso come la Carolina del Sud, ma anche la seconda persona di origini indiane a governare uno degli Stati degli Usa (il primo è Bobby Jindal della Louisiana). Non è stato un traguardo facile. Dopo aver ricevuto l’endorsement dell'ex governatore del Massachusetts Mitt Romney, dall'ex governatrice dell'Alaska Sarah Palin e da Jenny Sanford, first lady in carica della Carolina del Sud, Haley si è trovata in mezzo a uno scandalo.

È stata infatti accusata di tradire suo marito Michael Haley con due uomini diversi, Will Folks, ex addetto stampa dell'allora governatore della Carolina del Sud Mark Sanford, e Larry Marchant, consulente politico dell'avversario di Haley, Andre Bauer. Mettere in piazza i tradimenti coniugali da noi può sembrare un modo sporco di fare campagna elettorale ma, negli Usa mentire al proprio coniuge è considerato, politicamente, una cattiva attitudine comportamentale. Haley ha negato e ha promesso che se fosse stata eletta, e le accuse fossero state confermate, si sarebbe dimessa. Non è mai accaduto e nel 2012 girava voce che Mitt Romney candidato alla presidenza Usa, l’avrebbe scelta come sua vicepresidente, ma che lei abbia rifiutato. Da Donald Trump, invece, nel 2016, ha accettato il ruolo di ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, e lo è stata fino alla fine del 2018 (vedremo perché).

In questo periodo, Haley ha svolto il suo ruolo come il suo presidente si aspettava, portando avanti le preoccupazioni americane contro Russia, Corea del Nord e Iran e definendo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele la "volontà del popolo americano". Poi si è anche moderatamente schierata con le donne che accusavano Trump di molestie, difendendo "il loro diritto a essere ascoltate”. Nel 2018 è stata protagonista di un incidente imbarazzante: dopo un attacco chimico contro civili siriani, ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero imposto ulteriori sanzioni alla Russia per il sostegno alla Siria ma la Casa Bianca l’ha smentita nel giro di 24h. Non è stato chiaro se Nikki Haley abbia rilasciato questa dichiarazione di sua iniziativa, o se si sia presa la responsabilità di un cambio di idee ai vertici, fatto sta che si è dimessa dal ruolo di ambasciatrice presso le Nazioni Unite, ma la sua presenza alla convention fa intuire che non sia caduta in disgrazia nel partito. Nel frattempo ha pubblicato un memoir, With All Due Respect, in cui accusa l'ex segretario di Stato Tillerson e l'ex capo di stato maggiore Kelly di aver cercato di indurla a sovvertire delle direttive del presidente per "salvare il Paese". Presidente con cui Haley ha reso chiaro più volte di essere spesso in disaccordo ma di rispettare in quanto eletto dal popolo.

Alla fine dei conti Nikki Haley, che il giorno dopo la strage di Charlotte del 2019 si è scagliata contro i crimini razziali (ma ha invocato la pena di morte per punirli), in alcune occasioni sembra fuori posto nel Partito Repubblicano che segue però fedelmente, e che in cambio la utilizza come garanzia contro le accuse più tradizionali a cui viene sottoposto. Secondo il New Yorker, però, Haley rappresenta “tutto ciò che di sbagliato ha il partito Repubblicano”. Ossia l’aver adottato “la posizione di non vedere il male” come, appunto, il razzismo. Secondo la testata americana l’ex governatrice, che durante l’impeachment di Trump alle presentazioni del suo libro si chiedeva cosa mai avesse fatto di male per essere accusato, è una delle persone che nella politica degli Usa stanno diffondendo l’idea che Trump sia al di sopra delle regole. Come quando ha detto durante la campagna del 2016 che avrebbe potuto "sparare a qualcuno sulla Fifth Avenue senza perdere alcun sostenitore”, rammenta il New Yorker. Ed è per tutto questo che una donna di origini indiane che prende la parola per difenderlo, per molti, negli Usa, rappresenta un mistero.